infanzia scorre serenamente. Con la sua famiglia, Leo parla la Lingua dei Segni, e quella degli affetti, che assumono forme inesplorate nei movimenti delle mani dei genitori e della sorella Anna. Ma è giunto il tempo della scuola e Leo viene mandato lontano da casa, a Milano, in un istituto che accoglie bambini come lui. Siamo ai tempi in cui nelle scuole è vietato usare la Lingua dei Segni. All'improvviso per Leo la vita diventa incomprensibile, dentro un silenzio ancora più grande di quello che ha vissuto fino a quel momento. Poi, in una notte d'inverno del 1964, Leo scompare. A nulla servono le ricerche della polizia: di Leo non si ha più notizia. Diciannove anni dopo, nello studio della sorella Anna, si presenta Michele, un compagno di Leo ai tempi della scuola. E inizia a raccontare la sua storia, partendo da quella notte d'inverno.
"Era una notte di neve. Io e Leo eravamo davanti alla scuola. Poi arrivò un uomo e lo portò via."
Può il silenzio avere una forma?
Quello di Leo ha la forma di un fiore disegnato per dire ti voglio bene. Per Anna ha la forma di due mani da cui scaturiscono parole che lasciano intendere le intenzioni, i sentimenti, per Elsa ha la forma di pentole e piatti strofinati per scacciare il dolore o, almeno, provare a non soccomberne, per Vittorio ha la forma di un taxi guidato senza un perché, di una forza oscura che annebbia la mente, fino a farla sua, per Michele ha la forma di un trattore che con un intercedere lento accompagna tutta la sua vita, per Giordano ha la forma dell'arte, sotto qualsiasi forma.
Può il silenzio essere il protagonista di un'intera vita? Di certo può esserlo di un romanzo, quello di cui sto per parlare, quello in cui un silenzio mi ha devastato l'udito, tanto io lo abbia percepito.
Silenzio. È un silenzio assordante quello che accompagna la vita di Leo, che per colpa della sua sordità bilaterale non può vivere una vita come tutti gli altri. È costretto a frequentare un istituto per sordi, a Milano, dove i sordi non possono utilizzare la lingua dei segni e dove, più che essere a proprio agio, vivono il disagio di chi non accetta il loro essere.
Silenzio. È un silenzio ancora più assordante quello che Leo si lascia alle spalle quando, ancora bambino, sparisce proprio da quell'istituto senza che nessuno lo veda, lasciando un vuoto nella vita di chi resta, senza capire, senza poter trovare una ragione.
Un romanzo fatto di mancanze questo, una mancanza che insieme al silenzio è la vera protagonista di queste pagine. Ogni singolo personaggio della storia ha vissuto la sua vita in funzione di quella mancanza e di quel silenzio e ognuno l'ha affrontata a suo modo, non necessariamente un modo giusto ma sicuramente l'unico modo che, per loro, era possibile.
Anna, che quando Leo scompare ha solo quattordici anni, è cresciuta studiando la lingua dei segni, quella che a suo fratello era proibita ed ora che è adulta fa l'insegnante di sostegno, cercando di svolgere con i bambini sordi, un lavoro migliore rispetto a quello che, un tempo, nessuno fece con suo fratello. È sempre stata il pilastro di Leo ed ora, dopo diciannove anni, ancora non riesce ad accettare che lui non sia più con loro. Affronta la vita senza viverla fino in fondo e il suo dolore lo ha solo accantonato, senza mai riuscire ad elaborarlo davvero.
È quando Michele si presenta nel suo studio dicendo di essere un ex compagno di Leo, dicendo di averlo visto andare via con un uomo, in quella notte di neve, che il passato torna ancora più crudele a chiedere il conto. Ora Anna è adulta, ha i mezzi per affrontare la situazione o, forse, almeno per cercare di capirci di più. Perché Michele ha deciso solo dopo tutto questo tempo di farsi vivo rivelando le sue accuse? Chi sarà l'uomo che ha portato via Leo? Dov'è Leo? Mille sono gli interrogativi che sorgono nella mente della donna sia sul presente ma, soprattutto, sul passato, quel passato in cui lei, ragazzina, passava i pomeriggi seduta davanti all'istituto, sperando che suo fratello tornasse, così come era andato via.
Un romanzo che ci regala sprazzi di ricordi di una Anna ragazzina ma che, soprattutto, analizza la Anna adulta, le sue mancanze, i suoi non risolti. È bravo Stefano Corbetta a farci entrare nella testa dei personaggi, nella loro psicologia, a regalarci le loro emozioni.
È bravo anche a regalarci l'atmosfera dei luoghi che ci vengono raccontati. Quelle campagne di provincia, tra Lodi e Milano, lungo le rive dell'Adda, che io conosco bene, e che lui ci regala nitide, rendendole caratteristica speciale del suo romanzo, portandoci con lui, e facendocene ammirare i paesaggi.
Uno stile che ammalia, che non usa paroloni ricercati ma che, nell'insieme, risulta poetico e melodioso.
