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giovedì 30 aprile 2020

Letture con Marina #88 - Recensione de La signora della porta accanto di Yewande Omotoso

Buongiorno lettori! No, non vi siete sbagliati, oggi non è venerdì ma Marina aveva la necessità di pubblicare oggi la sua nuova recensione quindi eccola qui, con la recensione di un libro che io ho letto lo scorso anno mentre ero in ospedale per il parto e che ho amato moltissimo. Se vi siete persi il mio pensiero lo trovate qui.
Purtroppo io sto leggendo un libro molto lungo e questa settimana non sono riuscita a pubblicare nessuna recansione... mi perdonerete! ;)



Fine Aprile è arrivato! E con esso arriverà a breve Lunedì 04 Maggio, data agognata da un bel po’ di tempo, anche se oramai questo tempo sempre in bocca a tutti si è dilatato ed ha significato cose diverse per ciascuno di noi. La discriminante purtroppo la sta facendo ancora una volta il denaro… E a tal proposito, questa volta per chiudere il mese Vi porterò di sfuggita a Londra, perché in realtà la nostra vera meta è Città del Capo, la capitale del Sudafrica.


Titolo: La signora della porta accanto
Autore: Yewande Omotoso
Casa editrice: 66th and 2nd, 2018
Traduzione: Natalia Stabilini
Pagine:249
Trama: Marion e Hortensia sono come il diavolo e l'acqua santa: bianca e snob l'una, nera e scontrosa l'altra. Da quasi vent'anni sono vicine di casa a Katterijn, una zona residenziale di Città del Capo. A unirle è il successo ottenuto sul lavoro, in un'epoca in cui le donne in carriera erano rare: se Marion è riuscita ad aprire uno studio di architettura con più di trenta impiegati, Hortensia è diventata una «guru del design». A separarle due decenni di disprezzo reciproco e futili litigi. Fresche di vedovanza e con un piede nella tomba, le due vecchiette - l'Avvoltoio e la Terribile, come si chiamano tra loro - continuano a detestarsi apertamente, finché un evento inaspettato non le costringe a una convivenza forzata. Tra battibecchi quotidiani, sfoghi velenosi e i timidi tentativi di Marion di creare una complicità «alla Thelma & Louise», l'ostilità si addolcisce e i rancori si trasformano lentamente nel terreno comune tra due donne forti capaci di farsi strada negli anni difficili della segregazione razziale. Con sguardo lieve e umorismo caustico, Yewande Omotoso dà vita a un racconto sull'emancipazione femminile, sull'impatto del colonialismo nella società sudafricana e, soprattutto, su una materia spesso elusiva: l'amicizia.





RECENSIONE:


Come sempre nelle letture, che portano il lettore da una parte all’altra del globo terrestre, grazie - o alle volte più a causa di - altri romanzi o altri scrittori, anch’io mi lascio trascinare dalla corrente. E mi succede spesso di leggere un autore che è stato solo l’anno precedente in Italia, perdendo l’opportunità di sentirlo parlare in presa diretta. Ma come diceva Frankenstein jr.: “Il destino è quel che è…”, ed è inutile cercare di ragionare con i se e con i ma.

Inutile quindi chiedersi, come tentano di fare qualche volta Hortensia e Marion, protagoniste di questo romanzo, cosa sarebbe successo se le circostanze della vita le avessero avvicinate molto prima, invece che a ottant’anni suonati.

Hortensia e Marion: nera e originaria delle Barbados l’una, bianca e di origine lituana l’altra. Donne di successo entrambe, pur in quei lontanissimi anni: “guru del design” Hortensia, architetto con proprio studio di architettura Marion. Intorno a metà degli anni Novanta del secolo scorso, Hortensia e il marito Peter, di origine inglese e bianco, si trasferiscono dalla Nigeria a Katterijn, un quartiere di una quarantina di case di una zona residenziale di Città del Capo. E lì incontrano per la prima volta i vicini di casa, Marion ed il marito Max Agostino, che è italiano. Hortensia e Peter non hanno figli. Marion e Max hanno quattro figli. Tra l’altro, dettaglio non da poco, Marion aveva progettato e fatto realizzare la casa al nr. 10, dove vanno ad abitare Hortensia e Peter, che all’epoca del trasferimento dalla Nigeria era già ammalato di cancro. E Marion cercherà per tutta la vita di poter acquistare la casa che aveva progettato, fino alla finale beffa degli ultimi acquirenti, che sono proprio Horts e suo marito Peter.

