venerdì 30 aprile 2021

Letture con Marina #132 - Recensione de L'impiccagione di Ann Ware e altre storie di Margaret Doody

Buongiorno lettori, è di nuovo venerdì e torna Marina con la sua recensione.


Racconti: che passione! Ma forse ero già arrivata a questa conclusione, almeno nell’ultimo periodo. Storie più o meno lunghe, che danno la possibilità di un assaggio, una sorta di mordi e fuggi letterario, per capire se il tipo di scrittura di un’autrice ci è congeniale… e per metterne a dimora i semi. Ma anche la possibilità di non interrompere il flusso di lettura, avendo la possibilità di assecondare la propria irrequietezza o curiosità.


Ti
tolo: L'impiccagione di Ann Ware e altre storie
Autore: Margaret Doody
Casa editrice: Mondadori, 2020
Pagine: 144
Traduzione: Rosalia Coci

Trama: Una ragazza accusata di omicidio e in attesa di essere impiccata pubblicamente continua a dichiararsi innocente mentre uno scrittore, non convinto della sua colpevolezza, cerca di capire cosa è realmente accaduto. Una bella istitutrice che lavora in una villa appartenuta a un conte dalla pessima fama sparisce misteriosamente per ore e notti intere per poi far ritorno come nulla fosse. Una tranquilla giornata tra le vigne californiane si trasforma in un incubo per Sylvia e George via via che un uomo a cui hanno dato un passaggio racconta loro una vecchia, inquietante storia. L'immaginazione sconfinata e divertita di Margaret Doody dà prova di sé in questa breve raccolta di racconti dove l'occulto, la suspense e il mistero entrano con prepotenza nella vita quotidiana, a gettare un po' di scompiglio, ma soprattutto allegria.
 
RECENSIONE:   

Come non inglobare la prefazione di Margaret Doody a mo’ di ulteriore racconto introduttivo nella raccolta di questi sei piccoli gioielli che compongono questa breve raduno di storie sempre sull’orlo del brivido? Ma prima di tuffarci a capofitto in questi sei racconti dove di volta in volta l’argomento cambia pur restando sempre oscuramente intrigante, passando dalla tragedia alla passione fino all’inquietante altroquando che fa capolino, vorrei ci soffermassimo per un momento proprio nella nota introduttiva, che ci dà il là per riflettere sul fatto che, almeno nel mio caso, non avevo mai collegato le storie dei fantasmi ad un occasione per “dilettarsi col tempo”.

E’ vero che l’autrice in questi racconti spazia di epoca in epoca, consentendo ai vari personaggi di dar forma alle loro esperienze personali, siano esse o meno sovrannaturali, aiutando così ad inquadrare il periodo storico e la società stessa, che tanto peso hanno, soprattutto in alcuni di questi racconti. Ma a questo punto della considerazione, capiamo che non solo il tempo ha una grande importanza. Proprio le storie narrate, se da un lato ci danno l’indicazione di un’epoca in cui accadono, così ci fanno anche inquadrare un luogo geografico. Luogo che ha estrema importanza per l’autrice, vuoi perché ad esempio il nord della Nuova Scozia è la sua terra avita, vuoi perché l’università di Oxford le consente di cimentarsi in un luogo particolarmente usato dagli scrittori soprattutto britannici, vuoi ad esempio anche perché l’Italia è l’eterno amore dell’autrice, e così di seguito per ciascuno dei sei racconti.

Così come nella raccolta curata da Dickens “Le stanze dei fantasmi”, le presenze in realtà, per la maggior parte dei racconti sono un termine di paragone per entrare nella propria stanza personale, intesa come anima dei protagonisti, così in questa raccolta della Doody il mondo dei fantasmi o degli spiriti, quando non esplicitamente rappresentato, è in realtà un modo per indicare verità o sentimenti che ciascuno di noi custodisce segretamente dentro di sé, intimità che siamo timorosi di svelare, spettri addirittura che perseguitano quasi la società in cui viviamo, puntando il dito qui sulle “caratteristiche” negative di un periodo storico.

E dunque eccoli, in breve ma in tutto il loro splendore perlaceo, queste sei gemme: “L’Impiccagione di Ann Ware” ambientato a Londra nell’Ottobre 1748; “Il caso dell’Istitutrice Scomparsa”, Gloucestershire, -inghilterra, Nov. 1850 – Genn. 1851; “I passi del Duellante”, Oxford 1976; “La Storia dei Denti di Edie”, Nuova Scozia, Giugno-Settembre 1953; “Falchi in volo e Profumo d’uva”, California del Nord, Marzo 1980; “Vetro veneziano”, Venezia, Nov.-Dic. 2002.

E procedendo a ritroso, forse proprio solo l’ultimo racconto, ambientato a Venezia, che narra dell’incontro estemporaneo di un uomo e di una donna che erano stati compagni a scuola e che quindi hanno per un certo periodo avuto un vissuto in qualche modo in comune, non si è lasciato scalfire ed è rimasto fra i sei, forse quello che ho apprezzato di meno, probabilmente non capendo bene dove l’autrice ci volesse condurre, pur se l’ambientazione familiare di una Venezia con la sua acqua alta e la sua atmosfera triste e nebbiosa mi ha conquistata..

Ma sono stati soprattutto gli altri cinque racconti ad attirare la mia attenzione. Ne ”l’Impiccagione di Ann”, il periodo storico, la condizione femminile ed il contegno della giovanissima Ann, unitamente ad un piccolo giallo al cui interno si svolge la vicenda, mi hanno al contempo indignata e fatta partecipe di un periodo storico-sociale con molte discriminazioni… e pur tuttavia la storia ne esce con un’eroina che da sola glorifica e si prende gioco della vile omertà maschile. Ne “Il caso dell’istitutrice scomparsa” la Doody gioca a nascondino col lettore, sollecitando e solleticando il desiderio nascosto in ciascuno di noi di quel torbido ma nello stesso tempo rassicurante moto erotico, che paventiamo e allo stesso tempo vorremmo scoprire in ogni circostanza un po’ misteriosa che ci capita. Ma è soprattutto ne “I passi del duellante” che l’autrice dà il meglio di sé a mio parere, combinando una storia di fantasmi in ambito prettamente letterario quale è un Università, non disdegnando di ricorrere ad un classico delle storie dell’epoca e non paventarlo di condirlo con un sentore di romantica pietà che permetterà al fantasma di poter finalmente riposare in pace. Mi ricorda un po’ Wilde, con il suo “Il fantasma di Canterville”, pur se molto diverso nella storia e nello svolgimento della stessa.

In un crescendo di epoche e con una resa storico-sociale precisa, in un crogiuolo di raffigurazioni di presenze più o meno reali e più o meno spettrali, che come detto ci aiutano a rappresentare il periodo e il luogo ed in senso generale le tristezze degli uomini, con particolare accento sull’atmosfera che si crea in seguito ad ipocrisie, abitudini culturali abiette e vizi, in uno stile cangiante e che passa mirabilmente dal giallo, al gotico fino all’horror.

E allora perché non prendersi una piccola pausa dalle usuali letture, per farci prendere dal brivido del mistero di creature nebulose? Siano esse reali o nostre proiezioni, la Doody con i suoi racconti ci aiuterà ad inquadrarle e perché no, a giocarci insieme almeno finchè non arriverà il buio e le nostre fantasie prenderanno il sopravvento su qualsiasi realtà ci troveremo a vivere.