È impossibile dopo aver letto questo romanzo, non riflettere sul tema della mancanza, sul tema della disabilità - che sia la sordità come in questo caso o un altro tipo -, sul tema dell'elaborazione del dolore, sul tema della solitudine. Impossibile rimanere indifferenti al richiamo di chi, con maestria, ci ha regalato con questo romanzo una chicca nel panorama narrativo contemporaneo.
Lettura assolutamente promossa e consigliata! Io intanto andrò a recuperare i precedenti lavori di questo autore che, mea culpa, non conoscevo ma che, d'ora in poi terrò assolutamente d'occhio.
Quello di Leo ha la forma di un fiore disegnato per dire ti voglio bene. Per Anna ha la forma di due mani da cui scaturiscono parole che lasciano intendere le intenzioni, i sentimenti, per Elsa ha la forma di pentole e piatti strofinati per scacciare il dolore o, almeno, provare a non soccomberne, per Vittorio ha la forma di un taxi guidato senza un perché, di una forza oscura che annebbia la mente, fino a farla sua, per Michele ha la forma di un trattore che con un intercedere lento accompagna tutta la sua vita, per Giordano ha la forma dell'arte, sotto qualsiasi forma.
Può il silenzio essere il protagonista di un'intera vita? Di certo può esserlo di un romanzo, quello di cui sto per parlare, quello in cui un silenzio mi ha devastato l'udito, tanto io lo abbia percepito.
Silenzio. È un silenzio assordante quello che accompagna la vita di Leo, che per colpa della sua sordità bilaterale non può vivere una vita come tutti gli altri. È costretto a frequentare un istituto per sordi, a Milano, dove i sordi non possono utilizzare la lingua dei segni e dove, più che essere a proprio agio, vivono il disagio di chi non accetta il loro essere.
Silenzio. È un silenzio ancora più assordante quello che Leo si lascia alle spalle quando, ancora bambino, sparisce proprio da quell'istituto senza che nessuno lo veda, lasciando un vuoto nella vita di chi resta, senza capire, senza poter trovare una ragione.
Un romanzo fatto di mancanze questo, una mancanza che insieme al silenzio è la vera protagonista di queste pagine. Ogni singolo personaggio della storia ha vissuto la sua vita in funzione di quella mancanza e di quel silenzio e ognuno l'ha affrontata a suo modo, non necessariamente un modo giusto ma sicuramente l'unico modo che, per loro, era possibile.
Anna, che quando Leo scompare ha solo quattordici anni, è cresciuta studiando la lingua dei segni, quella che a suo fratello era proibita ed ora che è adulta fa l'insegnante di sostegno, cercando di svolgere con i bambini sordi, un lavoro migliore rispetto a quello che, un tempo, nessuno fece con suo fratello. È sempre stata il pilastro di Leo ed ora, dopo diciannove anni, ancora non riesce ad accettare che lui non sia più con loro. Affronta la vita senza viverla fino in fondo e il suo dolore lo ha solo accantonato, senza mai riuscire ad elaborarlo davvero.
È quando Michele si presenta nel suo studio dicendo di essere un ex compagno di Leo, dicendo di averlo visto andare via con un uomo, in quella notte di neve, che il passato torna ancora più crudele a chiedere il conto. Ora Anna è adulta, ha i mezzi per affrontare la situazione o, forse, almeno per cercare di capirci di più. Perché Michele ha deciso solo dopo tutto questo tempo di farsi vivo rivelando le sue accuse? Chi sarà l'uomo che ha portato via Leo? Dov'è Leo? Mille sono gli interrogativi che sorgono nella mente della donna sia sul presente ma, soprattutto, sul passato, quel passato in cui lei, ragazzina, passava i pomeriggi seduta davanti all'istituto, sperando che suo fratello tornasse, così come era andato via.
Un romanzo che ci regala sprazzi di ricordi di una Anna ragazzina ma che, soprattutto, analizza la Anna adulta, le sue mancanze, i suoi non risolti. È bravo Stefano Corbetta a farci entrare nella testa dei personaggi, nella loro psicologia, a regalarci le loro emozioni.
È bravo anche a regalarci l'atmosfera dei luoghi che ci vengono raccontati. Quelle campagne di provincia, tra Lodi e Milano, lungo le rive dell'Adda, che io conosco bene, e che lui ci regala nitide, rendendole caratteristica speciale del suo romanzo, portandoci con lui, e facendocene ammirare i paesaggi.
Uno stile che ammalia, che non usa paroloni ricercati ma che, nell'insieme, risulta poetico e melodioso.
È impossibile dopo aver letto questo romanzo, non riflettere sul tema della mancanza, sul tema della disabilità - che sia la sordità come in questo caso o un altro tipo -, sul tema dell'elaborazione del dolore, sul tema della solitudine. Impossibile rimanere indifferenti al richiamo di chi, con maestria, ci ha regalato con questo romanzo una chicca nel panorama narrativo contemporaneo.
Lettura assolutamente promossa e consigliata! Io intanto andrò a recuperare i precedenti lavori di questo autore che, mea culpa, non conoscevo ma che, d'ora in poi terrò assolutamente d'occhio.
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