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lunedì 31 ottobre 2016

Gruppo di Lettura: Ritorno a Riverton Manor di Kate Morton - Tappa 1



Buogiorno carissimi, eccocia alla prima tappa del gruppo di lettura organizzato in collaborazione con Baba del blog Desperate Bookswifededicato al libro Ritorno a Riverton Manor di Kate Morton.
Vi ricordo che potete iscrivervi in qualsiasi momento e potete commentare anche se avete letto il libro tempo fa e volete dire la vostra opinione relativa alla prima parte del libro. Mi raccomando solo di non fare spoiler sulle parti successive del libro.



Prima di entrare nel vivo del libro facciamo un piccolo riepilogo del calendario:

SPIEGAZIONI E TAPPE

  • Dal 17 ottobre al 31 ottobre: Lettura Parte 1 - 12 capitoli per un totale di  154 pagine
  • Dal 31 ottobre al  7 novembre: Lettura Parte 2 - 10 capitoli per un totale di 146 pagine
  •  Dal 7 novembre al 14 novembre: Lettura Parte 3 - 6 capitoli per un totale di 94 pagine
  • Dal 14 novembre al 21 novembre: Lettura Parte 4 - 8 capitoli per un totale di 112 pagine

IL LIBRO

Titolo: Ritorno a Riverton Manor
Autore: Kate Morton
Casa editrice: Sonzogno
Pag.: 515

Trama:  Inghilterra 1924. È la festa di inaugurazione della sontuosa dimora degli Hartford, e il fragore di uno sparo si confonde con i botti dei fuochi d'artificio che illuminano il cielo. Il poeta Robert Hunter giace senza vita nei pressi del laghetto della tenuta, con la pistola ancora fumante in mano. È suicidio? Di sicuro è uno scandalo che scuote fin dalle fondamenta l'aristocratica casata, perché le uniche testimoni del fatto sono le sorelle Hannah ed Emmeline Hartford. Che da allora non si parleranno mai più. Inverno 1999. Sono passati più di settant'anni da quella notte, e la quasi centenaria Grace Bradley, nella casa di riposo in cui trascorre i suoi ultimi giorni, è convinta di essersi lasciata per sempre alle spalle i fantasmi del passato e i tristi ricordi. Ma una giovane regista americana, che vuole realizzare un film sulle sorelle Hartford e su quel misterioso suicidio, chiede la sua consulenza. Grace, infatti, oltre che testimone di tempi ormai remoti, è stata anche direttamente coinvolta nella vita della famiglia: cameriera personale di Hannah, fin da bambina aveva servito come domestica a Riverton Manor. Dapprima riluttante, accetta poi di collaborare e comincia a rievocare le vicende dei giovani Hartford, destinati a un'esistenza tanto fulgida quanto breve: il promettente David, partito giovanissimo per il fronte e mai più tornato; la sensuale e intelligente Hannah; la gaia e capricciosa Emmeline; e soprattutto l'enigmatico Robert Hunter, del quale entrambe le sorelle erano innamorate...


