venerdì 25 ottobre 2019

Letture con Marina #73 - PordenoneLegge, incontro stampa con Michela Murgia e Chiara Tagliaferri

Buongiorno lettori, fortunatamente è di nuovo venerdì! Augurandovi buon weekend vi lascio a Marina e alla sua rubrica.




Per staccare un po’ dai romanzi per ragazzi che ultimamente mi hanno assorbita e anche da un ritorno di fiamma di cui Vi parlerò in seguito, ho pensato di trascrivere una delle interviste a cui ho partecipato durante il Festival di PordenoneLegge 2019. Riporterò solo l’intervista, senza alcun mio commento, lasciando poi a Voi la parola, a commento di quanto detto in tale sede.

“Morgana. Storie di ragazze che tua madre non approverebbe”.

Oramai quasi un mese fa, presso la Sala Conferenze di Palazzo Klefisch a Pordenone, in occasione del Festival Letterario PordenoneLegge 2019, si è tenuto l’incontro stampa con le autrici Michela Murgia e Chiara Tagliaferri in occasione dell’uscita a Settembre 2019 del loro romanzo “Morgana. Storie di ragazze che tua madre non approverebbe”, edito da Mondadori.

Titolo:  Morgana. Storie di ragazze che tua madre non approverebbe
Autore:  Michela Murgia
Casa editrice: Mondadori, 2019
Pagine: 238
Sinossi: Controcorrente, strane, pericolose, esagerate, difficili da collocare. E rivoluzionarie. Sono le dieci donne raccontate in questo libro e battezzate da una madrina d'eccezione, la Morgana del ciclo arturiano, sorella potente e pericolosa del ben più rassicurante re dalla spada magica. Moana Pozzi, Santa Caterina, Grace Jones, le sorelle Brontë, Moira Orfei, Tonya Harding, Marina Abramovic, Shirley Temple, Vivienne Westwood, Zaha Hadid. Morgana non è un catalogo di donne esemplari; al contrario, sono streghe per le donne stesse, irriducibili anche agli schemi della donna emancipata e femminista che oggi, in piena affermazione del pink power, nessuno ha in fondo più timore a raccontare. Il nemico simbolico di questa antologia è la "sindrome di Ginger Rogers", l'idea - sofisticatamente misogina - che le donne siano migliori in quanto tali e dunque, per stare sullo stesso palcoscenico degli uomini, debbano sapere fare tutto quello che fanno loro, ma all'indietro e sui tacchi a spillo. In una narrazione simile non c'è posto per la dimensione oscura, aggressiva, vendicativa, caotica ed egoistica che invece appartiene alle donne tanto quanto agli uomini. Le Morgane di questo libro sono efficaci ciascuna a suo modo nello smontare il pregiudizio della natura gentile e sacrificale del femminile. Le loro storie sono educative, non edificanti, disegnano parabole individuali più che percorsi collettivi, ma finiscono paradossalmente per spostare i margini del possibile anche per tutte le altre donne. Nelle pagine di questo libro è nascosta silenziosamente una speranza: ogni volta che la società ridefinisce i termini della libertà femminile, arriva una Morgana a spostarli ancora e ancora, finché il confine e l'orizzonte non saranno diventati la stessa cosa.


INTERVISTA:



Dopo una brevissima presentazione, come di consueto si è dato subito spazio alle domande. Non citeremo le diverse testate giornalistiche che hanno preso la parola per non creare interruzioni e dare un senso di continuità al discorso…

Devo dire di essere particolarmente emozionata perché da assidua ascoltatrice di queste storie di donne ribelli e rivoluzionarie, averle ora raccolte anche se necessariamente solo in parte, in una selezione, in un libro – direi che è la degna conclusione, o forse meglio ancora un inizio ulteriore… Vi chiediamo solo uno spunto per partire con questa chiacchierata: avete fatto una cavalcata attraverso tantissime vite e credo sia stato al contempo un viaggio anche per voi. Uno forse parte con un’idea e non sa mai bene dove può arrivare…