A presto




 

giovedì 29 aprile 2021

Lettori intorno al mondo - Nord America - Vi porto in North Carolina

 


Buongiorno lettori, torna la rubrica dei viaggi. Questo mese vi portiamo in Nord America. Dopo Nadia che vi ha portato in South Dakota - post cliccando qui -Viviana che vi ha portato nel Vermont - post qui - Marina a New York - qui - e Baba nel Maine - qui - oggi tocca a me e vi porto al mare, esattamente in North Carolina! Siete pronti? Prendete passaporto e costume da bagno perchè si parte.

Per questo viaggio ho preso spunto dal libro di Stephen King, Joyland dove in realtà ci sono pochissimi spunti di viaggio che, qui, sono perlopiù presi da internet.
Per saperne di più sul libro vi rimando alla recensione qui.

Troverete nel post delle parti in corsivo rosso, che sono citazioni prese dal libro.



Da settembre a ottobre, il cielo della Carolina del Nord era limpido e l'aria calda fin dalle sette del mattino. [...] Il litorale che univa la città alla chiassosa e rutilante paccottiglia di Joyland era fiancheggiato da case di villeggiatura, molte dall'aspetto costoso e per la maggior parte chiuse a doppia mandata dopo la festa del Lavoro, all'inizio di settembre.

Questa è la prima descrizione che King fa di questa parte d'America e, seppur nel romanzo non siano nominati luoghi reali (Heavens Bay infatti è una cittadina inventata), sicuramente questa descrizione ci fa subito capire quali sono i luoghi che ci circonderanno in questo viaggio. Trecento miglia di spiagge sono infatti la caratteristica di questo stato e a noi poco importa se quella del libro sia inventata perchè non è molto diversa da quelle che invece ogni anno garantiscono divertimento alle famiglie in vacanza.

La Carolina del Nord è uno dei tredici stati originari degli Stati Uniti d'America. È uno stato del Sudest degli Stati Uniti con un paesaggio molto variegato, che va dalle spiagge dell'Oceano Atlantico fino alla catena montuosa degli Appalachi. La Blue Ridge Parkway percorre 252 miglia nelle montagne della Carolina del Nord.






PRIMA TAPPA: Charlotte

Arriviamo in aereo dall'Europa quindi Charlotte sarà la nostra prima tappa.
Capoluogo della Contea di Mecklenbur. Nel 2018 aveva una popolazione di 872 498 abitanti, piazzandosi al sedicesimo posto tra le città più popolose degli Stati Uniti d'America. Il suo nome ha origine dalla principessa Charlotte, moglie di Giorgio III.
Nella città visiteremo il Carolinas Aviation Museum, faremo un giro sul Roller-Coaster del Paramount's Carowinds (per rimanere a tema con il libro da cui ho preso spunto) il parco dei divertimenti per tutte le età, passeggeremo nei quasi cento acri del Freedom Park, ci immergeremo nelle atmosfere di questi luoghi lasciando l'Uptown e recandoci all'Historic Rosedale Plantation con i suoi 9 ettari di terreno paesaggistico conosciuto per i suoi maestosi alberi in fiore.
Fonti:
 https://www.charlottesgotalot.com/
https://www.visitnc.com/
https://it.wikipedia.org/
https://it.theplanetsworld.com/



SECONDA TAPPA:
 Dopo aver percorso la Route 74 verso la costa faremo la nostra prima tappa in una città di mare, Wilmington, capoluogo della Contea di New Hanover, città che molti di voi (probabilmente gli over 40 come me) la ricorderanno per l'ambientazione di Dawson's Creek, che fu girato completamente in questa città anche se con il nome di finzione di Capeside.
Gli amanti della storia americana invece la ricorderanno il suo coinvolgimento in tre importanti avvenimenti della storia americana: la guerra d'indipendenza, la guerra civile e il massacro di Wilmington. A Wilmington visiteremo la Battleship North Carolina, la prima di dieci corazzate a entrare nella flotta americana nella seconda guerra mondiale, completamente accessibile, in cui potremo salire nelle cuccette dei marinai, entrare nell'enorme sala macchine, pianificare strategie nel Combat Information Centre e prendere la mira da dietro i grandi cannoni. Poi faremo una lunga passeggiata lungo il Riverwalk, una passerella lunga un miglio che confina con il Cape Fear River e che offre grandi scorci e la possibilità di gite in barca. Infine ci recheremo nel Quartiere storico del centro di Wilmington che ospita il più grande distretto storico del registro nazionale dello stato, che comprende centinaia di edifici del XIX e XX secolo.

TERZA TAPPA: Percorrendo la Route 17 giungeremo a Jacksonvillecittà nella Contea di Onslow, sede della più grande base del Corpo dei Marines sulla costa orientale. È la città con l'età degli abitanti più bassa degli USA: l'età media è di 22,8 anni. In questa città visiteremo il Lynwood Park Zoocon i suoi oltre ottanta tipi di animali distribuiti su dieci acri, ci avventureremo in un tour in kayak sul New River, dove potremo avvistare cervi, uccelli rapaci e altri animali selvatici nel loro habitat naturale. Infine, per non farci mancare un po' di avventura, parteciperemo al Grand Prix USAA, una serie di eventi di corsa che dura tutto l'anno e consente ai partecipanti di correre insieme ai Marines in servizio attivo, presso il Camp Lejeune di Jacksonville.

 
QUARTA TAPPA:
 Da Jacksonville percorreremo la Route 24 per raggiungere l'Hammocks Beach State Park, dove potremo piantare la nostra tenda praticamente sulla spiaggia, ammirando l'alba sull'oceano. Questo luogo offre chilometri di meravigliose distese di sabbia e l'opportunità di fare escursioni e pescare. Potremo anche noleggiare kayak, canoe o paddleboard per esplorare i percorsi per bambini che portano alle paludi, Bear Island e Huggins Island, nota per la sua foresta marittima incontaminata.


Finisce qui il nostro soggiorno, trascorrendo qualche giorno sdraiati su una meravigliosa spiaggia, immaginando di essere nel libro di King e di vedere con i suoi occhi le spiagge che il protagonista, Devin Jones, tutti i giorni, percorreva per raggiungere il parco dei divertimenti. 
 
Mi piace concludere questo post proprio con le parole di Devin che osserva il paesaggio dalla ruota panoramica del parco:

A ovest si stendevano i bassopiani della Carolina del Nord, incredibilmente verdi per un ragazzo del New England che considerava marzo un mese gelido e piovoso, pallido anticipo della primavera autentica. A est l'oceano, di un blu metallico finchè non si abbatteva a cavalloni sul litorale, dove io sarei andato a passeggiare pochi mesi più tardi portandomi appresso il mio povero cuore martoriato. [...] 


Vi saluto lasciandovi gli appuntamenti di giugno!

 Calendario Giugno:

3 giugno Nadia sul blog Desperate Bookswife
7 giugno Viviana sul blog Cara carissima me
10 giugno Marina sul blog Un libro per amico
17 giugno Baba su Desperate Bookswife
24 giugno Io sul blog Un libro per amico


martedì 27 aprile 2021

Recensione #392 - La casa delle sorelle di Charlotte Link

Buongiorno lettori, oggi vi parlerò di un libro che da anni era parcheggiato nella mia libreria e che - complice la sfida di lettura che organizzo e a cui partecipo anche - ho deciso di leggere. Si tratta del romanzo La casa delle sorelle, di Charlotte Link, edito da TEA, pag. 611.