Questo è un po’ l’antefatto, che tra un accadimento e l’altro Horts e Marion ci svelano, tra bisticci, pensieri ad alta e bassa voce, riunioni del Comitato di quartiere, passeggiate sul Koppie (una collinetta del quartiere) e vedovanze.

Ed è proprio da questo momento tragico della vita di Hortensia, la morte del marito Peter dopo anni di sofferenze a causa del cancro, che si sale in carrozza per il giro che l’autrice Yewande Omotoso ha progettato per i lettori.

Peter muore e durante la lettura del testamento, (entrambi hanno guadagnato molto bene durante la loro vita in comune) con enorme sorpresa ed amarezza, Hortensia scopre di non essere l’unica beneficiaria dei lasciti del marito. E così, partendo dal presupposto che nessuna morte letteraria è completa senza una sorpresa, scopriamo che quasi nello stesso momento, forse giusto poco prima, anche Marion scopre che il marito le ha fatto proprio un bell’ultimo dono.

Due sorprese diverse non fanno una comunione di intenti, ma sia come sia ad un certo punto le due vecchiette, nonostante l’odio ed i costanti battibecchi, sono costrette a coabitare a casa di Hortensia. Ognuna per un motivo diverso. Per ognuna, in quel preciso momento, ne va della propria vita.

Tralasciamo per un attimo la vita delle due bisbetiche ed odiose vecchiette, lasciando ciascuna nei propri ricordi e rimorsi, per affrontare un tema non facile che l’autrice inserisce continuamente nel plot della storia, pur in modo leggero, senza che diventi parte preponderante del romanzo e soprattutto senza ricorrere alla descrizione di eventi sanguinosi. Non possiamo parlare del Sudafrica, senza affrontare il tema dell’apartheid e del razzismo. Del resto l’autrice, tra richiami alle origini dei genitori di Hortensia ed ai viaggi per arrivare in Gran Bretagna via nave, e i continui rimandi alla vita di Marion e dei suoi genitori, non ha bisogno di scene truculente, anche se purtroppo reali ed accadute per decenni, per centrare l’obiettivo del suo romanzo. Soprattutto nel raccontarci dell’ignavia di tutta la vita di Marion, che culmina con l’allontanamento dei di lei figli adulti, che essendo una generazione successiva, prendono le distanze dai ragionamenti, atteggiamenti e comportamenti dei genitori nei confronti della servitù di colore e del razzismo in generale. La stessa Hortensia, pur essendo nera ed avendo vissuto in gioventù i dileggi derivanti da un ignorante razzismo, ad un certo punto della vita, quando raggiunge un ricco benessere, gira la testa dall’altra parte ed impegnata nei problemi della propria vita, si disinteressa della situazione dell’apartheid e dei problemi in Africa.

Non è mia intenzione imbarcarmi su questi temi già dibattuti da persone più qualificate. Ma leggendo la vita di Marion con attenzione, più che della vita di Hortensia che mi ha peraltro colpita per un altro tipo di drammi, mi sono chiesta non per la prima volta: e noi, cosa siamo? Un tipo diverso di razzisti? Noi non crediamo che la razza bianca sia in qualche modo superiore, ma lasciamo che i poveri, di qualsiasi colore siano (neri o provenienti dall’est Europa), non ci diano intralcio o pensieri. E quindi, che tipo di razzisti siamo noi? E io, io che leggo ma che non ho mai dovuto affrontare da vicino questo problema, come mi comporterei? Farei come Marion, pur di mantenere il mio status?, senza nemmeno la giustificazione di appartenere alla generazione degli anni Cinquanta / Sessanta del secolo scorso?

Un romanzo godibile, pur se parla del problema del razzismo e di due donne alla fine della propria vita, che le circostanze avvicinano e che trovano la forza, anche se all’inizio contro la propria volontà, per una condivisione della propria vita e delle idee giuste per procedere a testa alta nel flusso della vita che rimane.

Perché il passato non si può cancellare, ma possiamo fare il modo che il futuro, per quanto breve sia, possa essere più giusto.

A presto,





2 commenti:

  1. Ancora una bella recensione per un romanzo che evidentemente mi ero persa quando ne aveva parlato Daniela. Forse per la copertina, poco adatta ai temi trattati e un po' respingente secondo me. Adesso mi hai incuriosita! Buon weekend!

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  2. Ciao Nadia,
    Pensa un po' tu... a me la copertina aveva incuriosito, mentre mi aveva frenata il fatto che parlasse dell'Africa!
    Sono sempre più convinta che lettore e 1 determinato libro devono avere 1 momento speciale x incontrarsi...
    Buona domenica, ciao!

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