Chiara Tagliaferri: è stato un viaggio e lo è tutt’ora. Forse l’unica cosa che ho capito a posteriori di Morgana è che abbiamo fatto una cosa da Pollicino… Il nostro percorso è stato un disseminare in ogni Morgana che abbiamo raccontato, dei pezzi grandi o piccoli di noi in realtà. E questa cosa non l’avevamo capita subito. Soprattutto io, perché ho un modo di comportarmi nella vita che ha un qualcosa del Mister Magò, che era quel signore un po’ cieco che riusciva a scampare a molti disastri, perché era comunque molto fortunato, quindi ad esempio invece di cadere nel vuoto c’era un’altra trave e lui continuava imperterrito incurante del pericolo che correva, andava dritto per la sua strada. E anche nella scelta delle nostre Morgana abbiamo fatto così, nel senso che non abbiamo scelto mai delle figure edificanti, non c’è quasi niente di eroico in nessuna delle nostre prescelte. Anzi, nell’introduzione del libro, quando parliamo di Claudette Colvin, che era questa ragazza di 15 anni, che nel 1955 si era seduta in un posto riservato ai bianchi in un autobus (tra l’altro lei era incinta di un uomo che era sposato ed era molto più grande di lei, lei che tra l’altro proveniva da un ambiente molto degradato), noi lo diciamo esplicitamente: era la donna sbagliata nel posto sbagliato, era solo stanca e non era rappresentabile a coronare una situazione così eroica… E infatti nove mesi più tardi Rosa Parks, più grande, molto dignitosa, con un lavoro, attivist, ha fatto la stessa cosa e tutti si sono poi ricordati solo di Rosa Parks. Perché nessuno voleva essere Claudette, nessuno voleva avere la vita di questa ragazzina, perché non era una bella vita, né da vivere, né da raccontare… E a noi QUELLE vite piacciono!



… non avete dato, per così dire, una redenzione a nessuna…


Michela Murgia: no, anzi abbiamo l’impressione che negli ultimi anni siano usciti una serie di libri di grande successo anche incentrati su figure femminili. Penso a “Cento Storie della Buonanotte per bambine ribelli”, penso anche a cataloghi di donne coraggiose, che hanno l’intento che certamente ci sentiamo di condividere, ma il risultato complessivo di tutte queste scritture è un catalogo di figure edificanti, cioè di “modelli aspirazionali”. In qualche modo si esce dallo schema del maschio eroe per entrare in quello della donna eroe, ma dallo schema dell’eroicità non si esce mai. Ecco: a noi piaceva fare i conti con figure che hanno nutrito se stesse attraverso il fallimento, perché nelle nostre vite reali i fallimenti sono all’ordine del giorno. Non vengono raccontati nelle storie, perché nessuno vuole leggere storie di fallimenti, a meno che non ci sia una rinascita dopo. Queste donne non rinascono, ma in qualche modo ridefiniscono se stesse non escludendo o negando l’esperienza del fallimento, ma trovando nel fallimento quella strada alternativa che il mono-modello del successo non consentiva di vedere. E forse in qualche modo hai ragione quando hai affermato che noi ci abbiamo messo anche qualcosa di noi stesse. Perché noi ci siamo confrontate molto su ciascuna di queste donne - (Chiara: abbiamo anche litigato!) – alcune le voleva solo lei, altre solo io e ci siamo dovute convincere a vicenda, proprio perché siamo anche noi vittime dello schema che vorrebbe le donne non più inferiori (come negli anni Quaranta del secolo scorso), ma migliori degli uomini. Cioè creature che fanno il doppio della fatica, mai equiparate alla fatica degli uomini. Prima per dimostrare di non essere inferiori, adesso per dimostrare di essere superiori, addirittura. Porto l’esempio di mia madre, la mattina si alzava due ore prima per fare i lavori di casa per guadagnarsi poi il diritto di andare a lavorare fuori di casa… Quindi per queste donne l’emancipazione era una somma di fatiche ulteriori. Perché poteva essere quello che desiderava, se però prima aveva assolto ai suoi soliti compiti. L’idea che si possa rompere questo schema, che qualcuna ci abbia provato e ci sia riuscita, anche senza un grande intento politico, perché poi alla fine nessuna di queste donne prese in esame fa battaglie di militanza… ciascuna lotta per se stessa. Quando ad esempio Grazia Deledda (che in questo libro non c’è, ma è una delle mie figure ispiratrici) lotta per scrivere, non lotta per le altre donne, ma perché LEI vuole scrivere. E quando cercano di “intestarle” battaglie collettive, lei dice: io non sono una femminista. Avevo questa battaglia da portare avanti per me e l’ho fatta. Naturalmente noi oggi sappiamo che se possiamo scrivere lo dobbiamo anche a Grazia Deledda. Queste donne che hanno preso a testate l’orizzonte, lo hanno spostato un po’ per se stesse, ma un po’ anche per noi. Che lo volessero o no.

Ribelli e trasgressive: sono elementi essenziali per essere rivoluzionarie?
     