Trama:
UNA TEMPESTA DI NEVE, UN DIARIO SEGRETO E DUE DONNE I CUI DESTINI SI INTRECCIANO CON ESITI SORPRENDENTI. Una coppia di giovani avvocati tedeschi di successo decide di passare il Natale in Inghilterra, in una isolata casa di campagna. Il loro matrimonio è in crisi e Barbara spera che qualche giorno passato in solitudine con Ralph possa servire a risolvere la crisi. La sera stessa dell'arrivo una violenta tempesta di neve li blocca in casa. Barbara si imbatte casualmente nel diario di Frances Gray, la vecchia proprietaria della casa. La lettura del manoscritto affascina la giovane che scopre una donna straordinaria, in grado di sfidare le convenzioni.

La prima cosa me mi sento di dire parlando di questo libro è: perché questa autrice non è sulla bocca di tutti come altre, - se mi conoscete sapete che penso ad esempio ad una super famosa e chiacchierata - molto meno capaci? Perché gli editori non puntano sui romanzi di questa donna dandone risalto e importanza? Ho iniziato questo romanzo non sapendo cosa aspettarmi e mi sono catapultata in un mondo quasi perfetto fatto di tutto quello che un lettore dovrebbe trovare in un libro, ed ora proverò a spiegarvi perché!

lunedì 26 aprile 2021

Letture con Marina #131 - Per le strade di Tokyo di Nick Bradley

Buongiorno lettori, non è venerdì ma la fine del mese si avvicina e con esso la necessità di postare recensioni per le challenge di lettura in corso quindi mettetevi comodi perchè torna Marina con una recensione.



Una sorta di esperimento: può un uomo, un autore con il nome perfetto per il protagonista di romance, scrivere del Giappone… sul Giappone… con la stessa leggerezza poetica di un autore giapponese?


Ti
tolo: Per le strade di Tokyo
Autore: Nick Bradley
Casa editrice: Nord, 2020
Pagine: 360
Traduzione: Claudine Turla

Trama: Tokyo è una metropoli proiettata sul futuro, in cui tutto cambia rapidamente. Ora che si sta preparando a ospitare le Olimpiadi, le gru dei cantieri punteggiano il cielo, interi palazzi vengono rasi al suolo e ricostruiti, nuove strade si aprono tra i grattacieli. Eppure, nel quartiere di Asakusa, accanto al tempio più antico della città, c’è una piccola bottega rimasta identica da secoli. È il laboratorio di un tatuatore, forse l’ultimo a usare aghi e inchiostri tradizionali. In pochi lo conoscono, e ancor meno sono disposti a sottoporsi a quella tecnica che rende i colori estremamente vivi, ma così dolorosa da spaventare persino gli uomini della yakuza. Eppure, un giorno, in quella bottega entra una ragazza a chiedere un tatuaggio che le copra tutta la schiena: una rappresentazione fedele di Tokyo, senza nessuna presenza umana. Sebbene un po’ sorpreso da quell’insolita richiesta, che necessiterà di mesi di lavoro, il tatuatore accetta. Ma dopo qualche tempo, mentre sta disegnando l’incrocio di Shibuya, non resiste alla tentazione d’inserire una gattina calico proprio davanti alla statua di Hachiko. Tuttavia, durante la sessione successiva, il tatuatore si accorge che la gatta è sparita. Incredulo, la cerca nel disegno e la vede nascosta dietro un palazzo di Ginza. E ancora eccola svanire di nuovo, per rispuntare sul tetto della stazione di Shinjuku. Come se avesse preso vita. Ciò che lui non sa è che, da quando ha inserito la piccola intrusa nel tatuaggio, una gatta calico ha iniziato a girare per le strade di Tokyo, incontrando di volta in volta persone diverse: da un senzatetto cui le ruspe hanno distrutto il rifugio a una traduttrice in cerca di fortuna; da un tassista appena rimasto vedovo a un ragazzino bullizzato che ha il disperato bisogno di un amico. Per tutti questi individui, la gatta è un’apparizione fugace, un dettaglio sullo sfondo presto dimenticato. Nessuno si accorge che è proprio lei la molla che li spinge a deviare la traiettoria del loro cammino, a incontrarsi in qualche modo, a tirare il filo che lega il destino di tutti loro.
 
RECENSIONE:   

Ce n’è da dire su questo romanzo… il problema è semmai il contrario! Il mio incipit è provocatorio, sia per il dubbio della possibilità di battersi ad armi pari con un autore giapponese, sia per l’assonanza del suo nome ad un protagonista di romance, a patto di non vedere il suo volto, perché allora ci si dimentica subito dell’eventuale romance.

Scherzi a parte, e ritornando al romanzo… Gli argomenti da porre sul piatto per capire come considerare questa prima prova letteraria dell’autore sono molteplici. Uno degli aspetti che mi hanno fatto propendere per questa lettura, nonostante fosse un esordio, è stato leggere la biografia di quest’autore e sapere quindi che ha vissuto per otto anni in Giappone e che poi è rientrato in Gran Bretagna per conseguire un dottorato in critica letteraria, in cui ha approfondito la figura del gatto nella letteratura giapponese.

Ed è quindi interessante l’idea di ispirarsi alla leggenda giapponese del “bakeneko”, demone gatto capace di assumere le sembianze di una fanciulla, per condurci a spasso per Tokyo, per conoscere forse la più multiforme e mutevole metropoli del mondo e con essa un campionario di umanità che ci allontana un po’ dagli stereotipi del Giappone degli ultimi dieci anni, che ci presentano quest’isola come una moltitudine di ossequiosi abitanti, sempre alla ricerca della bellezza nelle cose ed in tutti gli aspetti della vita, votati al massacro delle specie marine per cibarsi di pesce crudo e rimanendo al contempo gentili e sorridenti, mentre magari vengono colti in metro a leggere manga. Ho scordato qualcosa ?

Una diciottenne si reca nell’antico quartiere di Asakusa, a nord-est di Tokyo e sul fiume Sumida, dove c’è lo studio di Kentaro, uno dei migliori e ancora pochi tatuatori che utilizzano l’antica e tradizionale tecnica del “tebori”. Vuole farsi tatuare sulla schiena l’intera città di Tokyo. A parte per alcune considerazioni di carattere pratico-economiche, Kentaro tenta di dissuadere la giovane Naomi anche perché, proprio per la tecnica dolorosa che utilizza, normalmente sono oramai solo gli appartenenti alla yakuza e pochi altri che vanno a farsi tatuare da lui. Ed è così che incontriamo per la prima volta questa ragazza, dagli occhi con particolari riflessi verdastri, e di conseguenza la gatta “calico” (gatto domestico di qualsiasi razza con un mantello tricolore), che ci farà conoscere tutti i personaggi sognati da Nick Bradley e la città, sogno di milioni di persone, nella quale ha vissuto per parecchi anni e che è “una griglia di edifici divisi da strade, con canali che si snodano tra vicoli sottili, la baia disordinata e le vene e i capillari delle linee ferroviarie che pompano le persone in tutta la città”.

Come dicevamo, c’è un po’ un campionario di umanità in questo primo romanzo di Bradley. C’è anche tanto parlare di cibo, tanto buon cibo – e scopriamo, almeno da quanto racconta Bradley, che i giapponesi sono grandi estimatori della birra. E ci sono anche molte spiegazioni/racconti in diversi piccoli camei del perché ad esempio il teatro “kabuki” ad un certo punto è stato vietato dal governo, così come il perché l’arte del tatoo tradizionale è andato in disuso, nonostante inizialmente fosse il segno distintivo dei pompieri, amati e rispettati come in qualsiasi parte del mondo. Due piccoli esempi, che non appesantiscono il narrato proprio perché inseriti in un quadro di conversazioni, di cui noi lettori siamo semplicemente incuriositi spettatori. E poi ci sono i capitoli stessi che, come molte volte accade, danno il là ed anticipano di cosa si parlerà e come si intreccerà la vicenda principale.

