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venerdì 27 novembre 2020

Letture con Marina #110 - Recensione di Io sono Zelda di Andrew David MacDonald

Buon pomeriggio lettori, un altro venerdì è giunto e insieme a lui, lo sapete ormai, arriva Marina con una nuova recensione.


Devo aver colto una “conversazione” tra una scrittrice ed un editore forse. Ma nonostante io abbia anche cercato, non sono riuscita a trovare traccia dello scambio di battute su questo romanzo, che nonostante sia un’opera prima, ha ricevuto entusiastici riscontri. E come di consueto, nonostante anche la copertina esteticamente molto accattivante di cui i colori sono parte portante, almeno fino a metà romanzo la mia partecipazione come lettrice è stata tiepida. Assai. Ma ad un certo punto, quando i problemi si sono fatti più concreti e reali e la presentazione dei personaggi si è esaurita su se stessa, ecco che finalmente la meraviglia e l’interesse hanno fatto capolino…
 
Titolo: Io sono Zelda
Autore: Andrew David MacDonald
Casa editrice: Sperling & Kupfer, 2020
Traduzione:
Alda Arduini
Pagine: 368
 
Trama: «Non serve essere perfetti per diventare eroi.» Per Zelda MacLeish «il mondo è un posto dove le cose che contano di più sono il coraggio e far parte di una tribù, in cui siamo tutti vichinghi che remano insieme al ritmo dello stesso tamburo». Zelda adora i vichinghi: ne conosce a memoria tradizioni e miti, ne ammira il coraggio e la possibilità che offrivano a tutti di diventare eroi di una leggenda. Anche alle donne (le valchirie erano più forti di tutti). Anche alle persone quasi invisibili come lei. Zelda è invisibile perché è diversa, che, come è solita spiegare, «è un modo più carino per dire ritardata». È nata con un disturbo cognitivo per il quale gli altri non la ritengono in grado di decidere per se stessa, anche se ormai ha ventun anni e ha le idee molto chiare sulla vita, che organizza rigorosamente in liste da seguire. A prendersi cura di lei è Gert: il suo fratello, il suo guerriero, l'unica famiglia che le resti. Gert è bravissimo a sopravvivere alle battaglie della vita, ma anche a mettersi nei guai. Così, quando Zelda scopre che il fratello ha trovato un metodo discutibile e pericoloso per guadagnare i soldi necessari a mantenere entrambi, decide di prendere in mano la situazione. Ben presto, si ritroverà alle prese con una sfida che metterà a dura prova il suo coraggio vichingo e si scoprirà disposta a tutto pur di scrivere da sola la sua leggenda. Anche ad andare contro le regole, se si tratta di salvare la sua tribù. "Io sono Zelda" è il primo romanzo di Andrew MacDonald.
 

 
RECENSIONE: 
 
Avevo accennato anche a Daniela, che gentilmente mi ospita da qualche anno nel suo blog, che arrivata a circa metà romanzo, non avevo ancora capito perché tanto entusiasmo per questo libro. Nonostante sia narrato in prima persona dalla protagonista, Zelda, non mi stava prendendo. Ho letto scorrevolmente la parte iniziale che di solito serve a presentare un po’ i personaggi, prima che questi prendano il volo e continuino il loro viaggio senza sentire troppo l’ingerenza dell’autore. Eppure niente, piacevole e nulla più. Tra l’altro devo dire che quando un libro tratta di un deficit personale, qui una persona “speciale”, o come si diceva fino ad un ventennio fa circa, ritardata – oppure in generale una qualsiasi patologia, a me sembra che la vicenda che l’autore costruisce, nonostante la fantasia, resti sempre ancorata a quel dato argomento, potendosi discostare molto poco e rischiando molto spesso di restare ancorata a clichè oramai triti. E questo romanzo pareva percorrere il medesimo abbrivio.

E invece a circa metà strada la vicenda si è trasformata. Siamo ancora in compagnia di una ragazza di ventuno anni che ha problemi, dovuti ad esposizione fetale ad alcool. Siamo ancora in compagnia di Gert, il fratello maggiore che ha sempre cercato di proteggerla dal mondo cattivo da cui provengono, facendo ad un certo punto più male che bene, sia a lei che a se stesso. Siamo sempre in compagnia della ex-fidanzata di Gert, una super-eroina un po’ fuori dalla realtà, che sbarca il lunario facendo l’autista di pulmini. E siamo sempre nello stesso mondo che l’autore ci ha presentato, anche se mi pare che mai ci dica esattamente in che città ci troviamo. Non che questo abbia in realtà grande importanza.  

Però qualcosa ad un certo punto cambia. Non siamo più in presenza di una bambinona di ventun anni con le sue liste e regole da rispettare, con le sue fantasie sui vichinghi. O meglio, non solo. Zelda è sempre lei naturalmente, solo che sta cercando di cambiare. Lo sta facendo con le pulsioni di una giovane donna che vuole un uomo accanto a sé per vivere quell’esperienza sensoriale che il corpo in gioventù reclama e che più tardi si modifica al fine di formare una famiglia (o perlomeno l’istinto è quello, anche se poi capisce che il suo fidanzato non potrà mai essere al suo livello di capacità, in quanto più “menomato” di lei). Lo sta facendo perché il ritardo cerebrale che ha subito non è così consistente da non farle vedere e desiderare l’indipendenza, la facoltà di poter decidere della sua vita in piena autonomia, soprattutto quando si rende conto che il suo capo-tribù, il fratello Gert, prende decisioni sbagliate per cercare di proteggere i suoi cari, cioè lei stessa, Zelda. Lo sta facendo perché si rende conto che il fratello Gert non rispetta le regole che insieme si sono dati, prima fra tutti la promessa di non mentirsi mai.

E’ la vita vera e non ovattata che il fratello vorrebbe per lei, che irrompe nella vita di Zelda. Con tutti i problemi, le banalità, le cattiverie, le esperienze nuove, le fregature che la vita reale, quotidiana, ti riserva. Ma è proprio in questo preciso momento che il romanzo si eleva al di sopra di quella minestrina riscaldata che è stato nella prima metà. La cosa che mi è piaciuta molto, essendo poi di natura melanconica, è che l’autore non ha edulcorato il tutto in situazioni che si concludevano in rosa o positivamente. Il che avrebbe reso il tutto piuttosto banale e privo di senso. Qui in questo spaccato di vita, lo scrittore ci presenta la realtà nelle sue sfaccettature. Qualche volta ci sono risvolti positivi, qualche volta si cade – e qualche volta si è così fortunati che anche cadendo ci si sbuccia solo un ginocchio, invece che rompersi l’osso del collo. Ed è quanto accade qui.

Un aspetto fondamentale e che viene portato continuamente all’attenzione del lettore è la differenza tra Zelda ed il fratello maggiore Gert. Partono entrambi svantaggiati per la situazione familiare ed economica in cui vivono. Ma Zelda, pur avendo problematiche importanti, evolve come persona, tra gli alti e bassi della vita, mentre il fratello Gert, pur con le più buone intenzioni ed il cuore votato per la sorella, non evolve mai dalla sua situazione, restando almeno fino alla fine del libro un debole, che non coglie l’occasione di imparare dai propri errori e che ha sempre bisogno di una persona forte al suo fianco che lo sorregga. E anche il personaggio della sua ex fidanzata, molto amica di Zelda, che ad un certo punto si rimette insieme a Gert, alla fine del romanzo, dopo un’avventura che metterà a repentaglio la sua vita e quella di Zelda, imporrà a se stessa una scelta che le rende onore e che solleva ancora di più questo romanzo, dando una prospettiva ed uno spessore a queste vite che una scelta diversa avrebbe invece affossato.

Ci piace concludere prendendo a prestito le parole di Zelda: «Non serve essere perfetti per diventare eroi. Il mondo è un posto dove le cose che contano di più sono il coraggio e far parte di una tribù, in cui siamo tutti vichinghi che remano insieme al ritmo dello stesso tamburo.»
 
A presto




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