mercoledì 3 maggio 2017

Recensione #185 - La forma del buio di Mirko Zilahy + Intervista all'autore


Buonasera lettori, orario insolito per me ma non sono riuscita a pubblicare prima. Come va? Io sto ancora cercando di capire che giorno sia oggi ma, a parte questo, tutto nella norma. Sono qui oggi per un post speciale – perdonatemi se sarà lunghissimo – in cui vi lascerò la recensione del libro La forma del buio, pag. 480, secondo volume della serie dedicata al profiler Enrico Mancini, scritto da Mirko Zilahy ed edito da Longanesi. Alla fine della recensione troverete la trascrizione dell’intervista che ho avuto l’occasione di fare all’autore in occasione di Tempo di Libri a Milano il 22 aprile scorso.
La recensione del primo volume È così che si uccide la potete leggere cliccando qui.

Sinossi: Roma è nelle mani di un assassino, un mostro capace di dare forma al buio. Una tenebra fatta di follia e terrore, che prende vita nel rito dell'uccisione. Le sue visioni si tramutano in realtà nei luoghi più sconosciuti ma pieni di bellezza della città, perché è una strana forma di arte plastica quella che il killer insegue. Lui si trasforma, e trasfigura le sue vittime in opere ispirate alla mitologia classica: il Laocoonte, la Sirena, il Minotauro... Sono però soltanto indizi senza un senso apparente, se non si è in grado di interpretarli. Di analizzare la scena del crimine. E tracciare un profilo. Ma il miglior profiler di Roma, il commissario Enrico Mancini, è lontano dall'essere l'uomo brillante e deciso di un tempo. E la squadra che lo ha sempre affiancato non sa come aiutarlo a riemergere dall'abisso. Mentre nuove "opere" di quello che la stampa ha già ribattezzato "lo Scultore" appaiono sui palcoscenici più disparati, dalla Galleria Borghese all'oscura, incantata Casina delle Civette a Villa Torlonia, dallo zoo abbandonato all'intrico dell'antica rete fognaria romana, Mancini viene richiamato in servizio e messo di fronte a quella che si dimostra ben presto la sfida più terribile e complicata della sua carriera. O forse della sua stessa vita.

RECENSIONE
Come sapete amo i thriller, se poi il thriller in questione sa essere colto e ricercato allora non può che avere una marcia in più. Perché è questo che appare immediatamente dai libri di Mirko Zilahy, una grandissima attenzione verso la lingua, verso la costruzione della storia, verso un insieme che spesso nei thriller manca. Quante volte ci si ritrova davanti a libri di questo genere in cui tutto è lasciato alle morti crude e all’assassino, seriale o meno, senza andare oltre all’impatto puramente scenografico che sangue e dettagli macabri lasciano al lettore? Mirko Zilahy non lascia nulla di incompiuto da questo punto di vista - le sue morti sono crude, truci, dettagliate - ma quello che emerge leggendo è l’attenzione verso il punto di vista psicologico, la capacità di agire sulle paure di ognuno di noi e di costruire dei serial killer atroci ma allo stesso tempo umani, capaci di colpirci non per la loro brutalità ma per la loro sofferenza.
Lo stesso si può dire del protagonista buono, il detective Enrico Mancini, un tipo tosto ma che non ha paura di mostrare le sue debolezze e che per questo dà l’impressione di essere uno di noi, non il classico commissario che sta su un piedistallo.
In questo nuovo capitolo della serie il killer è soprannominato “lo scultore” perché uccide le sue vittime ed entro i dieci minuti successivi dalla morte compone con i loro corpi delle sculture mitologiche agghiaccianti. Mancini sta ancora cercando di uscire dal tunnel della perdita di sua moglie quando viene richiamato per seguire questo nuovo caso. Un caso che lo porterà a rientrare in contatto con la squadra che lo aveva aiutato nella prima indagine, una squadra che non è un mero contorno ad un protagonista, ma i cui membri evolvono con lui, essendo dotati di una propria caratterizzazione precisa e necessaria.
Come nel libro precedente l’autore sceglie per la sua opera una faccia di Roma – la sua città – molto particolare. Se nel primo libro il killer si muoveva tra gasometri e fabbriche abbandonate, in questo nuovo lavoro il killer sceglie come scenario per le sue sculture il lato oscuro di luoghi molto turistici: un angolo in ristrutturazione dello zoo, i labirinti sotterranei sotto le Terme di Diocleziano, un Luna Park o un museo di notte. Ogni luogo diventa un non luogo, come se in realtà l’autore volesse mostrarci il lato oscuro di ogni cosa, come se con il buio ogni cosa cambiasse aspetto.
Con un intercedere immediatamente spedito ed accattivante accompagneremo Mancini e la sua squadra in una corsa contro il tempo, che ci lascerà però il tempo di meditare dandoci numerosissimi spunti di riflessione: da come affrontare il lento ritorno alla vita dopo un lutto, a quanto una prigionia prolungata – anche se apparentemente a fin di bene – possa procurare dei danni indelebili alla mente già deviata di una persona, a quanti luoghi oscuri siano racchiusi intorno e dentro di noi. Il tutto farcito da un uso della parola perfetto e ricercato che spesso nei libri appartenenti a questo genere manca.
Un thriller che non ci chiede di scoprire chi sia l’assassino visto che ne ripercorriamo i passi dall’inizio della lettura ma, al contrario, un thriller che ci porta ad avere il timore del conosciuto, che sia un luogo reale o solo un angolo della nostra personalità.
Consigliatissimo a chi, anche in letture come queste, cerca spunti di riflessione e non solo adrenalina.