   LE MIE IMPRESSIONI


Una prima parte che, per quanto mi riguarda, si è fatta amare. Una parte conoscitiva, dove vengono gettate le basi per entrare in sintonia con i personaggi e per iniziare a comprendere la storia.
Ho ritrovato da subito lo stile ricercato di questa autrice e una narrazione capace di portarmi indietro nel tempo, in luoghi e tempi del passato. Una ricerca evidente dell’autrice sul periodo storico, tanto da riuscire a ricrearne perfettamente le ambientazioni.
Siamo in Inghilterra, intorno al 1990. La narratrice di questa storia è Grace, una ultra novantenne ormai residente in una casa di riposo: una lunga treccia bianca, le giornate che scorrono tra un tè, una boccata d’aria in giardino, quattro chiacchiere con l’inserviente della residenza per anziani, qualche passeggiata ogni tanto con la figlia Ruth. È in uno di quei giorni tutti uguali che Ursula Ryan scrive a Grace perché sta per realizzare un film; le riprese inizieranno a giorni, e vorrebbe sincerarsi che la ricostruzione degli ambienti della residenza degli Ashbury a Riverton Manor sia impeccabile. Chi meglio di Grace, che ha lavorato in quella casa come domestica potrà darle la conferma di fare un buon lavoro?
È così che Grace ritorna a fare i conti con il passato, con un suicidio che ci viene svelato nelle primissime pagine proprio dal copione di quel film. Da subito l’attenzione del lettore viene incuriosita dalle parole di Grace che spesso accennano ad un grandissimo segreto che non ha mai svelato a nessuno, un mistero che aleggia nell’aria per tutta questa prima parte del libro.
La narrazione ha dei continui flashback in cui Grace alterna momenti del presente con momenti del passato. Oltre a qualche accenno alla donna che è diventata, alla vita che ha vissuto, al rapporto con sua figlia ormai sessantenne, Grace ci racconta dei suoi anni trascorsi a Riverton Manor, dal suo arrivo in quella casa nel 1914 – quando aveva solo quattordici anni - fino allo scoppio della guerra. I suoi occhi sono i nostri occhi. Da domestica, durante il suo servizio, ha potuto assistere a molte conversazioni di famiglia; una testimone diretta dei principali avvenimenti e delle interazioni tra i personaggi.
La scelta dell’autrice di far lasciare a Grace novantenne la testimonianza vocale attraverso un registratore mi è molto piaciuta; il suo voler confessare il segreto che la accompagna da decenni a suo nipote Marcus è un espediente che le permette di ricapitolare la questione con lui e con i lettori proprio come se fossero essi stessi i destinatari di quel messaggio.
Moltissimi i personaggi con un ruolo importante che già in questa parte ci vengono presentati: dai fratelli Hartford – Hannah, la figlia maggiore, Emmeline, la minore e David, unico figlio maschio – a Robert Hunter – spesso chiamato Robbie che, dai racconti di Grace sappiamo essersi tolto la vita - a Marcus – nipote di Grace, scrittore, a cui l’autrice sembra preparare un ruolo di primo piano per le parti future del libro - .
Ci sono inoltre tantissimi personaggi secondari ma non meno importanti a livello di storia come Nancy, il signor Hamilton, la signora Townsend, Ruth, e moltissimi membri della famiglia. 
Molti sono anche i riferimenti alla letteratura e all’arte. Due gli argomenti che più mi hanno colpito. Il primo è la passione di Grace per Sherlock Holmes; in più passaggi questo dettaglio viene inserito nel racconto come il momento in cui Grace ragazza, da grandissima amante di Sherlock Holmes al suo arrivo a Riverton Manor per lavorare come domestica nasconde i suoi libri in uno scialle per paura che le vengano confiscati dal maggiordomo o più avanti il momento in cui va proprio a comprare l’ultimo libro di Doyle da un ambulante spendendo praticamente tutta la sua paga.

