venerdì 23 aprile 2021

Letture con Marina #130 - La stanza dei Kimono di Yuka Murayama

Buongiorno lettori, è di nuovo venerdì e torna Marina con la sua recensione.


L’immagine in copertina, l’erotismo promesso, il titolo scelto per la versione in lingua italiana, perché chissà che significa quel “ hanayoi” in giapponese… L’autrice giapponese, il Giappone. Possono mai essere un motivo valido per lasciarsi sedurre dall’idea di un romanzo?


Ti
tolo: La stanza del Kimono
Autore: Yuka Murayama
Casa editrice: Piemme, 2016
Pagine: 237
Traduzione: Laura Testaverde

Trama: Da tre generazioni, a Tokyo, la famiglia della giovane Asako gestisce un raffinato negozio di kimono. Quella del kimono è un'arte: ogni colore, ogni materiale, modello o fantasia ha un suo significato, che solo pochi sono in grado di decifrare. E quando Asako riceve in dono da sua nonna la splendida collezione privata della famiglia una collezione di kimono antichi, preziosissimi, in cui ogni pezzo è unico e ha la sua storia capisce che è il momento anche per lei di entrare in questo mondo, lasciando il suo lavoro di organizzatrice di matrimoni e cominciando una nuova vita. D'altra parte, suo marito Seiji sembra essersi allontanato da lei, preda dell'infelicità e in cerca di qualcosa che forse Asako non riesce più a dargli. È tramite il negozio di kimono che Asako incontra Masataka, un affascinante sconosciuto di Kyoto che ha dei kimono speciali da proporle in vendita. Tra lui e Asako scoppierà una passione violenta, carica di erotismo e di desiderio, che costringerà Asako a chiedersi che cos'è che vuole davvero dalla propria vita e le farà finalmente capire che cos'è il piacere, quello vero.
 
RECENSIONE:   

Kimono, geishe (chissà perché, come sento kimono, automaticamente associo anche quest’altra parola), Giappone, autrice giapponese molto apprezzata: questa volta non già un mio filo logico delle letture, ma la pura curiosità mi ha portato a leggere questo romanzo, il primo tradotto in Italia di questa autrice nipponica.

Due coppie, quattro persone: sono loro che incrociando casualmente i loro destini danno vita a questo romanzo. Tutto il resto è un corollario. Persone, città, attività… un magnifico corollario, con dei ma e dei però.

Ma andiamo con ordine. Schematicamente, dodici capitoli, ciascuno con un suo proprio titolo che dà il senso degli accadimenti. E ciascuno dei capitoli è dedicato ad uno dei quattro protagonisti, diciamo alternativamente prima le mogli Asako e Chisa, poi i mariti Seiji e Masataka, ciascuno con un background più o meno lieve, più o meno traumatico, più o meno protetto.

Nelle descrizioni di alcune parti della città di Tokyo dove vivono i coniugi Asako e Seiji, e di pochissime della città di Kyoto dove vivono i coniugi Chisa e Masataka, c’è tutta la magia, la dolcezza e la serenità tipiche della scrittura giapponese. Finanche l’iniziale racconto dell’infanzia di Chisa, dove lei stessa rivive l’esperienza traumatica delle molestie sessuali ad opera dello zio, risulta poetica e di un certo incanto erotico, pur se il lettore si rende perfettamente conto che quanto è accaduto è malato e sbagliato. Ciò nonostante, spiace dirlo per l’argomento che tratta, è forse la parte più “riuscitamente” erotica del romanzo.

Due donne a confronto, molto diverse tra loro, che si contrappongono ai due uomini, altrettanto diversi. E non è necessario leggere a lungo per capire che per uno strano gioco del destino, se le due coppie potessero scambiarsi i partners, sarebbero probabilmente molto più felici. C’è una coppia sana, costituita dalla donna Asako e dall’uomo Masataka, e una coppia malata nell’anima costituita da Chisa e Seiji. E attenzione, non intendo malata perché ha pulsioni particolari, semplicemente non a proprio agio perché non ancora venuta a patti con ciò che il suo essere anela. E forse con ciò che la società, probabilmente anche in Giappone, impone come norma.