E così conosciamo l’apripista Kentaro, che incide la schiena di Noemi e nonostante il divieto della giovane ragazza, le tatua di nascosto una gattina calico, proprio sull’incrocio di Shibuya… salvo all’appuntamento successivo, ritrovare il disegno della gattina in una stradina laterale della Tokyo Tower!, e scoprire successivamente che l’animale si sposta continuamente… E per lui oramai, dopo tanti mesi di sedute, la sua Noemi, il tatuaggio e la gattina diventano un’ossessione, tanto che prende la decisione di uccidere la ragazza alla fine dell’ultima seduta. Ma come in una matrioska, mentre è chino per gli ultimi ritocchi e sta per prendere il coltello, vede sé stesso anche all’interno del suo studio di tattoo sulla schiena della ragazza, e con lui anche la gattina calico, e il sé stesso all’interno del disegno vede un altro sé stesso che sta tatuando Noemi, con la gatta fuori dal negozio, in un esasperante rimando senza fine, che lo imprigiona senza possibilità di scampo.

Una dopo l’altra, così come un capitolo dopo l’altro, si dipanano diverse vicende che inizialmente sono slegate le une dalle altre, se non per il fatto che in ciascun quadro sarà sempre presente la gattina calico oppure Noemi. Incontreremo il senzatetto Ohashi, un famoso “oratore rukugota”, che nel capitolo “Parole e Cadute” ci racconterà la sua vita di trionfi e di dolorose perdite, insieme a quella di altri senzatetto, (con menzione particolare all’antipatico Keita, ex yakuza, che ritroveremo più avanti), prima che a causa della “pulizia” in occasione delle Olimpiadi di Tokyo 2020, venga preso insieme ai suoi compagni di strada e rinchiuso in una sorta di ospizio/prigione. Nel capitolo “Street Fighter II (Turbo)” incontreremo soprattutto Kyoko e Makoto, due impiegati appassionati di un vecchio videogioco in particolare, che lavorano nell’azienda del padre di Ryu, loro superiore… Oppure leggeremo dell’intensa e straziante amicizia che lega un “hikikomori” ad un bimbo che salva la gattina calico, che è imparentato con…

E poi incontriamo un taxista, che ci metterà in contatto con altri due sue colleghi e soprattutto con la “nippologa” Flora, un’americana che lavora e vive a Tokyo come interprete e che insegue la traduzione dei suoi sogni, il libro di Nishi Furuni . E conosceremo anche il detective Ishikawa, che verrà incaricato da una coppia di rintracciare il figlio scomparso. E torneremo indietro e intuiremo che il taxista ha a che fare con il sopra menzionato rukugota con la bandana viola, che a sua volta ha a che fare con la figlia del taxista che è scappata a New York e sta per tornare a Tokyo in occasione delle Olimpiadi.

E a proposito delle Olimpiadi di Tokyo 2020, che non si sono tenute a causa del Covid, Nick Bradley ha deciso per il bene del suo narrato di sospendere la realtà e procedere come se i Giochi si fossero veramente svolti. Vi consiglio di andare a vedere la bella intervista dello scorso mart. 20.04, sul canale IG di Marta Perego, dove potrete seguire la simpatica e curiosa intervista all’autore.

Sì, forse dentro c’è un po’ tanto, un po’ tutto ciò che di stereotipato sappiamo del Giappone. Però l’interessante in questo romanzo è che lo si percepisce solo a lettura ultimata, invece mentre lo si legge si trovano gli argomenti e gli stessi stereotipi del tutto naturali, confacenti non solo alla lettura, ma al Giappone stesso. Non stonano. Ci dovremo riflettere dopo, per realizzarlo.

E soprattutto, diversamente da quanto avviene in altri romanzi che io definisco di scatola ad incastro, qui Bradley opera una magia che non avevo ancora trovato negli altri: le connessioni non sono “telefonate” e si scoprono solo nel momento in cui l’autore decide di svelarle. E questa particolarità è un grande incentivo nel vorace desiderio di proseguire che coglie il lettore. Alcune parti, come quelle tra la coppia giappo-cinese di Mari e George forse perdono un po’ il fascino e la leggerezza asiatici per catapultarci all’improvviso nella letteratura americana e fanno un po’ da stacco in tutto l’elaborato dal ritmo così pacatamente orientale. Ma non è uno stacco pesante.

Ma prima della fine e dell’invito a leggere questo intenso romanzo, come è cultura e tradizione in Giappone, voglio che teniate a mente questo augurio, perché solo così potrete comprendere appieno quanto la gattina calico, la bakeneko, sta operando nel romanzo e vorrebbe parimenti nelle vite con cui viene a contatto : “Okaeri nasai”, Bentornato a Casa.
A presto




 

venerdì 23 aprile 2021

Letture con Marina #130 - La stanza dei Kimono di Yuka Murayama

Buongiorno lettori, è di nuovo venerdì e torna Marina con la sua recensione.


L’immagine in copertina, l’erotismo promesso, il titolo scelto per la versione in lingua italiana, perché chissà che significa quel “ hanayoi” in giapponese… L’autrice giapponese, il Giappone. Possono mai essere un motivo valido per lasciarsi sedurre dall’idea di un romanzo?


Ti
tolo: La stanza del Kimono
Autore: Yuka Murayama
Casa editrice: Piemme, 2016
Pagine: 237
Traduzione: Laura Testaverde

Trama: Da tre generazioni, a Tokyo, la famiglia della giovane Asako gestisce un raffinato negozio di kimono. Quella del kimono è un'arte: ogni colore, ogni materiale, modello o fantasia ha un suo significato, che solo pochi sono in grado di decifrare. E quando Asako riceve in dono da sua nonna la splendida collezione privata della famiglia una collezione di kimono antichi, preziosissimi, in cui ogni pezzo è unico e ha la sua storia capisce che è il momento anche per lei di entrare in questo mondo, lasciando il suo lavoro di organizzatrice di matrimoni e cominciando una nuova vita. D'altra parte, suo marito Seiji sembra essersi allontanato da lei, preda dell'infelicità e in cerca di qualcosa che forse Asako non riesce più a dargli. È tramite il negozio di kimono che Asako incontra Masataka, un affascinante sconosciuto di Kyoto che ha dei kimono speciali da proporle in vendita. Tra lui e Asako scoppierà una passione violenta, carica di erotismo e di desiderio, che costringerà Asako a chiedersi che cos'è che vuole davvero dalla propria vita e le farà finalmente capire che cos'è il piacere, quello vero.
 
RECENSIONE:   

Kimono, geishe (chissà perché, come sento kimono, automaticamente associo anche quest’altra parola), Giappone, autrice giapponese molto apprezzata: questa volta non già un mio filo logico delle letture, ma la pura curiosità mi ha portato a leggere questo romanzo, il primo tradotto in Italia di questa autrice nipponica.

Due coppie, quattro persone: sono loro che incrociando casualmente i loro destini danno vita a questo romanzo. Tutto il resto è un corollario. Persone, città, attività… un magnifico corollario, con dei ma e dei però.

Ma andiamo con ordine. Schematicamente, dodici capitoli, ciascuno con un suo proprio titolo che dà il senso degli accadimenti. E ciascuno dei capitoli è dedicato ad uno dei quattro protagonisti, diciamo alternativamente prima le mogli Asako e Chisa, poi i mariti Seiji e Masataka, ciascuno con un background più o meno lieve, più o meno traumatico, più o meno protetto.

