Buongiorno lettori, non è venerdì ma la fine del mese si avvicina e con esso la necessità di postare recensioni per le challenge di lettura in corso quindi mettetevi comodi perchè torna Marina con una recensione.
Una sorta di esperimento: può un uomo, un autore con il nome perfetto per il protagonista di romance, scrivere del Giappone… sul Giappone… con la stessa leggerezza poetica di un autore giapponese?
Autore: Nick Bradley
Casa editrice: Nord, 2020
Pagine: 360
Traduzione: Claudine Turla
Trama: Tokyo è una metropoli proiettata sul futuro, in cui tutto cambia rapidamente. Ora che si sta preparando a ospitare le Olimpiadi, le gru dei cantieri punteggiano il cielo, interi palazzi vengono rasi al suolo e ricostruiti, nuove strade si aprono tra i grattacieli. Eppure, nel quartiere di Asakusa, accanto al tempio più antico della città, c’è una piccola bottega rimasta identica da secoli. È il laboratorio di un tatuatore, forse l’ultimo a usare aghi e inchiostri tradizionali. In pochi lo conoscono, e ancor meno sono disposti a sottoporsi a quella tecnica che rende i colori estremamente vivi, ma così dolorosa da spaventare persino gli uomini della yakuza. Eppure, un giorno, in quella bottega entra una ragazza a chiedere un tatuaggio che le copra tutta la schiena: una rappresentazione fedele di Tokyo, senza nessuna presenza umana. Sebbene un po’ sorpreso da quell’insolita richiesta, che necessiterà di mesi di lavoro, il tatuatore accetta. Ma dopo qualche tempo, mentre sta disegnando l’incrocio di Shibuya, non resiste alla tentazione d’inserire una gattina calico proprio davanti alla statua di Hachiko. Tuttavia, durante la sessione successiva, il tatuatore si accorge che la gatta è sparita. Incredulo, la cerca nel disegno e la vede nascosta dietro un palazzo di Ginza. E ancora eccola svanire di nuovo, per rispuntare sul tetto della stazione di Shinjuku. Come se avesse preso vita. Ciò che lui non sa è che, da quando ha inserito la piccola intrusa nel tatuaggio, una gatta calico ha iniziato a girare per le strade di Tokyo, incontrando di volta in volta persone diverse: da un senzatetto cui le ruspe hanno distrutto il rifugio a una traduttrice in cerca di fortuna; da un tassista appena rimasto vedovo a un ragazzino bullizzato che ha il disperato bisogno di un amico. Per tutti questi individui, la gatta è un’apparizione fugace, un dettaglio sullo sfondo presto dimenticato. Nessuno si accorge che è proprio lei la molla che li spinge a deviare la traiettoria del loro cammino, a incontrarsi in qualche modo, a tirare il filo che lega il destino di tutti loro.
RECENSIONE:
Ce n’è da dire su questo romanzo… il problema è semmai il contrario! Il mio incipit è provocatorio, sia per il dubbio della possibilità di battersi ad armi pari con un autore giapponese, sia per l’assonanza del suo nome ad un protagonista di romance, a patto di non vedere il suo volto, perché allora ci si dimentica subito dell’eventuale romance.
Scherzi a parte, e ritornando al romanzo… Gli argomenti da porre sul piatto per capire come considerare questa prima prova letteraria dell’autore sono molteplici. Uno degli aspetti che mi hanno fatto propendere per questa lettura, nonostante fosse un esordio, è stato leggere la biografia di quest’autore e sapere quindi che ha vissuto per otto anni in Giappone e che poi è rientrato in Gran Bretagna per conseguire un dottorato in critica letteraria, in cui ha approfondito la figura del gatto nella letteratura giapponese.
Ed è quindi interessante l’idea di ispirarsi alla leggenda giapponese del “bakeneko”, demone gatto capace di assumere le sembianze di una fanciulla, per condurci a spasso per Tokyo, per conoscere forse la più multiforme e mutevole metropoli del mondo e con essa un campionario di umanità che ci allontana un po’ dagli stereotipi del Giappone degli ultimi dieci anni, che ci presentano quest’isola come una moltitudine di ossequiosi abitanti, sempre alla ricerca della bellezza nelle cose ed in tutti gli aspetti della vita, votati al massacro delle specie marine per cibarsi di pesce crudo e rimanendo al contempo gentili e sorridenti, mentre magari vengono colti in metro a leggere manga. Ho scordato qualcosa ?
Una diciottenne si reca nell’antico quartiere di Asakusa, a nord-est di Tokyo e sul fiume Sumida, dove c’è lo studio di Kentaro, uno dei migliori e ancora pochi tatuatori che utilizzano l’antica e tradizionale tecnica del “tebori”. Vuole farsi tatuare sulla schiena l’intera città di Tokyo. A parte per alcune considerazioni di carattere pratico-economiche, Kentaro tenta di dissuadere la giovane Naomi anche perché, proprio per la tecnica dolorosa che utilizza, normalmente sono oramai solo gli appartenenti alla yakuza e pochi altri che vanno a farsi tatuare da lui. Ed è così che incontriamo per la prima volta questa ragazza, dagli occhi con particolari riflessi verdastri, e di conseguenza la gatta “calico” (gatto domestico di qualsiasi razza con un mantello tricolore), che ci farà conoscere tutti i personaggi sognati da Nick Bradley e la città, sogno di milioni di persone, nella quale ha vissuto per parecchi anni e che è “una griglia di edifici divisi da strade, con canali che si snodano tra vicoli sottili, la baia disordinata e le vene e i capillari delle linee ferroviarie che pompano le persone in tutta la città”.
