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martedì 28 settembre 2021

Letture con Marina #147 - La scuola della carne di Yukio Mishima

Buongiorno lettori, come state? Non è venerdì ma oggi torna Marina con una nuova recensione.


Autore giapponese che, al pari di una Virginia Woolf, condivide lo snervante primato di essere difficilmente collocabile in caselle standard, sia prendendo in esame la sua vita che “esaminando” la sua opera. Per quanto lo si legga e si cerchi di penetrare nell’essenza della sua vita, seppur a distanza di decenni dalla sua morte, e per quanto tutto di dominio pubblico, non si riesce a concepire e focalizzare il suo vissuto, pur tenendo come punto fermo le tematiche che palesa nelle sue opere. Come nel caso della Woolf, presa come mero esempio, il periodo storico gioca sicuramente un ruolo importante.



Ti
tolo: La scuola della carne
Autore: Yukio Mishima
Casa editrice: Feltrinelli, 2014
Traduzione: Carlotta Rapisarda
Pagine: 240

Trama: Taeko, elegante e avvenente donna di trentanove anni, conduce una vita agiata e godereccia, destreggiandosi tra l'atelier d'alta moda di cui è proprietaria, le amiche con cui condividere racconti piccanti ed eventi mondani cui partecipare. Stereotipo della donna divorziata e indipendente, immersa nell'alta società nipponica del dopoguerra, ove il desiderio di occidentalizzazione si contrappone a vecchie tradizioni e pregiudizi, Taeko non vuole rinunciare al proprio stile di vita né alla libertà. Poi, una sera, scorge il giovane Senkichi in un gay bar e l'attrazione è fatale. Una magia che scaturisce dalla carne fresca e virile del ragazzo, i muscoli ben tesi, i lineamenti fieri del viso. La vita di Taeko cambia in un batter d'occhio: proprio colei che aveva sempre voluto avventure di poco conto, si ritrova irrimediabilmente in balia di un giovane tanto bello quanto misterioso. Ne scaturisce un gioco perfido e ossessivo. Ma chi è davvero la vittima? Chi il carnefice?

 

RECENSIONE:   




Che lo si legga con curiosità, magari pensando di immergersi in un libro meramente erotico, oppure per conoscere o proseguire la conoscenza di quest’autore giapponese particolare, una cosa è certa: mai come in un’opera come questa le tematiche sono così ben identificabili e riconoscibili, tanto che si stenta a credere alla bellezza in cui si è immersi. Come dicevamo poc’anzi, il periodo storico gioca sicuramente un ruolo importante in questo romanzo dalla cupa bellezza a tutto tondo, seppur in un certo qual senso malata. Parliamo di un contesto geografico e sociale che l’Occidente ha sempre tenuto d’occhio con un empito di desiderio invidioso, un po’ perché completamente diverso dal mondo occidentale, anche perché, come Gran Bretagna - con regnanti reali – docet, l’imperatore/trice e la sua corte attirano sempre e anche, perché no, il richiamo della geisha e del mondo che rappresenta è sempre conturbante. Basta questo per immaginare che questo libro sia una meraviglia, un fiore delicato che petalo dopo petali si disvela poeticamente allo sguardo del lettore? No, naturalmente. E nonostante questo sia ritenuto uno dei libri così detti commerciali di Mishima, o meglio una versione “popolare”, pure non si rimpiange di non avergli preferito il fratello più osannato, “Colori proibiti”, pubblicato da Mishima tra il 1951 ed il 1953.

Personalmente sono stata attirata un po’ dalla copertina soft-porno della Feltrinelli, alla quale va senza dubbio il merito di aver finalmente pubblicato il romanzo in italiano nel 2013, e che, approfittando del titolo e dei temi trattati, ha strizzato un po’ l’occhio al lettore con questa rappresentazione femminile l pudica per la posa, pur se nuda in sostanza, e al contempo voluttuosa per la figura in sé e per gli oggetti che la mettono in primo piano (la sigaretta con il fumo a nascondere parzialmente il viso e la particolare seduta, sia come posa che come oggettistica).