Nelle descrizioni di alcune parti della città di Tokyo dove vivono i coniugi Asako e Seiji, e di pochissime della città di Kyoto dove vivono i coniugi Chisa e Masataka, c’è tutta la magia, la dolcezza e la serenità tipiche della scrittura giapponese. Finanche l’iniziale racconto dell’infanzia di Chisa, dove lei stessa rivive l’esperienza traumatica delle molestie sessuali ad opera dello zio, risulta poetica e di un certo incanto erotico, pur se il lettore si rende perfettamente conto che quanto è accaduto è malato e sbagliato. Ciò nonostante, spiace dirlo per l’argomento che tratta, è forse la parte più “riuscitamente” erotica del romanzo.

Due donne a confronto, molto diverse tra loro, che si contrappongono ai due uomini, altrettanto diversi. E non è necessario leggere a lungo per capire che per uno strano gioco del destino, se le due coppie potessero scambiarsi i partners, sarebbero probabilmente molto più felici. C’è una coppia sana, costituita dalla donna Asako e dall’uomo Masataka, e una coppia malata nell’anima costituita da Chisa e Seiji. E attenzione, non intendo malata perché ha pulsioni particolari, semplicemente non a proprio agio perché non ancora venuta a patti con ciò che il suo essere anela. E forse con ciò che la società, probabilmente anche in Giappone, impone come norma.

Interessante scoprire che in Giappone, prendo esempio dalla coppia Chisa-Masataka, se una famiglia con un’attività commerciale importante ha solo una erede, può adottare ad esempio il marito della figlia, facendogli prendere il nome (inteso come cognome) della moglie, in modo da portare avanti il nome dell’attività e della famiglia.

L’incontro casuale tra Asako e Masataka avviene perché lui, essendo ora dirigente della ditta di pompe funebri della famiglia della moglie, viene in contatto con i familiari dei defunti che vogliono “liberarsi” dei vestiti dei loro cari e qualche volta tra gli abiti ci sono anche i kimono, magari antichi, passati di figlia in figlia. Anche se prima ancora di questa situazione, in realtà i kimono che Masataka si ritrova a vendere sono quelli della zia di sua moglie Chisa.

Appassionanti le descrizioni dei kimono e degli accessori ad essi connessi, che come per la cerimonia del tè, hanno un rituale nell’essere indossati, con rigide regole a seconda della stagione e dell’occasione in cui li si indossa. Così come qualche santuario visitato o un mercato dei fiori. Avvincenti anche le parti del romanzo che raccontano la storia di Masataka, in relazione all’impresa di pompe funebri, di tutto l’indotto e delle manovre delle diverse ditte per accaparrarsi i funerali, con “tramacci” con gli operatori sanitari all’interno degli ospedali, fino a circuire gli stessi, chi con regalie, chi con relazioni extra-coniugali, se mi intendete.

Ho trovato invece fiacca la storia tra Chisa e Seiji, dove francamente una relazione su basi diverse avrebbe forse dato un respiro diverso alla vicenda in sé stessa ed in relazione al resto dell’impianto costruito dalla scrittrice, forse non più reale ma sicuramente più coinvolgente. Anche la storia dell’altra coppia adulterina non mi ha convinta pienamente, ma in questo caso forse perché la protagonista Asako m’è parsa una bambolina cresciuta all’ombra della famiglia e senza una vita sua propria, indipendente, pur se in precedenza ha lavorato per un’altra ditta, dove ha conosciuto il marito. Anche il nuovo negozio cha apre, grazie al lascito da parte del nonno di kimono preziosi ed antichi, avviene sempre con l’aiuto della nonna (che per lei è più un’amica che una parente di un’altra generazione) e dei genitori. Ancora, la sua vita scandita a ritmo della passeggiata mattutina con il cane di razza shiba, Chachamaru, il rientro in tempo per preparare la colazione al marito e scambiare due chiacchiere prima di recarsi al lavoro, nonostante sia palesemente ricalcato sulla vera realtà quotidiana, dopo un po’ annoia ed infastidisce.

A mio avviso il colpo da maestro l’autrice lo fa con il gran finale, riuscendo ad avere il coraggio di non terminare in modo melenso, cosa che avrebbe rovinato completamente il romanzo, ma con una conclusione sicuramente nelle aspettative del lettore, eppure forse proprio per questo molto apprezzabile, per l’impatto che riesce a dare anche a posteriori a tutta la narrazione. Forse una chiusa un po’ troppo criptica e tagliata con l’accetta, ma sicuramente molto d’effetto. “Le gocce che scorrevano sul vetro una dopo l’altra le apparivano come cicatrici profonde e sottili”. E forse la vita è proprio così, soprattutto se non hai avuto il coraggio di afferrare al momento giusto ciò che inaspettatamente ti è stato offerto su di un piatto d’argento. D’altronde il cuore deve sempre fare i conti con l’anima e soprattutto con la testa. Perché afferrare la felicità, una volta che ce l’hai a portata di mano, predilige i cuor di leone e i duri. E non tutti ci siamo portati.

A presto




 

lunedì 19 aprile 2021

Recensione #391 - Il gatto che voleva salvare i libri di Sosuke Natsukawa

Buongiorno lettori, come vedete sto cercando di impegnarmi per essere un po' più costante con il blog quindi eccomi di nuovo qui con una recensione, si tratta di quella de Il gatto che voleva salvare i libri, di Sosuke Natsukawa, edito da Mondadori, pag. 180.


Trama:
La libreria Natsuki è un luogo speciale: un negozio polveroso e solitario, dove gli amanti della lettura possono trovare, tra le pagine dei grandi capolavori di tutto il mondo, un'oasi di pace, un rifugio lontano dal frastuono della quotidianità. Quando il proprietario, uomo colto e appassionato, muore improvvisamente, il nipote Rintaro, un ragazzino timido e introverso, eredita la libreria. Il nonno si è preso cura di lui dopo la morte di sua madre e, ora che è scomparso, Rintaro deve imparare a fare a meno della sua saggezza dolce e pacata. La libreria è sull'orlo del fallimento: un'eredità pesante per il ragazzo, anche perché i segnali dal mondo sono piuttosto scoraggianti: poca gente è davvero interessata alla lettura. Un giorno, mentre Rintaro si crogiola malinconico nel ricordo del nonno, entra in libreria un gatto parlante. Nonostante le iniziali perplessità del ragazzino, il gatto lo convince a partire per una missione molto speciale: salvare i libri dalla loro scomparsa. Inizia così la storia di un'amicizia magica: un'avventura che li porterà a percorrere quattro diversi labirinti per risolvere altrettante questioni esistenziali sull'importanza della lettura e sulla forza, infinita e imperscrutabile, dell'amore. Una favola dei nostri tempi, un'ode straordinaria al potere del libro e dell'immaginazione.


Chi mi conosce sa che normalmente rifuggo i libri che parlano di libri, perché la maggior parte delle volte mi deludono. E non leggo neanche libri con protagonisti gli animali. Amo gli animali ma quello dei romanzi che parlano e salvano il mondo anche no.
Quindi perché hai letto questo libro che si intitola Il gatto che voleva salvare i libri, vi chiederete voi? L'ho fatto per una sfida di lettura a cui partecipo. Solo e unicamente per quello. Speravo forse di trovare l'eccezione che conferma la regola? Forse! Fatto sta che da oggi continuerò a scappare a gambe levate davanti a libri del genere perché no, non ho trovate l'eccezione.
Aggiungiamo che è pure Giapponese, con cui ho un rapporto molto labile...

venerdì 16 aprile 2021

Letture con Marina #129 - Recensione de Le stanze dei fantasmi di Charles Dickens

Buongiorno lettori, è di nuovo venerdì e torna Marina con la sua recensione.