VOTO: 










Qui di seguito la trascrizione dell’intervista – in realtà è una chiacchierata - realizzata a Tempo di Libri, il cui video integrale potete trovarlo fissato in alto sulla pagina facebook del blog cliccando qui.
Una soddisfazione immensa possibile grazie ad una casa editrice importante come Longanesi che me lo ha proposto.


INTERVISTA


DANY: Come è cambiato questo ultimo anno e come ti ha cambiato essere passato dalla parte dello scrittore?
MIRKO: Bella domanda. Ti dico la verità, il primo libro è sempre una grande incognita, io sono stato fortunato perché il mio libro è stato venduto all’estero in tantissimi paesi, quindi mi sono ritrovato da un giorno all’altro quasi e dover fare i conti con un nuovo mestiere quindi rinunciare a quello che facevo prima quindi l’editor ed in parte il traduttore. Prendere questa cosa sul serio, non più come un gioco anche con tutte le paure e i dubbi per il secondo libro e per le aspettative, visto che la critica è sempre stata molto dalla mia parte.
D.: Un thriller che presta molta attenzione a quella che è la lingua e ad un concetto di insieme. Forse anche per il tuo mestiere precedente?
M.: Sì, forse un po’ per la traduzione e un po’ perché ho studiato ed insegnato lingue e letteratura italiana in Irlanda e quindi sono molto affezionato alle parole e mi piace metterle insieme. C’è invece chi lavora per immagini e sovrappone. Io sono convinto che attraverso la parola si possa eludere la sorveglianza degli occhi e quindi il fatto che se usi le atmosfere, se crei un certo tipo di incantesimo con le parole arrivi da un’altra parte, a me interessa arrivare alla pancia. più di quanto riesca a fare un’immagine.
D.: Anche perché tu racconti molto nel dettaglio, non ti tiri indietro, i morti sono morti e sono morti anche in modo crudo ma senza mai avere quella parte un po’ splatter che tanti usano per arrivare un po’ di più a quello che è il senso del thriller.
M.: In realtà ho un senso diverso del thriller, sono convinto si possa raccontare la morte anche con scene molto forti, rituali, usando una lingua molto alta. Ragioniamo su una cosa sciocca a cui magari non si pensa: se tu vai a vedere un’opera ci sono queste voci altissime, acutissime, perfette, molto potenti e raccontano con parole poetiche ed un registro molto alto delle tragedie umane. Io volevo proprio mettere insieme la violenza e la morte usando proprio una lingua che fosse dall’altra parte delle possibilità.
D.: Parliamo di Enrico Mancini…
M.: Chi è? ahahahahah
ndr. se avrete voglia di andarvi a guardare il video completo di questa chiacchierata vi renderete conto che Mirko oltre ad essere un grande oratore è anche particolarmente simpatico e scherzoso.
D.: Enrico Mancini è il filo conduttore di questa tua trilogia. Secondo me lui è un tosto perché è debole. È paradossale però lui è tosto perché fa vedere le sue paure
