Buon pomeriggio lettori e buona domenica. Come va? Oggi sono qui per parlarvi di un classico, che io ho letto da un volume più grande che ne racchiude atri due. Si tratta di Cime Tempestose, di Emily Brontë, pag. 234, racchiuso nella raccolta I capolavori delle impareggiabili penne sororali. Sorelle Brontë edita da Oscar Vault Mondadori, pag. 780, di cui vi avevo parlato qui.
Trama: Da "Cime Tempestose", a "Jane Eyre", passando per "Agnes Grey", fino ai meno noti "L'angelo della tempesta", "La Signora di Wildfell Hall" e "Shirley", le tre sorelle Brontë ci hanno lasciato romanzi immortali, capolavori della narrativa ottocentesca pieni di pathos e emozione, ciascuna con la propria voce. A questi romanzi si aggiungono i sublimi versi nei quali rivive tutto il fascino della natura selvaggia delle brughiere dello Yorkshire, tra distese d'erica, roccia e foschia. Questo volume offre l'occasione per riscoprire tre voci femminili originalissime nel panorama letterario, tra incanto, disperazione, e il desiderio insopprimibile di affermare la propria identità.
Devo ammetterlo, nella mia vita da lettrice - compreso il periodo in cui ero una studentessa - non ho letto moltissimi classici. Avevo un professore che prediligeva gli autori contemporanei - con mia somma gioia in quel momento anche se adesso lo rimpiango un po' - e tra i classici letti non c'era quello delle sorelle Brontë.
Se di Jane Eyre ho letto il romanzo e visto più e più volte il film, di Cime tempestose non sapevo cosa aspettarmi anche se l'idea che avevo in testa era qualcosa di simile a Orgoglio e pregiudizio. Non potevo sbagliarmi di più. Cime tempestose non è lontanamente simile a nulla di tutto ciò che io abbia mai letto - parlando di grandi classici - ed ora cercherò di spiegarvi perché.
"Wuthering Heights, Cime Tempestose, è il nome dell'abitazione del signor Heathcliff, e "Wuthering" è un'espressione provinciale per indicare lo sconquasso atmosferico al quale la sua posizione la espone durante il maltempo."
La trama intricata è anche difficile da raccontare e sintetizzare. Ci sono sostanzialmente due famiglie e due grandi dimore le cui vite si ritrovano irrimediabilmente intrecciate e legate per sempre. Ho fatto fatica, in un primo momento, a districarmi tra i tantissimi personaggi che questo romanzo ci regala. I loro nomi simili -se non uguali - le loro parentele, i loro comportamenti mi hanno confuso non poco le idee facendomi da subito capire che mi trovavo davanti ad una storia incredibile che poco aveva di quello che nei classici è definito ordinario.
Nessun amore da favola, nessuna famiglia felice, nessun ballo sfarzoso. Da subito quella che si affaccia alla mente del lettore quando si approccia alle prime pagine di questo romanzo è una devastante e potente follia. Eh già, la follia è la protagonista di questo libro, l'unico motore che muove questa storia. Una follia che porta ad un amore malato, violento, degno dei peggiori fatti di cronaca nera. Una follia che porta a manovrare un figlio per il proprio interesse, ad insultarlo senza tregua, a demolirlo psicologicamente e fisicamente.
Che dire se non che Emily Brontë credo sia un genio?
Ci regala una storia raccontata da tantissime voci narranti: una domestica che intrattiene un affittuario con la storia dei suoi padroni; un affittuario che si ritrova - suo malgrado - ad assistere a momenti di pura follia, tanto da ascoltare voracemente il racconto che la domestica Nelly gli propone; un padrone di casa le cui sofferenze e mancanze di bambino hanno avvelenato totalmente la sua esistenza e di tutti quelli che gli girano intorno.
Lo stile è assolutamente godibile nonostante siano passati secoli e l'ambientazione non è un mero contorno ma emerge prepotentemente come protagonista assoluta della vicenda, diventandone spettatore inconsapevole. Quando si dice: "Ah, se questa casa avesse le orecchie!"...
Credo che quest'opera abbia tantissime caratteristiche che la rendano avanti rispetto al periodo storico. Pensiamo solo al capitolo introduttivo: ci viene raccontata la fine. Il lettore incontra sin dalle prime righe, i personaggi adulti, e viene a sapere immediatamente - anche se inconsapevolmente - che morirà e chi no durante lo scorrere delle pagine. Questo tipo di impianto narrativo è molto utilizzato oggigiorno, soprattutto nei thriller o nei noir, ma credo che all'epoca dell'uscita di questo romanzo fosse una cosa nuova, inusuale, un dettaglio che non si trovasse facilmente in letteratura.
Tanti sono i temi che si possono incontrare scorrendo queste pagine: abbandono, prigionia, amore, dolore fisico, follia, famiglia, morte, e ancora dolore e ancora morte, e dolore, morte, dolore, morte che sono poi la forza trainante di tutto ciò che succede.
Sì, c'è anche l'amore, ma non immaginate il bel mister Darcy con la sua eleganza ed educazione, non immaginate parole d'amore e frasi strazianti. Quello che innegabilmente troverete tra queste pagine è più un amore doloroso, di quelli che ti distruggono talmente tanto da cambiarti la vita, da tirar fuori il peggio di te, da farti diventare una persona peggiore anziché migliore.
Non c'è un personaggio positivo in questo romanzo anzi, sono tutti contornati da luci e ombre, tutti con qualcosa che divora dentro, tutti con l'unico scopo di sopravvivere ai soprusi degli altri e a crearne di rimando dei nuovi.
Non so cosa abbia spinto l'autrice a scrivere un libro di questo tipo in quegli anni. Sicuramente la sua vita segnata da grande dolore può aver avuto un ruolo molto importante in questo, come se il libro fosse diventato lo sfogo dove convogliare tutti i colori e i dispiaceri di una vita.
I toni restano infatti cupi per tutto il romanzo, ed anche tra i personaggi non sono riuscita a trovare la luce, qualcosa in qualcuno che mi facesse preponderare verso quel personaggio. Ho amato la coralità di questo romanzo, la devastazione interiore che dimostra, la potenza scenica delle immagini che la lettura richiama
Insomma, un libro da leggere se non lo avete mai fatto!
Io, nel mio piccolo, vorrei guardare il film a breve visto che non l'ho mai visto.
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