Mi viene da sorridere se penso alle scorciatoie che talvolta si pigliano per prendere i così detti “due piccioni con una fava”. In questo specifico caso, la fava è il libro scelto all’uopo e i due piccioni sono Dickens e la Gaskell, cui finalmente ho potuto approcciarmi, pur se con racconti e non con un romanzo completo.

“Quello vittoriano fu un periodo di prosperità e progresso per la classe borghese, ma anche di povertà e profondissime ingiustizie per le classi più disagiate. In genere ricordato come l’epoca del Positivismo e del Realismo, tuttavia nascondeva in sé una sotterranea corrente di irrazionalismo soprannaturale, un amore per il fantastico e il ripiegamento interiore”.



Titolo: Le stanze dei fanrasmi
Autore: Charles Dickens (e con C. Dickens, Wilkie Collins, Elizabeth Gaskell, Hesba Stretton, George A. Sala, Adelaide A. Procter)
Casa editrice: Del Vecchio Editore, 2014
Pagine: 237
Traduzione: Stella Sacchini
Illustrazioni: M. Ceccato

Trama: In una vecchia casa di campagna Joe e Patty decidono di invitare un gruppo di amici per vivacizzare le loro giornate. Una coppia affiatata, un giovanotto brillante, una femminista convinta, un ex marinaio col suo compagno di avventure e un avvocato di successo rispondono all'invito, e finiscono per partecipare a un singolare "ritiro" in una classica location alla Poe: una villa isolata e popolata di presenze dall'oltretomba. Vivranno per tre mesi insieme, lontani dal mondo, avendo la possibilità di scoprire quale fantasma abita la loro stanza (e la loro vita), senza mai farne parola. Soltanto alla fine si riuniranno per raccontarsi ciò che hanno visto e udito, come in un inquietante Decameron. Regista dell'esperimento è Joe, alter-ego dello stesso Dickens. "Le stanze dei fantasmi" è un modernissimo romanzo a cornice, che inanella una serie di storie pubblicate su "All the Year Round" nel 1859, a cura di Charles Dickens. Con la sua consueta ironia ai limiti della satira e con il pretesto degli spettri, il più famoso scrittore vittoriano compone un nutrito campionario delle fobie e delle nevrosi dei suoi contemporanei.
 
RECENSIONE:   



“Ecco allora che Charles Dickens affianca al romanzo sociale a tendenza filantropica una ricca serie di racconti di fantasmi, quasi a dirci che il realismo non è l’unica chiave di lettura della realtà. Le Stanze dei Fantasmi è una raccolta di ghost stories, pubblicata per la prima volta nel Dicembre 1859, nel numero speciale natalizio del periodico settimanale inglese ‘All the Year Round’, esperimento di scrittura collettiva diretto da Dickens e con la partecipazione di alcuni fra i suoi colleghi più letti all’epoca”.

E dunque l’incipit lo creano soprattutto Joe, protagonista del racconto introduttivo e voce narrante, e poi anche la sorella Patty, quando insieme affittano una casa dell’epoca di Giorgio II, isolata e con giardino, con la nomea di essere infestata dai fantasmi. Il tutto inizia però non come da copione in una sera buia e tempestosa, ma in una stupenda e soleggiata mattina autunnale. Il luogo però è talmente isolato, solitario e grigio e di una “tristezza trascendentale”, che i due decidono di invitare anche alcuni amici a condividere questa magione, per fare un esperimento diciamo così, esoterico. E detto fatto, prima ancora che arrivi il Natale, gli amici arrivano ad occupare la casa. Il patto che stringeranno tra di loro è che ciascuno occupi una delle stanze a disposizione, con scelta casuale e con annesso relativo fantasma. E ogni ospite dovrà mantenere il segreto su quanto gli capiterà o meno, fino alla “Dodicesima Notte” (la notte dell’Epifania), momento in cui loro, i mortali, si racconteranno a vicenda le esperienze vissute.




Ed ecco in sintesi la suddivisione delle stanze e gli argomenti, o le avventure, che gli attuali occupanti vivranno, chi personalmente, chi per interposta persona.

La scrittrice Hesba Stratton, scrittrice di libri per bambini, racconta la storia del fantasma della Stanza dell’Orologio, quella occupata dai coniugi Herschel sposatisi giusto in primavera, di cui John è il cugino di primo grado di Joe e Patty. Qui l’eroina Stella, di antica memoria brontiana, da giovane “libertina” si incapriccia per calcolo di un serio studioso, con la complicità della sorella maggiore che vuole accasarla prima che sia troppo tardi. Il racconto è adorabile ed il finale non è così scontato, soprattutto per la presenza di una strana bambina. La tematica principale, l’avrete capito, è la situazione femminile del tempo.

Adelaide Anne Procter, la poetessa preferita dalla regina Vittoria, scrittrice impegnata in molte cause umanitarie a favore di donne senza impiego e senza casa e fervente femminista, narra in rima la toccante vicenda dell’infelice suor Angela, orfana “raccolta” in tenera età dalle suore nel convento di Nostra Signora dei Biancospini. Forse uno dei racconti più belli e poetici che io abbia mai letto. Qui ci troviamo nella Stanza del Quadro, occupata da Belinda Bates, amica del cuore di Patty, intellettuale finissima e deliziosa ragazza con un talento spiccato per la poesia e, non poteva essere altrimenti, il pallino per i diritti della Donna.

George Augustus Sala, scrittore e giornalista, narra le rocambolesche avventure dell’amico ventottenne di Joe e Patty, Alfred Starling, ne La Stanza Doppia. Una tragicomica sequenza di gag, dove la realtà si confonde con il sogno, che si confonde con l’incubo, che si fa poi realtà, per trasformarsi ancora in… Della serie, le avventure comiche, per il lettore, di un libertino, o un sedicente tale.

Ospite nella Stanza della Madia, Mr. Beaver si farà raccontare da Wilkie Collins, in una vicenda di marinai e pirati spagnoli, forse il racconto che mi è piaciuto meno, pur se ingegnoso e rocambolesco. Wilkie Collins è considerato uno dei padri del romanzo poliziesco, era amico e collaboratore di Dickens ed in generale era uno scrittore molto ben considerato durante la sua epoca e anche nel nostro periodo. Nonostante ciò, devo confessare che l’unico suo romanzo letto, l’acclamato capolavoro “La Donna in Bianco”, letto peraltro molti anni fa, ha lasciato in me la sensazione di non averlo apprezzato come forse merita. E come da copione che si rispetti e da fama che lo precede, in questo racconto il gusto per la teatralità delle storie a sorpresa non verrà lesinato.

La Stanza del Signorino B è la stanza che capita in sorte a Joe, voce di Dickens, che viene “visitato” dal fantasma di questo signorino, che lo porterà ripetutamente a spasso nel tempo, finendo per infiltrarsi nella stessa infanzia di Joe, quando ancora piccolo era in collegio, prima della morte del padre e del rovescio della fortuna economica della sua famiglia.