Poi diedi un’occhiata alla porta e con il cuore che batteva forte aprii il mio bagaglio segreto.
Conteneva solamente tre libri, le copertine arricciate con i titoli a lettere dorate un po’ sbiadite. Li riposi in fondo al cassetto, nascondendoli bene dentro lo scialle. Il signor Hamilton era stato chiaro: la Sacra Bibbia era consentita ma qualunque altra lettura, quasi sicuramente di natura pregiudizievole, doveva essere sottoposta alla sua approvazione, pena la confisca. Io non ero certo una ribelle, anzi allora nutrivo un profondo senso del dovere, ma era impossibile per me vivere senza Holmes e Watson. […]
Inoltre un motivo personale e segreto mi spingeva verso il villaggio. Era da poco uscito il quarto romanzo di Arthur Conan Doyle basato sulle inchieste di Sherlock Holmes, e io mi ero accordata con un ambulante perché me ne procurasse una copia. Mi sarebbe costato i risparmi di sei mesi, ma per la prima volta avrei acquistato un libro nuovo. La valle della paura. Il titolo bastava già a mandarmi in solluchero. […]
Gli avevo dato appena un’occhiata a casa dell’ambulante, solo per accertarmi che fosse il libro giusto. Ora potevo finalmente studiarne la copertina, passare le dita sulla rilegatura di cuoio, sfiorando i caratteri incisi sul dorso, La valle della paura. Sussurrai quelle parole così suggestive e mi avvicinai il libro al naso, inebriata dall’odore dell’inchiostro. Il profumo delle possibilità.
Il secondo in realtà è solo un passaggio che però mi ha conquistata ed è quello che rappresenta il nostro primo incontro – ed anche quello di Hannah - con Robert, in biblioteca, mentre si incanta ad osservare un quadro di Picasso.
Alla fine il suo sguardo si fermò su un dipinto. Una figura nera su fondo blu: una donna accovacciata che dava le spalle all’osservatore. Il quadro era quasi nascosto nella parete più lontana della biblioteca. fra due panciuti vasi cinesi, bianchi e azzurri.
Si avvicinò al dipinto per osservarlo meglio. […]
“Dire così tanto con così poco”, mormorò invece il giovane dopo qualche istante.
Hannah non fece commenti anche perché le spalle del ragazzo le impedivano di vedere il quadro. Sospirò, sempre più confusa.
“È incredibile”, proseguì lui. “Non vi pare?”
Davanti a tanta impertinenza, Hannah non potè fare altro che capitolare e andò a mettersi accanto all’ospite. “Al nonno non è mai piaciuto”, disse, sforzandosi di apparire disinvolta. “Lo trova triste e indecente. Ecco perché lo tiene nascosto qui.”
“Anche voi lo trovate triste e indecente?”
Hannah guardò il quadro come se non lo avesse mai visto.
“Triste sì. Ma non indecente.”
Robbie annuì. “Un’espressione così spontanea non può mai essere indecente.”
Ma vogliamo parlare di quanto debba essere meravigliosa quella biblioteca? Non vorrei mai doverla pulire come tocca fare a Grace ma perdermi in quella quantità spropositata di libri mi piacerebbe eccome!
Tirando le somme questa prima parte mi ha lasciato addosso una voglia irrefrenabile di sapere quale sia il grande segreto che la nostra protagonista ha mantenuto per anni, insieme alla voglia di capire che ruolo avrà Marcus nella storia. Se in più aggiungiamo che proprio sul finale di questa parte mentre gli uomini di casa partono per il fronte accade qualcosa che ci lascia a bocca aperta…bè, non so proprio come ho fatto a resistere tutto questo tempo prima di andare avanti. Quindi se non vi dispiace io andrei a continuare la lettura!!!

Ci vediamo lunedì 7 novembre sul blog di Baba - Desperate Bookswife - in cui si chiacchiererà della seconda parte del libro.

venerdì 28 ottobre 2016

Recensione #155 - Un calcio in bocca fa miracoli di Marco Presta

Buongiorno carissimi, come state? Io sto passando un periodaccio… lo so, ultimamente ve lo dico spesso ma purtroppo è così. Probabilmente è vero che i problemi non arrivano mai da soli, mi scuso quindi per la mia latitanza! Ma non voglio tediarvi ulteriormente quindi parliamo di libri. Sono qui oggi per lasciarvi una nuova recensione, quella del libro Un calcio in bocca fa miracoli di Marco Presta edito da Einaudi, pag. 190


