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venerdì 10 luglio 2020

Letture con Marina #97 - Recensione di Con passi giapponesi di Patrizia Cavalli

Buongiorno lettori, ci siamo, oggi torna Marina con una recensione
Poesia e Prosa… Prosa o Poesia. Ma cosa ci facciamo in mezzo ai versi, se non perderci definitivamente e fors’anche rimanere ad occhi bassi, vergognosi di non capire. Eppure alle volte la poesia si fa prosa e ci viene incontro, imbrogliandoci, per farsi accorgere nuovamente poesia ed ammiccare al nostro titubante e riflessivo incedere di tra le pagine…
Titolo: Con passi giapponesi
Autore: Patrizia Cavalli
Casa editrice: Einaudi, 2019
Pagine: 168
Trama: In queste pagine, troppo a lungo rimaste inedite per distrazione editoriale dell'autrice, è scritta la storia morale parallela, a rovescio, che ha accompagnato per decenni l'opera di uno dei maggiori poeti contemporanei. Non propriamente narrativa né saggistica, o le due cose insieme, la genialità analitica e visionaria, percettiva e sintattica che qui sorprende il lettore non ha precedenti nella letteratura italiana del Novecento, se non forse nella prosa di Roberto Longhi, Elsa Morante, Goffredo Parise. Si tratta comunque più di parziali affinità che di derivazione: perché in ogni suo capitolo, ognuno a modo suo e con stile diverso, in frammenti autobiografici, parabole aneddotiche, ritratti e microfilosofie dell'amore, dell'invidia o dell'estasi sensoriale, "Con passi giapponesi" ubbidisce a un solo comandamento: «Devo capire». Se la poesia, come ha detto qualcuno, è la sola scienza possibile di quanto nella vita non si dà altra scienza, queste prose di poeta rivelano capacità figurative, speculative e satiriche che nei libri di versi erano comparse solo occasionalmente e soprattutto in poemetti memorabili come La Guardiana, Aria pubblica, La patria, La maestà barbarica. Fin dal primo testo che dà il titolo al volume, chi legge si trova a contemplare un mondo comico-tragico, labirintico fino alla vertigine, in cui entrano in scena passioni senza esito e disperati, coattivi manierismi sociali in cui la vita si dissangua fingendo se stessa." (Alfonso Berardinelli)

 



RECENSIONE:




Sedici racconti, di cui i più lunghi sfiorano le 20 pagine – ed alcuni molto brevi, per parlarci del noi, del sé, del corpo, della percezione che ognuno ha di sé e degli altri, delle persone amate ma non nominate, degli oggetti adorati, delle fissazioni e dei tic e delle mode, della voce umana, dell’invidia e della rabbia, della depressione, della malattia e della morte…

“Con passi giapponesi è una raccolta di testi in prevalenza inediti; dei cinque già apparsi, il più antico, “Arrivederci anzi addio”, è uscito su «Paragone» nel 1975. Ampio, dunque, l’arco cronologico delle composizioni; e piuttosto vario il tenore dei diversi pezzi”.

Abbiamo detto in apertura Poesia o Prosa: difficile decidere, mentre si sta leggendo questo componimento che pare un mixage delle due cose. Troppo poetico per essere semplice prosa. E nonostante tutto, indiscutibilmente un condursi con “i lunghi passi della prosa”, procedendo nella direzione che la Cavalli ci indica, in mezzo a racconti, memorie e meditazioni sulla vita.

La peculiarità che sin dall’apertura ci colpisce, è la composizione molto accurata, quasi maniacale (mai fastidiosa), dei sostantivi e degli accoppiamenti insoliti tra le varie parole, ricercate sia a livello di suono, che di metrica e significato e ancora di ritmo.