Ed ecco che nella Stanza del Giardino, incontriamo finalmente la scrittrice Mrs. Gaskell, che si fa voce del giudice Undery, che occupa appunto tale stanza e che si ritrova egli stesso all’interno di questa favola o racconto nero, proprio nei panni di giudice, dopo aver assistito alle vicende di una famiglia di contadini del Nord. Vicende familiari dove l’eccessivo amore genitoriale porterà alla rovina di tutta una famiglia, con risvolti diabolici e nel contempo tristemente disperati. Stupendamente fastidiosa la stolidità di questi genitori e nel contempo la pietas che avvolge questo racconto si fa protagonista, incoronando la semplice onestà della vita contadina, fatta di sacrifici e al contempo di generosità disinteressata.

La Stanza ad Angolo chiude la serie di racconti ed è sempre raccontata da Dickens e narra le vicissitudini dell’ex marinaio, l’affascinante Jack Governor, amico di Joe ed ex innamorato proprio della di lui sorella, la nubile Patty. E che, guarda caso, viene visitato proprio da un qualcosa con le sembianze di donna.

Il fascino di questo romanzo come corpus e come vicende singole è che non racconta propriamente di fantasmi come ce l’aspetteremmo dai classici racconti di paura, nonostante i campanelli che suonano nel mezzo della notte, donne incappucciate che si materializzano all’improvviso e occhi che spuntano fuori nel buio. Dickens dà qui un taglio insolito e Le Stanze dei Fantasmi del titolo sembrano in realtà fare il verso alla “stanza interiore” di ciascuno dei protagonisti, rendendo l’elemento umano la parte fondamentale, con angosce e rimpianti dell’animo umano, che si mescola a credenze della tradizione e alla volontà del periodo di poter vivere nei racconti situazioni più disperate della propria, funzione che consente anche alle persone del ceto più disagiato di sperare in un futuro migliore.

Stupendi poi alcuni personaggi solo schizzati con tratto purtroppo anche troppo rapido, dipinti a violenti chiaroscuri, non protagonisti ma semplici comparse delle vicende, che verranno ricordate a lungo dai lettori, grazie al nutrito campionario di fobie e nevrosi ivi descritte e facenti parte dei tic dei contemporanei degli scrittori, con parti sicuramente molto più godibili in lingua originale, perché presentati nella parlata dell’epoca e nei diversi accenti delle “regioni”. Approfittiamo per ricordare che questa raccolta all’epoca era in realtà uscita settimanalmente nella rivista inglese sopra citata e quindi non potevano essere racconti molto lunghi. E che come traduzione, a parte quelli scritti da Dickens già tradotti in italiano, il resto dei racconti mi pare di aver capito siano qui tradotti per la prima volta da Stella Sacchini, traduttrice letteraria dall’inglese, dal latino e dal greco e laureatasi in Filologia Bizantina. Suo in effetti l’interessante poscritto intitolato “La scatola nera del traduttore”, che ci fa entrare di soppiatto nel mondo dei traduttori, per farci partecipi delle gioie e dei dolori di questa categoria alle volte misconosciuta. La lettura di quest’ultimo capitolo, per chi apprezza, è un gioiello che si aggiunge alla magnifica collana che è la raccolta dei sopra citati scrittori vittoriani.

Per concludere, prendo a prestito le parole della traduttrice Sacchini: “ E’ un vero miracolo di equilibrismo arrivare in fondo a questa raccolta, senza mai perdere le tracce dell’autore/autrice, e senza perdersi”. Confesso di essermi felicemente persa in questo mondo… e Vi invito a fare altrettanto.

A presto




 

giovedì 15 aprile 2021

Lettori intorno al mondo - America del Nord - Marina vi porta a New York

 Buongiorno lettori, torna la rubrica dei viaggi. Questo mese vi portiamo in Nord America. La scorsa settimana Nadia vi ha portato in South Dakota - post cliccando qui - lunedì Viviana vi ha portato nel Vermont - post qui - e oggi Marina vi porta a New York! Siete pronti? Prendete passaporto e bagagli perchè si parte.




Chissà perché, quando Baba e Nadia del blog Desperate Bookswife e Daniela del blog Libro per Amico mi hanno invitata al tour “Lettori Intorno al Mondo”, al momento per ovvie ragioni tour solo virtuale, avevo già in mente determinate mete per ciascun Paese del mondo. Alcune città già visitate, alcune rimaste in sospeso e ancora da visitare, ma sempre nella mia lista dei sogni. Come già avete avuto modi di vedere con Nadia che ci ha appena scarrozzati in South Dakota - qui - , diciamo in centro-nord America, in Aprile abbiamo pensato di allontanarci parecchio da casa. E ora io Vi faccio prendere un volo interno per trasferirci dal South Dakota… a NEW YORK!!

Con la scusa della lettura di uno stupendo romanzo, un recentissimo hard-boiled al femminile, allo stesso tempo inconsueto e che dà una svolta alla classica narrativa del genere - recensione qui -, ci catapultiamo nella New York del 1945, in una città ed in un Paese dimentichi da poco del proibizionismo ed appena usciti dalla Guerra e all’inizio di un periodo di benessere economico.
 

Titolo: La fortuna aiuta il morto
Autore: Stephen Spotswood
Casa editrice: Mondadori, 2020
Pagine: 272
Traduzione: Manuela Faimali

Ci tenevo, prima di passare al cuore del viaggio che qui Vi proponiamo, a parlare del periodo dell’emigrazione degli italiani nel mondo in generale e negli Stati Uniti d’America in particolare, fenomeno che ha interessato un numero impressionante di nostri connazionali e che ci dovrebbe far riconsiderare il fenomeno, pur con i distinguo con i quali i nostri connazionali sono emigrati e soprattutto sono stati accettati nei vari Paesi di destinazione.

Sono stati tre i periodi durante i quali l'Italia ha conosciuto un cospicuo fenomeno emigratorio destinato all'espatrio. Il primo periodo, conosciuto come Grande Emigrazione, ha avuto inizio nel 1861 dopo l'Unità d'Italia ed è terminato negli anni venti del XX secolo con l'ascesa del fascismo. Il secondo periodo di forte emigrazione all'estero, conosciuto come Migrazione Europea, è avvenuto tra la fine della seconda guerra mondiale (1945) e gli anni settanta del XX secolo. Tra il 1861 e il 1985 hanno lasciato il Paese, senza farvi più ritorno, circa 18.725.000 italiani. I loro discendenti, che sono chiamati "oriundi italiani", ammontano nel mondo a un numero compreso tra i 60 e gli 80 milioni. Una terza ondata emigratoria destinata all'espatrio, che è cominciata all'inizio del XXI secolo e che è conosciuta come Nuova Emigrazione, è causata dalle difficoltà che hanno avuto origine nella grande recessione, crisi economica mondiale che è iniziata nel 2007. Questo terzo fenomeno emigratorio, che ha una consistenza numerica inferiore rispetto ai due precedenti, interessa principalmente i giovani, spesso laureati, tant'è che viene definito come una "fuga di cervelli". Secondo l'anagrafe degli italiani residenti all'estero (AIRE), il numero di cittadini italiani che risiedono fuori dall'Italia è passato dai 3.106.251 del 2006 ai 4.973.942 del 2017, con un incremento pari al 60,1%. (fonte: Wikipedia)

Sono numeri impressionanti, vero? Eppure solo quando li mettiamo nero su bianco, ci rendiamo conto di che numero consistente sia, quello del fenomeno dell’emigrazione.