Interessante scoprire che in Giappone, prendo esempio dalla coppia Chisa-Masataka, se una famiglia con un’attività commerciale importante ha solo una erede, può adottare ad esempio il marito della figlia, facendogli prendere il nome (inteso come cognome) della moglie, in modo da portare avanti il nome dell’attività e della famiglia.

L’incontro casuale tra Asako e Masataka avviene perché lui, essendo ora dirigente della ditta di pompe funebri della famiglia della moglie, viene in contatto con i familiari dei defunti che vogliono “liberarsi” dei vestiti dei loro cari e qualche volta tra gli abiti ci sono anche i kimono, magari antichi, passati di figlia in figlia. Anche se prima ancora di questa situazione, in realtà i kimono che Masataka si ritrova a vendere sono quelli della zia di sua moglie Chisa.

Appassionanti le descrizioni dei kimono e degli accessori ad essi connessi, che come per la cerimonia del tè, hanno un rituale nell’essere indossati, con rigide regole a seconda della stagione e dell’occasione in cui li si indossa. Così come qualche santuario visitato o un mercato dei fiori. Avvincenti anche le parti del romanzo che raccontano la storia di Masataka, in relazione all’impresa di pompe funebri, di tutto l’indotto e delle manovre delle diverse ditte per accaparrarsi i funerali, con “tramacci” con gli operatori sanitari all’interno degli ospedali, fino a circuire gli stessi, chi con regalie, chi con relazioni extra-coniugali, se mi intendete.

Ho trovato invece fiacca la storia tra Chisa e Seiji, dove francamente una relazione su basi diverse avrebbe forse dato un respiro diverso alla vicenda in sé stessa ed in relazione al resto dell’impianto costruito dalla scrittrice, forse non più reale ma sicuramente più coinvolgente. Anche la storia dell’altra coppia adulterina non mi ha convinta pienamente, ma in questo caso forse perché la protagonista Asako m’è parsa una bambolina cresciuta all’ombra della famiglia e senza una vita sua propria, indipendente, pur se in precedenza ha lavorato per un’altra ditta, dove ha conosciuto il marito. Anche il nuovo negozio cha apre, grazie al lascito da parte del nonno di kimono preziosi ed antichi, avviene sempre con l’aiuto della nonna (che per lei è più un’amica che una parente di un’altra generazione) e dei genitori. Ancora, la sua vita scandita a ritmo della passeggiata mattutina con il cane di razza shiba, Chachamaru, il rientro in tempo per preparare la colazione al marito e scambiare due chiacchiere prima di recarsi al lavoro, nonostante sia palesemente ricalcato sulla vera realtà quotidiana, dopo un po’ annoia ed infastidisce.

A mio avviso il colpo da maestro l’autrice lo fa con il gran finale, riuscendo ad avere il coraggio di non terminare in modo melenso, cosa che avrebbe rovinato completamente il romanzo, ma con una conclusione sicuramente nelle aspettative del lettore, eppure forse proprio per questo molto apprezzabile, per l’impatto che riesce a dare anche a posteriori a tutta la narrazione. Forse una chiusa un po’ troppo criptica e tagliata con l’accetta, ma sicuramente molto d’effetto. “Le gocce che scorrevano sul vetro una dopo l’altra le apparivano come cicatrici profonde e sottili”. E forse la vita è proprio così, soprattutto se non hai avuto il coraggio di afferrare al momento giusto ciò che inaspettatamente ti è stato offerto su di un piatto d’argento. D’altronde il cuore deve sempre fare i conti con l’anima e soprattutto con la testa. Perché afferrare la felicità, una volta che ce l’hai a portata di mano, predilige i cuor di leone e i duri. E non tutti ci siamo portati.

A presto




 

2 commenti:

  1. Mi piacciono un sacco le storie ambientate in Giappone e questa recensione mi ha catturato! Spero di recuperarlo presto!

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  2. Ciao Nicole,
    se lo recuperi fammi sapere.
    A me è piaciuto, ma non soddisfatta proprio completamente...
    Ciao e buona serata, Marina

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