Michela Murgia: no, queste sono definite ribelli e trasgressive perché c’è un sistema che ha dei limiti molto stretti, che tutte le volte che li superi, ti cade addosso un giudizio. Per cui queste donne in realtà non sono ribelli e trasgressive, ma scoprono di esserlo quando si rendono conto che il sistema che credevano le includesse, in realtà le reclude (sorriso). Per cui quando Marina Abramovich vuole fare le sue performances pensa di essere nel suo pieno diritto. Quando tutto intorno le dicono “sei pazza, queste cose non le puoi fare”, lei diventa trasgressiva perché in realtà sono gli altri che le stanno dicendo che sta trasgredendo. Ma se gli altri non mettono determinate regole, tu puoi essere serenamente te stessa. Non posso dire che non vorrei che non ci fossero limiti, altrimenti con cosa ci divertiremmo…Però trasgressive, stronze, difficili, alternative nel migliore dei casi, sono tutte definizioni che il mondo da di queste donne. Donne che sono semplicemente se stesse. Per quante “me stessa” c’è posto a questo mondo? Negli anni Quaranta erano tre, dopo gli anni Settanta erano dieci… Queste donne dimostrano che ci sono dei modi di essere se stesse che ancora vanno rivendicati. 

Chiara Tagliaferri: sa che a proposito della ribellione c’è un’altra cosa che è interessante. Quando a Vivienne fanno delle domande… (Murgia: intende Vivienne Westwood: noi ormai le chiamiamo tutte per nome, una sorta di amiche immaginarie – risata generale)… La Westwood risponde che il miglior accessorio è un libro. Ed è perché lei dice che automaticamente se studi diventi un ribelle, perché diventi libero di pensare. E lei questo ha fatto, da autodidatta. Ha studiato l’arte, la letteratura, la storia, la musica. Quando Zaha Hadid viene chiesto di dire qualcosa di edificante per le donne arabe, lei risponde che non vuole dire nulla di edificante per le donne arabe o in generale, ma semplicemente per uomini e donne insieme e cioè “credete nel Vs talento, perché quella è l’unica arma che Vi permetterà di affrancarvi nella vita”. Ricordiamoci anche che nella maggior parte dei casi le “rivoluzioni” non nascono da buoni sentimenti. Non ci sono quasi mai buoni sentimenti in partenza.

Ma almeno per Santa Caterina, i buoni sentimenti…
         
Michela Murgia: quando prova a convincere il Papa ad organizzare la Crociata… Certo il sentimento era buono, magari il metodo resta discutibile con la sensibilità odierna (risata generale).

Ma il problema della Società contemporanea è che ancora la donna libera viene considerata trasgressiva. E’ questa la vera problematica. L’uomo libero è un uomo libero. Una donna libera è ancora una volta definita trasgressiva…

Michela Murgia: se ti chiamano trasgressiva sembrerebbe anche accattivante. La verità è che la reazione attorno a te è minacciosa. Lo vediamo nel linguaggio che stiamo sperimentando con forza maggiore negli ultimi due anni rispetto ad altri periodi, però lo vediamo anche nel tipo di prospettiva che ti annunciano. Cioè se fai così, sarai sola, nessun uomo ti si avvicinerà perché farai paura. Questa cosa di far paura – Chiara diceva in un’intervista che questo è un mondo che rispetta solo ciò che teme – però per le donne il prezzo di essere rispettate perché temute spesso si porta appresso la minaccia di restare sole.

Nel libro scrivete che la materia artistica della Abramovich è l’inquietudine. Qual è la Vs materia artistica?

Chiara Tagliaferri: utilizzare l’inquietudine degli altri per lenire la mia… - risata generale. E forse anche Michela, seppur in modo del tutto diverso dal mio, perché Michela dice sempre che devi scegliere se comandare o essere comandata…  
Michela Murgia: per me è l’impotenza. Nel senso che tendenzialmente io non amo scrivere. Sono una militante. E se mi dovessi definire sicuramente mi definirei più una persona politica che artistica. Quando posso agire, agisco. Quando non posso agire, racconto. Tre quarti delle cose che scrivono nascono dalla rabbia di non poterle cambiare. Da cattolica, credo nel potere ricreativo della parola. Credo che raccontando la realtà che non posso cambiare con i fatti, creo nuovi strumenti che in qualche modo deformino e riformino la realtà che mi rende impotente.