M.: Sì, lui ha questo passato da persona molto, ha visto il male in tutte le sue forme perché è un profiler, lo ha studiato ad un certo punto della sua vita ha questo grande distacco dalla realtà dopo il lutto per la perdita di sua moglie in È così che si uccide (ndr. primo volume della trilogia) e qui è un uomo in trasformazione - come tutti i personaggi di questo libro che si spostano, stanno cercando qualche cosa, si rincorrono da soli - e ha questo spirito molto forte, molto fiero, iper tecnico da profiling ma dall’altra parte cova questa debolezza che è quella dell’essere sensibile, dato completamente all’amore della sua vita che non c’è più.
D.: Ed ha questi guanti che vanno, vengono, e sembrano un po’ la sua copertina di Linus. Come mai questi guanti?
M.: Questo è simpatico, sì. In realtà funziona così: quando lui non riesce a tornare in tempo per salutare la moglie prima che purtroppo muoia e dentro di se cresce questo senso di colpa, di ansie decide di tenere addosso questi guanti che erano appartenuti al papà della moglie e lo fa per non avere più il contatto con il mondo reale, per non toccare più le altre persone, per mettere – se ci pensate il guanto è una pelle morta – una pelle morta tra se e quello che sta fuori. Questo succede in È così che si uccide. In questo romanzo qui, come dici tu, questi guanti vanno, vengono, perché questo è il romanzo della trasformazione in cui lui elabora questo lutto e si sente in colpa. Dice: “come, mi sta passando lentamente questo dolore?” Ed è dispiaciuto che si stia allontanando dal ricordo della moglie, che in qualche modo si stia dimenticando la sua voce.
D.: Se tu dovessi descrivere Mancini in tre aggettivi?
M.: È difficile, non ci ho mai pensato… È un uomo vero, è un uomo fragile e come si dice in spagnolo è un uomo vertical, verticale.
D.: Quando hai deciso che avresti scritto un libro, come mai hai scelto il thriller? Io da lettrice ritengo questo genere difficilissimo, per riuscire a tirare in piedi un libro che regga, che non contenga passi falsi non è facile. Credo che il thriller insieme forse al far ridere sia uno dei generi più difficili. Come mai hai scelto proprio questo? Ti è venuto così? Sei un serial killer?
M.: Sono un serial killer e ve lo dimostrerò! (ndr. nel frattempo mima di mettere le mani al collo alla sua intervistatrice). Ma no, in realtà è successo che io avevo questa storia mia personale che mi faceva male e volevo provare a raccontare il dolore che si ha di fronte alla scomparsa, al momento della scomparsa di una persona amata e quindi avevo due strade: potevo scegliere un romanzo un po’ più – dico tra virgolette perché sono contrario alla distinzione di genere – letterario e intimista in qualche modo e fare un libro da Premio Strega oppure avevo la possibilità di affrontare la violenza, quella morte lì con un strumento che è quello del genere thriller che mi dava la possibilità di dire le cose com’erano, di non nascondermi dietro un dito per parlare della violenza e della morte. E poi c’è un altro motivo che è quello che per anni ho lavorato in editoria editando thriller, li leggevo, molti erano bellissimi tanti altri dicevo:”questo non funziona, chissà se lo scrivessi io…” E anni fa, nel 2009 mi sono messo lì su un taccuino a disegnare questa faccia di questo commissario, ad immaginare qualche cosa, a immaginare i guanti, perché dovevano esserci i guanti.
D.: Hai disegnato fisicamente?
M.: Sì.
D.:Per quello questo killer disegna?