Museo di Ellis Park

La Statua della Libertà



E quindi nel mio viaggio ideale a New York, partirei proprio da qui, e sulle tracce degli emigranti visiterei in primis Ellis Island, una delle 40 isole delle acque di New York, assurta alla fama a partire dal 1894, in quanto stazione di smistamento per gli immigranti. Ed è proprio qui, dove “milioni di destini si sono incrociati, che sorge uno dei luoghi più interessanti e sicuramente più commoventi” di tutta New York, il Museo dell’immigrazione di Ellis Island. E qui gli emigranti, scesi dalle navi, stremati dal lungo e duro viaggio, attendevano per ore il loro turno per controlli medici e burocratici, all’ombra della Statua della Libertà, altra visita irrinunciabile del viaggio. E quindi prendiamo il battello che da Battery Park va verso la Statua della Libertà e trascorriamo il ns primo giorno di viaggio visitando il Museo dell’Immigrazione e la Statua della Libertà. Dobbiamo assolutamente farci avanzare del tempo per visitare il Battery Park, un parco pubblico grande circa 10 ettari, uno dei luoghi più belli e tranquilli di Manhattan, da cui partono appunto i battelli per la Statua della Libertà ed Ellis Island.



Non possiamo poi camminare nell’Upper West Side ed in alcuni punti caldi di Brooklyn senza alzare gli occhi ad ammirare le “brownstone”, le classiche abitazioni in arenaria color marrone, materiale di costruzione popolare all’inizio del 19esimo secolo. E a tal proposito, tanto per restare in tema letterario, “nel 1930 un grasso ed eccentrico investigatore privato acquista una vecchia casa in arenaria nella 35a strada ovest di New York e lo stesso anno assume un segretario, Archie Goodwin”. Vi sovviene di chi si sta parlando…?

Ed eccoci qui al bivio. Vi lascio un paio di giorni a disposizione per rendere reali i Vs sogni, ciò che di New York avreste sempre voluto visitare. Il Rockefeller Center? Prego. Oppure l’ One World Observatory? Il classico tour panoramico sul Big Bus? Oppure un incredibile tour notturno in elicottero dal New Jersey? E anche il classicissimo Central Park per raggiungere il Metropolitan Museum of Art? O ancora, se non volete fare una lunga fila per l’Empire State Building, il Top of the Rock, che offre spettacolari punti panoramici. Times Square? Spettacoli a Broadway?

Insomma, da vedere e da fare ce n’è per tutti i gusti. Però io volevo darVi qualche spunto più curioso, per qualche visita fuori dal solito circuito dei luoghi più conosciuti.

1. L’avreste mai creduto possibile? IL MURO DI BERLINO A NEW YORK!

A New York è possibile toccare il muro di Berlino.
In diversi punti della città sono esposti pezzi del muro, decorati con murales. Li potete trovare a Paley Park, East 53rd Street tra Madison e Fifth Avenue – Kowsky Plaza, Battery Park – Palazzo Nazioni Unite – Ripley’s Believe it o Not – The Intrepid Museum.

Le cinque lastre del muro a Paley Park, 520 Madison Avenue



2. NEW YORK’S GLASS WATERFALL TUNNEL, a pochi passi da Times Square.

Si tratta di un breve tunnel trasparente con sopra una cascata d’acqua, racchiuso sul lato del McGraw-Hill Building, tra la 48a e la 49a strada.





3. OLD CITY HALL: LA STAZIONE ABBANDONATA DELLA METRO DI NEW YORK

La primissima corsa della metropolitana di New York nel 1904 partì proprio da questa stazione (il City Hall è il municipio della città). Dal 1945 la stazione di Old City Hall è chiusa e viene utilizzata solo come inversione di marcia per la linea 6.
L’architettura della Old City Hall è molto elegante, con splendidi soffitti a volta, lucernari a volta e curve aggraziate, decisamente diversa dall’interno delle altre stazioni metro di New York.
Per visitare questo posto segreto dovrete diventare membri del NY Transit Museum e alla quota di associazione aggiungere 50$ per il biglietto. Vengono organizzati dei tour guidati di circa 90 minuti, sul sito ufficiale trovate tutte le informazioni nytransitmuseum.org.


Si tratta di uno dei luoghi insoliti di New York più difficili e costosi da visitare.


4. LA GALLERIA DEI SUSSURRI A GRAND CENTRAL TERMINAL

Quando visitate la Grand Central Station di New York, scendete dove si trova l’Oyster Bar and Restaurant. Qui si torva la Whispering Gallery. Grazie al particolare soffitto a volte, che da solo vale la visita, se sussurrate qualcosa rivolti verso uno degli angoli, un’altra persona può sentire chiaramente quello che state dicendo mettendosi in ascolto all’angolo diagonalmente opposto.
Si tratta di un fenomeno acustico davvero sorprendente, soprattutto per la confusione di voci e di altri rumori che potete immaginare ci siano all’interno del principale terminal ferroviario di New York.




5. ROOSEVELT ISLAND

Roosevelt Island è una di quelle zone spesso trascurate dai classici itinerari turistici. Riserva invece almeno due attrazioni insolite e curiose per chi è in vacanza a New York. Innanzitutto la funivia di Roosevelt Island, non così segreta dopo essere stata immortalata in diversi film come Spiderman, ma sempre un’esperienza simpatica da fare.
Nella punta meridionale dell’isola c’è poi lo Smallpox Hospital, un ospedale dove si curava il vaiolo (smallpox in inglese) ora abbandonato. L’aspetto è spettrale, la zona particolarmente tranquilla e di fronte c’è un parco da cui ammirare Manhattan.



6. L’ATRIO DEL WOOLWORTH BUILDING

Il Woolworth Building è stato a inizio ‘900 il grattacielo più alto del mondo e il suo atrio maestoso era riconosciuto come il più bello della città.
Non che oggi sia meno bello, anzi, solo che ha perso un po’ di interesse turistico. Gli interni e gli esterni sono uno splendido esempio di architettura, che unisce diversi stili.
La visita è possibile attraverso tour guidati.



7. POMANDER WALK: UN ANGOLO DI CAMPAGNA INGLESE A NEW YORK

Tra i luoghi insoliti da vedere a New York c’è Pomander Walk, un complesso di appartamenti nell’Upper West Side di Manhattan, tra la Broadway e West End Avenue. La particolarità sta nel contrasto con lo stile e l’altezza degli edifici che li circondano. Sembra che qualcuno per scherzo abbia incastonato un pezzo di una tranquilla cittadina della campagna inglese.
Pomander Walk è chiusa da dei cancelli alle due estremità, non è quindi aperta al pubblico ma visitabile solo su invito o con tour guidati.


E per tornare indietro e riallacciarci con il romanzo che ha dato origine a questa chiacchierata, Vi propongo… BAR SEGRETI DI NEW YORK, per una sosta rinvigorente e perché no, entrare in sintonia con un periodo molto particolare! Sicuramente se Vi incuriosiscono luoghi segreti e posti particolari, non potrete resistere dal visitare uno dei tanti “speakeasy” presenti a New York, dei bar segreti, che si rifanno un po’ all’epoca del proibizionismo, la cui entrata è camuffata in diversi modi.

Come detto, ce n’è per tutti i gusti, in una città come New York.
E allora buon viaggio e a presto!



Calendario:
Nadia sul blog Desperate Bookswife l'8 aprile 
Marina sul blog Un libro per amico 15 aprile
Baba sul blog Desperate Bookswife, il 22 aprile
Io ovviamente qui, chiuderò i giochi il 29 aprile
 
E in aggiunta a questo gruppetto di matte troverete Viviana sul blog Cara Carissima me il 12 aprile.
Se volete aggiungervi e viaggiare con noi, contattateci!