“Con passi giapponesi” rimarrà per me, da ora in poi, un modo di dire per significare una passeggiata fisica a passetti corti, lievi ed eleganti, come quelli che nel primo racconto, che dà il titolo all’intera raccolta, fa la signora sarda, rientrando verso casa, dopo essere stata al mercato rionale ed essere stata bonariamente presa in giro dal venditore. In questo stesso primo racconto, uno di quelli che mi ha colpita di più, in aggiunta alla parte iniziale in cui si racconta di una signora sarda che si vergogna della sua provenienza a causa delle “sibilanti feroci e le dentali a baionetta!”, mi ha incatenata la disamina dell’attitudine tutta femminile al rimpianto del tempo che passa e alla verifica di quegli stessi segni sul viso e sul corpo delle proprie consorelle, ad un tempo odiate nemiche e sorelle bisognose di compassionevoli parole di conforto. Con un’invidia definita dalla Cavalli ”non operativa”, nel senso che non è intesa per compiere con volontà e premeditazione qualcosa di malvagio o criminoso. E’ più una comune inquietudine dolorosa, da parte delle donne in genere, nello scrutare l’aspetto femminile altrui.

E che dire del brevissimo “La casa”, se non altro per l’accenno alla comoda poltroncina di platea dell’Opera di Parigi, alla Bastille. Oppure del racconto “La colonna di Porfido”, dove a tratti in romanesco, ci viene presentata la sua passione per il “porfido lattinato”, qui in una colonna pesante più di 5 quintali (ahimè, averne calcolato meglio il peso!) e che in lungo empito di pazzia, tenta perfino di rubare, con la complicità di tre energumeni prezzolati . Impagabile!

Credo sia naturale affezionarsi in modo particolare a qualcuno dei racconti, quando si ha la felice intuizione di leggere dei componimenti sciolti, che ti consentono una distinzione tra i preferiti ed i meno sentiti. Dopo il primo racconto, mi sono ritrovata nell’ingannevole “Ricordi di infanzia e di adolescenza”, dove il pretesto dei ricordi dà in realtà voce alla continua battaglia madre-figlia, giocata tra la pietà ed il rancore, con la cattiveria istintiva che ogni guerra comporta.

“Scarpe da ballo” non può non affascinare per il colore attribuito alle scarpe acquistate: lavanda, limone d’Amalfi e ruggine fresca… Che accostamento audace, eppure indimenticabile. Difficili da portare queste scarpe, ma immaginifiche insieme al pomeriggio di acquisti insieme alla Mary. Con una fresca ingenuità di bambina credulona, ma che dona una felicità immensa.

Non continuerò l’elenco, perché potrei aggiungere asetticamente il racconto dei ricordi con la nonna, oppure il “Mal di testa”, escamotage che consente l’isolamento…

Quello che è interessante è che la poetessa e la prosatrice insieme qui si incontrano per raccontare spaccati di vita e di oggetti e situazioni e memorie che potrebbero essere un’auto-analisi, messa a disposizione dei lettori, per una riflessione che riguarda in generale un po’ tutti noi. Ma potrebbe essere la vita che la donna e la scrittrice assorbono, per essere rilasciati un po’ alla volta, a volte in forma di poesia, a volte a mo’ di saggio o di narrazione a sé stante.

Capto in alcuni racconti come un’apatica leggerezza, mentre in altri ravviso esperienze personali forti come ad esempio la battaglia contro il cancro, che nella guerra per la guarigione si porta via tutto: la forza di volere e soprattutto la memoria, senza la quale il genere umano – ed il poeta in primis – non può continuare a procedere in linea retta.

Chiudo con i racconti “Fare i bagagli”, che mette ironicamente a confronto il viaggiatore pesante ed il viaggiatore leggero, facendomi sorridere spesso per le necessità di chi per soli tre giorni in viaggio si porterebbe appresso un armadio intero e “Le gattare”, con un cameo con Elsa Morante e le variazioni dei tanti tipi di gattara che esistono.

Un libro da meditazione, da sorseggiare e interrompere racconto per racconto, per aiutarci a rallentare la vita caotica, a volte tristemente ripetitiva e senza senso - e sempre vissuta in fretta, quasi che fermarsi a pensare fosse IL pericolo estremo. E forse anche noi in certi momenti della vita avremmo bisogno di un Sig. Casimiro, l’assistente polacco della poetessa, pronto a chiederci “Nervosa oggi, signora”?

A presto,





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