M.: No, no.
D.: Sei amante dell’arte? Questo libro è incentrato sull’arte. Lo scultore che è il serial killer di questo libro fa delle sculture con i corpi dopo aver ucciso. Quindi uccide e nei dieci minuti successivi alla morte ricompone le sculture umane. Affascinante, macabro sicuramente ma affascinante.
M.: Sì, lui ricostruisce in qualche modo delle cose che ha dentro di se. In questo caso sono mostri mitologici, i mostri che quando eravamo ragazzini leggevamo nella mitologia che erano le favole di quando eravamo ragazzini. C’è il Minotauro, c’è la Medusa. È un killer che riempie i parchi di Roma con queste sue installazioni che sono costruite con i corpi delle sue vittime. E c’è Mancini che viene richiamato dalla sua casetta in montagna dove va in giro a piantare querce.
D.: Parliamo dell’ambientazione. Una Roma particolarissima, cupa. Per noi – almeno per me che sono di Milano – normalmente Roma è tutto monumenti, turismo e cose belle. Tu invece fai vedere questi labirinti sotterranei, affascinantissimi, come mai? Ci sei stato? Hai voluto far vedere il diverso?
M.: Mah, ti sarai accorta anche leggendo il primo che io ho questo sguardo sulla mia città che è un po’ deformante.
D.: Io del primo sono rimasta affascinata dalla Miralanza. Per me Miralanza è mia mamma con le figurine della Miralanza con mia zia in cucina che si scambiavano queste cartine… chi non ha la nostra età non può capire! Io ho pensato: ci devo andare, voglio andare a visitare la Miralanza.
M.: Quella è una zona incredibile Io ho avuto la fortuna o la sfortuna di andare via da Roma da ragazzino e poi di andare all’estero per qualche anno. Questo mi ha dato, da una parte una nostalgia enorme di casa, di Roma, dall’altra parte mi ha dato uno sguardo molto più critico sulla città e su quello che stava succedendo. E mi sono detto: io non voglio raccontare la Roma del marmo, del barocco, ma la roma del Gasometro, della Miralanza che è tutta una zona dismessa, spettrale che è al centro di Roma, non è nelle periferie ma a pochi metri dall’isola tiberina. In questo secondo libro ho scelto ancora una Roma particolare, la Roma dei parchi che fondamentalmente hanno una doppia vita. Il giorno e la notte. Se tu vai da piccolo sono la cosa più simile ai mostri che ci sono. Quando ero piccino ero sempre spaventato dai ruggiti, incuriosito, meravigliato e uscivo sempre con una sensazione di senso di colpa. E la stessa cosa succede nei Luna Park che ora sono abbandonati ma anche quando ci andavi da bambino entravi nella casa degli orrori, ci andavi a piedi, era una continua sfida, un mettersi alla prova. Quando uscivi da lì eri dispiaciuto perché il giorno dopo dovevi andare a scuola ma anche sollevato per essere scampato dai mostri. I mostri le paure erano tutti lì dentro.
D.: Hai già qualche mania da scrittore? Che so, scrivere sempre con la stessa penna o sempre nello stesso posto?
M.: Sì, io ho uno studio piccino sotto casa mia che è un negozio da fuori invece dentro c’è uno studio dove ho Whisky, le cose, non ci sono finestre e io lavoro dalle otto e mezza, dopo che porto mia figlia a scuola, fino alle cinque e mezza, al buio ininterrottamente con caffè, con la lampada sulla scrivania e un sacco di libri perché mi piace documentarmi e faccio questa tirata in cui cerco di scrivere almeno tre pagine al giorno. Non c’è giorno in cui non scrivo perché per fare quattrocento e passa pagine e fare più di ottanta presentazioni l’anno e avere anche una famiglia tempo ce ne vuole tanto.
D.: Il terzo? Uscirà? Lo hai già scritto?
M.: Il terzo lo sto scrivendo, l’ho iniziato, avrà ancora Mancini perché questa è una trilogia su di lui, ci sarà ancora Roma, ma una Roma ancora diversa. Ho già lo schema, ho già scritto i primi tre capitoli ed ho più o meno quasi tutta la mappa del libro. Ho il serial killer. Il primo libro era sul senso di giustizia,la domanda fondamentale era cos'è la giustizia: è quella dello stato, è quella delle forze dell’ordine o quella che abbiamo dentro al cuore? Il libro si chiudeva con questo grande interrogativo e tutti mi scrivono che non hanno mai condannato veramente il serial killer
D.: Sono dei serial killer molto umani, siamo noi in realtà, con le nostre più terribili paure...
M.: Questa è la stessa cosa che succede in un altro modo qui ed il tema centrale è il rapporto con la realtà. Che cos'è la realtà? Esiste? Oppure è un qualche cosa che la psiche reinterpreta e rilegge per rendercela più facile? Partendo da questo concetto sono arrivato a raccontare il serial killer che ha questo problemo suo con la realtà, ma non diciamolo...
Il terzo il tema centrale è quello dell'identità e cioè: quante persone dentro ci affollano? Avrà un serial killer che avrà a che fare con questo tema e con la storia e la memoria di Roma. Poi non ti dico nient'altro, aspettate con fiducia.
D.: Ok, a questo punto leggete anche il primo È così che si uccide perchè l'evoluzione di Mancini emerge trantissimo. Leggete questo libro La forma del buio. Grazie a Mirko e grazie a voi.
M.: Leggete, leggete, qualsiasi cosa ma l'importante è che leggiate.
______________________________________________