Quanto pesa lo sguardo delle altre donne? Quanto è importante la capacità di fare rete fra donne e dove cadiamo in quella incapacità, se incapacità c’è…
       
    
Michela Murgia: ti rispondiamo con la frase che abbiamo scelto di mettere in copertina: “storie di ragazze che tua madre non approverebbe”. E per madre non intendiamo le nostre madri (ricordo che mia madre quando ho compiuto 30 anni mi ha regalato un coltello a serramanico, mentre la madre di Chiara le ha sempre ripetuto di non sposarsi e di non fare figli…). Per madre che non avrebbe approvato, intendiamo quell’idea di donna complice e anche pilastro del patriarcato, che Margaret Atwood ha raccontato splendidamente quando descrive la struttura di Gilead. Perché è vero che c’è l’Ancella oppressa, ma prima dell’uomo che la opprime, ci sono due ordini di donne che la opprimono. Per essere maschilisti non c’è stato mai bisogno di essere – solo – maschi. Il patriarcato paga dividendi a scalare a tutti quelli che collaborano, siano essi uomini o donne.

Per concludere: fino a che punto è lecito utilizzare il modello di potere che ti opprime, per scalare…


Michela Murgia: non tutte siamo ribaltatrici di sistemi. Le rivoluzionarie sono poche e pagano carissimo questo meccanismo. Ma un po’ di rivoluzione è possibile anche dentro quella cornice. Ritorno a Grazia Deledda. Per andarsene di casa e poter scrivere, Grazia sa che nel 1900 può fare una sola cosa: sposarsi. Quindi utilizzare una delle strade clichè che il sistema ha per una donna, per guadagnarsi la libertà che il sistema non ha per una scrittrice. Quindi trova un marito secondo lei giusto, che la porti via dalla Sardegna e la porti a Roma dove le si apre un movimento culturale intorno e lei si guadagna così la libertà. Che cosa fa lei di quel matrimonio? Lo torce fino a farne qualcosa che anche nella ns contemporaneità suonerebbe strano. Perché il marito Palmiro, funzionario del ministero, ad un certo punto capisce che cosa è sua moglie, si dimette e diventa l’agente della moglie, studiando le lingue per promuoverla all’estero. Pirandello è così sconvolto da questo ribaltamento dei ruoli, che lo chiamerà per tutta la vita Grazio Deleddo. Perché secondo lui il marito di Grazia sta facendo la moglie, non l’uomo di casa. Quindi per concludere: Grazie Deledda non ha scantonato di un millimetro rispetto alle aspettative sociali dell’epoca su una donna: composta, dignitosa, marito, due figli, casetta borghese, casa delle vacanze… Epperò dentro è passata la rivoluzione della scrittura – e anche del Nobel, il riconoscimento internazionale di una libertà femminile, del raccontare la propria realtà e di un riconoscimento che fino a quel momento soltanto Selma Lagerlof aveva ricevuto.

Salutiamo queste due autrici che stanno andando all’incontro con il pubblico e mi rendo conto che, per la prima volta da quando ho la possibilità di partecipare agli incontri con la stampa, questa più che un’intervista è sembrato un botta e risposta tra i giornalisti (numerosissimi) e le due autrici.

E chissà perché, tra le tante personagge di questo libro (come le chiamano le due autrici), la figura che mi rimarrà più impressa, è quella di Moana Pozzi…

A presto,





4 commenti:

  1. Davvero molto interessante, e lo sembra anche il romanzo :)

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  2. Ciao Gresi
    Effettivamente si leggono vite di cui si scoprono aspetti interessanti e fuori dalla pubblicità mediatica che magari un dato personaggio ha "subito".
    Vale sicuramente la pena leggerlo.
    Buon fine settimana, Marina

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  3. A proposito di donne che si danno da fare per trovare il proprio posto nel mondo e per conquistare il diritto a occuparlo, quel posto: il riferimento che Chiara Tagliaferri fa a Claudette Colvin si ritrova nella bellissima serie tv Good girls revolt, che prende spunto da un episodio realmente accaduto per raccontare la battaglia di alcune ricercatrici in una redazione newyorkese di fine anni Sessanta. Erano giovani donne intraprendenti, mediamente più istruite e talentuose dei loro colleghi uomini, ma a loro non era concesso di essere reporter e di firmare i propri pezzi sul giornale. Il fatto che la serie sia stata interrotta alla fine della prima stagione, dopo 13 puntate di qualità, fa sorgere il sospetto che tuttora il lavoro da fare sia purtroppo ancora tanto.

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  4. Ciao Nadia,
    tutto questo si inserisce proprio nel discorso fatto.
    Non è solo questo perchè c'è tanto altro... ma è anche questo!
    Buon weekend, ciao 🤗

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