Sinossi: "Io non ho più interesse per niente e nessuno, rubo penne, passeggio per strade degradate, sbavo per una portinaia e basta, basta così", dice di sé il narratore di questa storia, un vecchiaccio sgradevole e scorretto, burbero, perfido. Irresistibile. E se la portinaia di cui si è invaghito - una donna sulla sessantina, attraente, 'sciabile'- accetta la corte di un barista con i denti rifatti; se la sua ex moglie, che era "un vortice di generosità, di capricci, di ovulazioni, di piccole iniziative stupefacenti", lo guarda come se fosse il suo gommista; se con la figlia parla per lo più del tempo, a lui non resta che raccontare, divagando, di tutto questo. E raccontare di Armando, il suo migliore amico. La parte buona del carciofo che è lui. Una persona rara, gentile, positiva. Con un progetto folle in testa. Sì, perché se tutti vogliono lasciare qualcosa dopo la loro morte, "chi una tabaccheria avviata, chi un grande romanzo, qualcun altro una collezione di lattine di birra", Armando vuole lasciare un amore. Si è messo in testa che due ragazzi del quartiere che ancora non si conoscono, Chiara e Giacomo, sarebbero una coppia perfetta, e intende dare una mano al destino. Pretesa, questa, che l'intrattabile vecchiaccio reputa ridicola e tenta di osteggiare in tutti i modi. Ma dopo aver impiegato oltre settant'anni per convincere gli altri a non contare su di lui, si ritroverà coinvolto dalla fastidiosa, insistente, implacabile fiducia nella vita di Armando.

Ho cominciato questo libro come intramezzo tra due libri che sto leggendo per due gruppi di lettura diversi. La necessità era quella di trovare un libro breve, possibilmente non pesante, per poter occupare il tempo di attesa tra le diverse tappe dei gruppi di lettura. Ho dato un’occhiata al kindle e sono stata attratta da questo libro che prometteva ciò che a me serviva. Devo dire che da questo punto di vista non mi ha per niente deluso.
Avevo adocchiato questo libricino in uno dei tanti gruppi facebook dedicati ai libri di cui faccio parte; inutile dire che mi ha colpito principalmente il titolo, poi ovviamente la trama ha fatto il resto.
Un libro che ha come protagonista un vecchiaccio – il nome non è dato da sapersi – come si definisce proprio lui nell’incipit.
Sono un vecchiaccio.
Dovrei dire che sono una persona anziana, come mi hanno insegnato i miei genitori per i quali chiunque, anche un infanticida antropofago, arrivato a una certa età meritava rispetto.
La verità, però, è che sono un vecchiaccio.
Mi lavo poco, mi rado una volta alla settimana e giro per il quartiere indossando un cappotto che, dopo la mia prostata, è la cosa più malridotta che mi porto dietro.
Negli ultimi quindici anni mi sono lasciato andare, come fanno certi calciatori quando capiscono che la partita è persa e allora smettono di giocare e cominciano a dare calcioni agli avversati.
Mangio porcherie di tutti i generi, fumo molto, scorreggio in ascensore. Scaracchio per strada, ma solo quando qualcuno mi guarda.
E poi rubo le biro.
Capite che il nostro protagonista non le manda a dire e non cerca assolutamente di indorare la pillola; sa di essere fastidioso, poco accomodante, e non lo nasconde.
Una vita da falegname, un matrimonio fallito, una figlia trasferitasi da Roma a Milano per la quale non è praticamente mai stato un padre, pochi amici, una passione nascosta per la portinaia del suo palazzo e un unico vero amico fidato: Armando.
Lui stesso non si capacita per quell’amicizia di così lunga data, ma evidentemente anche uno scorbutico così, sotto sotto ha un cuore.
Inavvertitamente, gli ho voluto bene. Certe volte basta distrarsi un attimo e il cuore prende decisioni autonome, senza consultare le tue intenzioni. Ecco perché lo chiamano “muscolo involontario”.
Anche Armando è solo, non divorziato ma vedovo; la sua Francesca lo ha lasciato all’improvviso quando ancora avevano una vita davanti. Armando non ha mai amato nessun’altra ed ora, alla fine della sua vita ha come unico scopo quello di lasciare al mondo un grande amore, quello tra due ragazzi che non si conoscono ma che lui ritiene perfetti l’uno per l’altra.
Una storia semplice quella raccontata in questo libro, che l’autore ci narra con uno stile irriverente e ironico analizzando in modo semiserio il mondo degli anziani, facendoci avvicinare ai loro pensieri attraverso la loro voce. È infatti il protagonista in prima persona a raccontarci le sue mancanze matrimoniali – con relative scappatelle – il suo rapporto con l’amico di sempre, la sua necessità di non scendere a compromessi e di dire sempre ciò che pensa, anche se in modo scomodo, la sua passione sfrenata per le penne che ruba sotto gli occhi di commessi un po’ distratti in ogni negozio che frequenta. Quelle penne probabilmente sono la dimostrazione verso se stesso di essere anticonformista, “cattivo” a tutti i costi; il suo cassetto stracolmo di penne sembra il suo porto sicuro, l’attestazione di essere un uomo duro, quello che può fare ciò che vuole in barba alle regole.
In fondo è questo che per tutto il libro il protagonista ci trasmette, la sua necessità di far emergere a tutti i costi il suo lato cattivo e cinico, quasi come se quella fosse un’armatura per non cedere al tempo che passa, per dimostrare a se stesso di valere ancora qualcosa.
Ma con lo scorrere delle pagine, in realtà, qualche piccola apertura nel personaggio la vediamo, una luce in fondo al tunnel che credo possa coincidere con la consapevolezza del poter essere un uomo migliore, anche se magari un po’ troppo tardi.
Un libro che conquista pian piano, su cui ho dovuto ragionare molto per capire cosa mi avesse realmente trasmesso, un libro in cui bisogna riuscire a mettere da parte la rabbia che il comportamento del protagonista può far emergere cercando di riflettere sul perché di quel determinato modo di essere. Una buona occasione di riflessione per il lettore su molti aspetti della vita che spesso si danno per scontato. L’unica cosa su cui mi sento di fare un appunto è che, ogni tanto, alcuni parti mi sono sembrate un po’ slegate, racconti magari anche divertenti che però non sono stati legati da una storia forte e amalgamante. Bello lo stile, bello il messaggio, forse si poteva osare qualcosa di più a livello di trama ma comunque un libro che mi sento di consigliare.