Si chiude con questo bellissimo messaggio questa intervista. Spero di avervi incuriosito e di non avervi annoiato troppo a causa del post chilometrico ma necessario!

10 commenti:

  1. Post interessantissimo, Dani, e Mirko è davvero una persona disponibile come poche. Ci ho scambiato quattro chiacchiere ai tempi del primo romanzo. Questo, come ti dicevo, mi ha convinto meno, anche se abbiamo soltanto mezza stelletta di differenza. Ne parlo domani ;)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie Mik! Avevo paura di dilungarmi troppo ma credo che l'intervista meritasse di essere trascritta visto che sono emersi parecchi dettagli interessanti come ad esempio il punto focale di ogni libro o la serietà con cui Morko si dedica alla scrittura. Passerò a leggere il tuo pensiero anche se abbiamo avuto modo di confrontarci in privato! Ora spero solo che l'ultimo libro possa essere un libro 5 stelle... E buttiamo addosso a sto ragazzo ancora un po'di aspettative ahahahahahah

      Elimina
  2. Non conoscevo questo autore! Il romanzo mi incuriosisce molto,non leggo molti thriller eppure mi attraggono sempre. Complimenti per l'intervista, lui sembra davvero una persona disponibile e interessantissima :D

    RispondiElimina
  3. E’ così che si uccide non mi era dispiaciuto ma non mi aveva convinto fino in fondo. Soprattutto (so di andare controcorrente, ma purtroppo per me è stato così) non sopportavo proprio Mancini. Ma roba che l’avrei preso a schiaffi per come, nove volte su dieci, era arrogante e sgarbato ai limiti della maleducazione con i suoi sottoposti. Anche concedendogli le attenuanti del suo passato non sono riuscita a farmelo piacere. Questo per me è stato molto respingente e non mi ha permesso di apprezzare fino in fondo il libro, anche se riconosco che Zilahy ha fatto un grandissimo lavoro se ho odiato così tanto un personaggio di fantasia! Credo comunque che leggerò anche La forma del buio, voglio vedere se nell’evoluzione di Mancini c’è anche un po’ più di simpatia :-p

    RispondiElimina
    Risposte
    1. A questo punto devi leggerlo per forza perché sono curiosa! Ahahahahahah

      Elimina
  4. Mi hai incuriosito. Penso che li leggerò.

    RispondiElimina
  5. Ho letto e amato il primo romanzo di Mirko Zilahy. I thriller sono il mio pane quotidiano e adoro il modo in cui lo scrittore affronta la morte e la violenza che scaturisce dagli uomini.Le sue parole offrono sempre una seconda lettura, una riflessione su temi importanti che riguardano la psiche umana. Ho terminato in questi giorni la lettura di "La forma del buio", mi sono lasciata affascinare dalle cupe atmosfere, dai miti che parlano di morte e morte danno, dalle debolezze umane e dal dolore per la perdita di una persona cara. Thriller che rasenta la perfezione.I miei complimenti per la tua splendida recensione e per la chiacchierata che ho letto con vero interesse :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie mille, sono contenta di averti interessata con le mie parole. È stato bellissimo poter chiacchierare con Mirko dei suoi libri, entrare nella logica della costruzione dei suoi serial killer, riflettere sulla Roma che sceglie di mostrare nei suoi libri. Un autore che dimostra un'estrema capacità di raccontare e di convincere! Ti consiglio di partecipare ad un incontro non appena ne avrai l'occasione!!! :)

      Elimina