Detto questo, la trama si svela pian piano durante la lettura: tre amiche ricche e appartenenti alla nobiltà giapponese in lento ma progressivo declino durante gli anni che seguono la Seconda Guerra Mondiale, il loro aver fatto il dovere filiale ed essersi poi emendate da questo errore con il divorzio, le loro attività commerciali che le emancipano e permettono loro di vivere sopra le righe, spendendo senza freni e frequentando il bel mondo, tra eventi mondani di alta levatura, pettegolezzi e visite nei sobborghi malfamati per un assaggio di vita vera o forse per rincorrere la giovinezza che se ne sta andando.

E’ in una di queste occasioni che la protagonista trentanovenne, la bella ed elegante Taeko, erede di una casata nobiliare e proprietaria di un atelier di moda, incontra il barman Senkichi, che lavora in un gay bar. Da questo momento Taeko, che ha sempre mantenuto l’indipendenza nonostante le variegate avventure sentimentali, si inoltra in una relazione che se da un lato è sbilanciata per età, rango sociale e tipologia di relazione, visto che una delle due parti gioca certamente il ruolo di un gigolò, ciò nonostante le fa desiderare per la prima volta la convivenza con un altro essere umano, proprio a dispetto di ciò che al momento è la loro relazione.

Ed è proprio qui che Mishima, con una poetica fredda, distante e secca, nonostante ci faccia vivere le trepidazioni di questa creatura autoritaria ed orgogliosa, a tratti spaventata ed insicura di un uomo tanto più giovane e oscuro rispetto a lei, ma affrancata dal normale comportamento di una donna, per di più giapponese, e negli anni successivi alla Guerra, che ci fa intravvedere la maestosità del suo scrivere e, come dicevamo all’inizio, ci fa capire pagina dopo pagina di quali temi vuole saturare il suo racconto, nell’analizzare gli sviluppi della relazione fino alla sua conclusione, non entrando mai nei dettagli del rapporto più fisico, ma accennando e lasciando il resto all’immaginazione del lettore, in ciò mantenendo nel racconto quell’eleganza che il rimestare dettagli della parte più sessuale della relazione avrebbe solo potuto lordare.

Il senso di vuoto che circonda l’esistenza, la potenza del pensare ed interpretare la realtà fisica del corpo, l’omosessualità, l’antitesi e i paralleli tra giovinezza e vecchiaia, tra l’Occidente e un Oriente che si presta passivamente da sconfitto al contagio degli stranianti costumi occidentali. La dualità vita / morte e verità / l’apparenza. Tanti temi, ciascuno dei quali così ben bilanciato all’interno del romanzo, che il piacere della lettura si estingue solo alla fine del libro, permettendo quindi soltanto in un secondo momento di rendersi conto che dietro la narrazione, proprio in forza della vita di Mishima, c’è un mondo concreto di una portata impegnativa.

E allora, riprendendo la domanda iniziale, basta tutto questo per trasformare un libro in un’esperienza che s’innesta nella Storia? Siamo in grado di notare tra le righe i concetti dei valori della tradizione contro l’aridità spirituale del mondo contemporaneo? Della cultura del Giappone imperiale contro il processo di modernizzazione? E di nuovo, del rapporto di stretta correlazione tra forza ed erotismo, sensualità e violenza, vita e morte? O faremo lo stesso madornale e secolare errore di sempre, innamorandoci di un uomo che per noi non prova niente? Eppure, nel finale che Mishima sceglie per la coppia protagonista, un finale realmente inaspettato, ci interroghiamo insieme a Taeko, nella domanda che più di qualche volta ci viene a disturbare: ma la vita, in fondo, altro non è che una scuola perpetua? E noi, nella nostra esperienza di vita, seppur così diversa da questa protagonista orientale, abbiamo “finalmente” terminato la scuola…?

A presto




 

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