 VOTO: 



giovedì 20 ottobre 2016

Recensione #154 - L'uomo che inseguiva i desideri di Phaedra Patrick


Buongiorno readers, come state? Oggi torno nuovamente con una recensione, quella di un libro verso cui avevo aspettative altissime e che invece mi è piaciuto ma, sinceramente, non mi ha rubato il cuore. Si tratta di L’uomo che inseguiva i desideri di Phaedra Patrick edito da Garzanti – che ringrazio per la copia – pag. 288.

Sinossi: Da un anno, ogni mattina, Arthur Pepper si sveglia alle sette e compie con esattezza gli stessi gesti. Si veste seguendo un ordine preciso, mangia una fetta di pane tostato, poi alle otto e mezzo si mette a sistemare il giardino. Questo è l'unico modo per superare il dolore per la perdita dell'amata moglie, Miriam, dopo tutta una vita passata insieme. Solo così gli sembra di poter fingere che lei sia ancora con lui. Ma il giorno del primo anniversario della sua scomparsa, Arthur prende coraggio e decide di riordinare gli oggetti di Miriam. Nascosta tra gli stivali, vede improvvisamente una scatolina. Dentro c'è un braccialetto con dei ciondoli: sono a forma di tigre, fiore, elefante, libro e altri piccoli oggetti. L'uomo sulle prime è perplesso; la moglie non indossava gioielli. Ma poi guarda con più attenzione e si accorge che su un ciondolo è inciso un numero di telefono, che Arthur non può fare a meno di chiamare subito. È l'inizio della ricerca e delle sorprese. Seguendo i ciondoli Arthur compie un viaggio che lo porta su un'assolata spiaggia di Goa che ha visto la donna giocare con un bambino indiano, a Londra da un famoso scrittore, in un'accademia d'arte dove è custodito un ritratto di Miriam da giovane, a Parigi in una raffinata boutique, in un castello della campagna inglese dove incontra una tigre, e in tanti altri luoghi che non aveva mai visitato. Un viaggio che gli fa scoprire una Miriam sconosciuta, ma che ha ancora tanto da insegnargli. E gli ricorda che l'amore è sorprendersi ogni giorno, per tutta la vita e anche oltre.