Come dicevamo, c’è un po’ un campionario di umanità in questo primo romanzo di Bradley. C’è anche tanto parlare di cibo, tanto buon cibo – e scopriamo, almeno da quanto racconta Bradley, che i giapponesi sono grandi estimatori della birra. E ci sono anche molte spiegazioni/racconti in diversi piccoli camei del perché ad esempio il teatro “kabuki” ad un certo punto è stato vietato dal governo, così come il perché l’arte del tatoo tradizionale è andato in disuso, nonostante inizialmente fosse il segno distintivo dei pompieri, amati e rispettati come in qualsiasi parte del mondo. Due piccoli esempi, che non appesantiscono il narrato proprio perché inseriti in un quadro di conversazioni, di cui noi lettori siamo semplicemente incuriositi spettatori. E poi ci sono i capitoli stessi che, come molte volte accade, danno il là ed anticipano di cosa si parlerà e come si intreccerà la vicenda principale.
E così conosciamo l’apripista Kentaro, che incide la schiena di Noemi e nonostante il divieto della giovane ragazza, le tatua di nascosto una gattina calico, proprio sull’incrocio di Shibuya… salvo all’appuntamento successivo, ritrovare il disegno della gattina in una stradina laterale della Tokyo Tower!, e scoprire successivamente che l’animale si sposta continuamente… E per lui oramai, dopo tanti mesi di sedute, la sua Noemi, il tatuaggio e la gattina diventano un’ossessione, tanto che prende la decisione di uccidere la ragazza alla fine dell’ultima seduta. Ma come in una matrioska, mentre è chino per gli ultimi ritocchi e sta per prendere il coltello, vede sé stesso anche all’interno del suo studio di tattoo sulla schiena della ragazza, e con lui anche la gattina calico, e il sé stesso all’interno del disegno vede un altro sé stesso che sta tatuando Noemi, con la gatta fuori dal negozio, in un esasperante rimando senza fine, che lo imprigiona senza possibilità di scampo.
Una dopo l’altra, così come un capitolo dopo l’altro, si dipanano diverse vicende che inizialmente sono slegate le une dalle altre, se non per il fatto che in ciascun quadro sarà sempre presente la gattina calico oppure Noemi. Incontreremo il senzatetto Ohashi, un famoso “oratore rukugota”, che nel capitolo “Parole e Cadute” ci racconterà la sua vita di trionfi e di dolorose perdite, insieme a quella di altri senzatetto, (con menzione particolare all’antipatico Keita, ex yakuza, che ritroveremo più avanti), prima che a causa della “pulizia” in occasione delle Olimpiadi di Tokyo 2020, venga preso insieme ai suoi compagni di strada e rinchiuso in una sorta di ospizio/prigione. Nel capitolo “Street Fighter II (Turbo)” incontreremo soprattutto Kyoko e Makoto, due impiegati appassionati di un vecchio videogioco in particolare, che lavorano nell’azienda del padre di Ryu, loro superiore… Oppure leggeremo dell’intensa e straziante amicizia che lega un “hikikomori” ad un bimbo che salva la gattina calico, che è imparentato con…
E poi incontriamo un taxista, che ci metterà in contatto con altri due sue colleghi e soprattutto con la “nippologa” Flora, un’americana che lavora e vive a Tokyo come interprete e che insegue la traduzione dei suoi sogni, il libro di Nishi Furuni . E conosceremo anche il detective Ishikawa, che verrà incaricato da una coppia di rintracciare il figlio scomparso. E torneremo indietro e intuiremo che il taxista ha a che fare con il sopra menzionato rukugota con la bandana viola, che a sua volta ha a che fare con la figlia del taxista che è scappata a New York e sta per tornare a Tokyo in occasione delle Olimpiadi.
E a proposito delle Olimpiadi di Tokyo 2020, che non si sono tenute a causa del Covid, Nick Bradley ha deciso per il bene del suo narrato di sospendere la realtà e procedere come se i Giochi si fossero veramente svolti. Vi consiglio di andare a vedere la bella intervista dello scorso mart. 20.04, sul canale IG di Marta Perego, dove potrete seguire la simpatica e curiosa intervista all’autore.
Sì, forse dentro c’è un po’ tanto, un po’ tutto ciò che di stereotipato sappiamo del Giappone. Però l’interessante in questo romanzo è che lo si percepisce solo a lettura ultimata, invece mentre lo si legge si trovano gli argomenti e gli stessi stereotipi del tutto naturali, confacenti non solo alla lettura, ma al Giappone stesso. Non stonano. Ci dovremo riflettere dopo, per realizzarlo.
E soprattutto, diversamente da quanto avviene in altri romanzi che io definisco di scatola ad incastro, qui Bradley opera una magia che non avevo ancora trovato negli altri: le connessioni non sono “telefonate” e si scoprono solo nel momento in cui l’autore decide di svelarle. E questa particolarità è un grande incentivo nel vorace desiderio di proseguire che coglie il lettore. Alcune parti, come quelle tra la coppia giappo-cinese di Mari e George forse perdono un po’ il fascino e la leggerezza asiatici per catapultarci all’improvviso nella letteratura americana e fanno un po’ da stacco in tutto l’elaborato dal ritmo così pacatamente orientale. Ma non è uno stacco pesante.
Ma prima della fine e dell’invito a leggere questo intenso romanzo, come è cultura e tradizione in Giappone, voglio che teniate a mente questo augurio, perché solo così potrete comprendere appieno quanto la gattina calico, la bakeneko, sta operando nel romanzo e vorrebbe parimenti nelle vite con cui viene a contatto : “Okaeri nasai”, Bentornato a Casa.
A presto
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