Come dicevo, aspettative altissime un po’ deluse…
Questo libro racconta la storia di Arthur, quasi settantenne, alle prese con la solitudine causata dalla morte della moglie Miriam. Erano felici Arthur e Miriam: due figli, una casetta a York, un amore lungo quarant’anni, una vita fatta di abitudini scandite dallo scorrere inesorabile del tempo finchè, all’improvviso, una polmonite porta via Miriam nel sonno. Il romanzo si apre il giorno del primo anniversario della morte della moglie; da un anno Arthur è praticamente un automa, ogni giorno svolge le stesse mansioni a orari prestabiliti, cercando di riempire il vuoto che Miriam con la sua morte gli ha lasciato. La sua vicina di casa Bernadette cerca di risollevargli il morale portandogli manicaretti fatti con le proprie mani ma l’uomo non riesce proprio a risollevarsi. Inutili sono i figli, il maschio trasferito in Australia e totalmente assente, la figlia vicina ma intenta a raccogliere i cocci di un matrimonio che le si è sgretolato davanti agli occhi. Tutto cambia nella vita dell'uomo quando, sistemando la roba della moglie per darla in beneficienza, trova all’interno di uno stivale una piccola scatoletta con all’interno un braccialetto d’oro con appesi dei ciondoli. Arthur non ricorda di aver mai visto quel braccialetto alla moglie, proprio lei che non è solita indossare gioielli ed il fatto che sia nascosto in uno stivale gli fa sorgere un’inaspettata curiosità ma anche gelosia. È possibile che in realtà Miriam avesse dei segreti? Perché nascondere un oggetto del genere invece che tenerlo tranquillamente riposto in un cassetto? Inizia così il nostro viaggio – o meglio il viaggio di Arthur ma il lettore si troverà catapultato al suo fianco – alla ricerca della verità, alla ricerca della provenienza di ognuno di quei ciondoli che appaiono totalmente differenti uno dall’altro.
Attraverso questo viaggio Arthur metterà in discussione se stesso come uomo, marito e padre e soprattutto metterà in discussione il suo matrimonio che aveva sempre creduto felice e privo di ombre.
La scrittura dell’autrice è fluida e piacevole; non si perde in descrizioni inutili e riesce a dare un quadro completo dei personaggi e degli avvenimenti che decide di raccontare. Quello che in realtà un po’ mi è mancato e che mi aspettavo emergesse prepotentemente da un libro del genere è il lato emotivo. Ho seguito il protagonista nel suo viaggio con molto piacere, immaginandomi anche quello che avrebbe potuto trovare nel suo girovagare in luoghi fino a quel momento solo immaginati grazie alle immagini dei giornali o dei libri ma non ho avuto una particolare empatia con lui. Non è riuscito a trasmettermi la sofferenza per quella moglie tanto amata e perduta così velocemente, non è riuscito a farmi sentire la sua gelosia man mano che le ricerche avanzavano, non mi ha fatto vivere sulla pelle la sua rinascita, non mi ha fatto provare i suoi sentimenti, nonostante l’autrice provi a raccontarcelo più volte a parole.
In qualche modo – seppur le storie siano completamente diverse – Arthur mi ha ricordato un po’ il protagonista del libro L’imprevedibileviaggio di Harold Fry – da me soprannominato il vecchio puzzone – perché entrambi raccontano un viaggio, entrambi si trovano ad affrontare eventi inverosimili – perché che uno si ritrovi sotto una tigre e ne esca solo con un graffietto mi sembra quantomeno improbabile – entrambi hanno dei parenti con un comportamento al di fuori della logica umana – in Harold Fry la moglie e in questo caso i figli di Arthur – ed entrambi non mi hanno toccato nel profondo come invece hanno fatto altri libri che raccontano un viaggio simile – mi riferisco ad esempio a Lo strano viaggio di un oggetto smarrito – e che hanno fatto vibrare la mia anima.
Insomma, una sufficienza piena per questo romanzo dettata dalla storia che secondo me ha un grande potenziale; non mi sento di dargli di più però proprio a causa di quella mancanza di emotività che, per quanto mi riguarda, avrebbe potuto fare la differenza.

 VOTO: