lunedì 31 luglio 2017

Recensione # 200 - Il libro di Julian di R.J. Palacio - Domino letterario

Buon pomeriggio carissimi, come state? Siamo finalmente giunti all'ultimo giorno di luglio, ultima settimana lavorativa per me e, come potete immaginare, il mio umore è alle stelle!
Oggi vi propongo una recensione che fa parte di una iniziativa cui partecipo per la prima volta e che coinvolge deversi blog, si tratta del Domino letterario. In cosa consiste? È molto semplice: nell'immagine sottostante trovate l'elenco dei blog che partecipano e le date di pubblicazione delle recensioni. Il primo blog della lista ha scelto un libro cui il secondo blog si ricollega - può essere il colore della cover, la casa editrice, il fatto che l'autore sia maschio o femmina, insomma un qualsiasi collegamento - in una sorta di domino. In questo modo tutti i libri di cui ognuno dei blog partecipanti vi proporrà la recensione saranno collegati al precedente della lista. Io sono l'ultima della catena quindi se vi va troverete già tutte le recensioni precedenti pubblicate. Nello specifico io mi dovevo ricollegare al blog Leggendo Romance che, prima di me, ha scelto di recensire Silver di Kerstin Gier edito da Corbaccio; io mi ricollego per libro scritto da una donna e facente parte di una serie lasciandovi la recensione de Il libro di Julian di R.J. Palacio edito da Giunti, 121 pagine.

Sinossi: Julian non si capacita di come siano andate le cose nell'ultimo anno scolastico. Era il ragazzo più popolare della classe e si ritrova ad essere escluso dai compagni e costretto a cambiare scuola. Solo per aver fatto delle battute! Ma lui ha sempre fatto dell'ironia, e tutti ridevano, prima! Appena arrivato in classe, Auggie, il nuovo compagno di scuola affetto dalla sindrome di Treacher-Collins, lo aveva veramente turbato. Fin da piccolissimo, infatti, Julian aveva il terrore degli zombi e la faccia deforme di Auggie gli aveva fatto tornare gli incubi infantili. Era questo il vero motivo del suo accanimento. Era stato sospeso da scuola quando il preside aveva scoperto i bigliettini che Julian faceva trovare ad Auggie e al suo ex amico Jack e così non aveva potuto partecipare alla gita scolastica. Un provvedimento che i genitori non avevano mai accettato, accusando la scuola di aver sottovalutato la difficoltà della situazione che l'inserimento di Auggie in classe avrebbe comportato. Durante l'estate, però, Julian scopre una verità sconvolgente sulla sua nonna francese. Lei, ebrea, gli confessa che durante la guerra era stata salvata dallo "storpio" della classe, il "Tartaruga", come lo chiamavano tutti deridendolo. Solo pochi giorni prima di essere deportato egli stesso, perché non "perfetto", le aveva dato il suo primo bacio. Il suo nome era Julian... Età di lettura: da 13 anni.

Secondo volume della serie Wonder in cui l'autrice sceglie di dare voce a Julian, un personaggio particolarmente importante incontrato nel primo libro che però, a differenza di altri, non aveva avuto modo di farci conoscere il suo punto di vista. Un punto di vista che io ho atteso con ansia visto che il suo comportamento da bullo e la sua convinzione di essere nel giusto - anche grazie alla madre che si ritrova - mi avevano non poco urtato durante la lettura del primo libro.
Questo nuovo volume si divide in due parti: la prima in cui Julian ci parla del suo anno scolastico dal suo punto di vista cercando di spiegare e di giustificarsi - senza riuscirci secondo me - per il comportamento adottato fin dall'inizio nei confronti di August; la second in cui la scuola è finita ed il ragazzo racconta della sua estate solitaria a Parigi a casa della nonna paterna.
Nonna che all'inizio sembrava un personaggio marginale ma che invece è l'unica a dimostrare di avere del sale iun zucca e soprattutto è l'unica che cerca di far capire al ragazzo quanto il suo atteggiamento sia stato sbagliato.
Ho adorato la seconda parte, ho adorato quella nonna apparentemente un po' indifferente ed arcigna che poi sboccia raccontandoci una storia dolcissima fatta di gentilezza incondizionata che sa far riflettere ed emozionare.
Sono tornata con lei alla deportazione nazista, ho sofferto per le sorti della sua famiglia, ho vissuto insieme a lei il pentimento verso quel ragazzo tanto deriso e attraverso i suoi occhi ho visto nascere un sentimento profondo e unico.
Devo dire che mi piace molto come l'autrice abbia deciso di far evolvere la storia introducendo anche un'ulteriore fonte di riflessione su un tema di cui tanto si parla e che è sempre bene ricordare, soprattutto ai ragazzi. E in questo caso è un tema trattato in modo molto chiaro e diretto, con un linguaggio adatto a trasmettere le giuste emozione e portando il lettore a sentirsi coinvolto.
Se avete amato Wonder non potrete rimanere delusi da questo seguito che ne mantiene lo stesso stile semplice ma diretto e che permette di divorare il libro in pochissimo tempo.
Anche in questo caso ne consiglio la lettura sia ai ragazzi ma anche agli adulti anzi, sarebbe bello che gli adulti lo facessero leggere nelle scuole e magari ne creassero un dibattito perchè sono temi di cui non si parla mai abbastanza e soprattutto non lo si fa mai portando esempi concreti come fa l'autrice. Come lei cerca di estrapolare le sfaccettature dei possibili comportamenti che possono emergere in una situazione simile, sarebbe bello che lo facessero anche i ragazzi sia in ambito familiare che scolastico.
Questa è una di quelle serie che sicuramente terrò da parte per mio figlio e che gli consiglierò di leggere a tempo debito.
E voi cosa ne pensate? Lo avete letto? Se ancora non lo avete fatto io vi consiglio di dargli una possibilità anche se magari non siete particolarmente avvezzi al genere young adult.

VOTO: 


domenica 30 luglio 2017

Blogtour "Nonostante il destino" di Angela Iezzi

Buongiorno lettori, e buona domenica. Difficilmente pubblico post durante il fine settimana ma oggi sono qui per un motivo importante. Come vi avevo già annunciato in una delle ultime puntate di Coming soon - qui - l'otto agosto uscirà negli store online Nonostante il destino, il nuovo romanzo di Angela Iezzi edito da Newton Compton. Oggi ho l'onore di ospitare la seconda tappa del blogtour partito ieri e che ci accompagnerà fino al giorno dell'uscita. Ieri su Toglietemi tutto ma non i miei libri avete trovato cover e trama, oggi qui vi svelerò l'incipit e un estratto che vi permetterà di scoprire qualcosa del libro.

Bando alle chiacchiere, ecco l'incipit:


La pioggia torrenziale batte insistente contro il tessuto impermeabile del mio ombrello. Avrei dovuto prendere quello grande di nonna Natalie quando ha insistito questa mattina, ma speravo ardentemente che il tempo non peggiorasse. Solito inguaribile ottimismo.
Mi affianco al lato del marciapiede, a ridosso del muro, nella speranza che qualche pensilina sopra la mia testa possa proteggermi un po’. Non ho ancora voglia di tornare a casa. Ero partita con un intento e non sono ancora riuscita a portarlo a termine. Odio dovermi arrendere. Tra due giorni la mia finta vacanza sarà finita e non ho trovato il modo per aprire il mio piccolo negozio di cappelli artigianali. La complicità di nonna avrebbe dovuto aiutarmi a prolungare di più questo soggiorno da lei e invece mio padre non ne ha voluto sapere. Mai che a Wendell Chetwode-Talbot sfugga una virgola. Credo abbia subodorato qualcosa quando ieri sera nonna Natalie gli ha chiesto qualche giorno in più con sua nipote. Non che sia strano di per sé, lo diventa soltanto nel momento in cui si avvicina il compleanno di mamma. Almeno il regalo per lei l’ho già trovato: uno splendido maglioncino di lana del suo colore preferito, azzurro cielo. Sono sicura che le piacerà.
Ignoro il viavai di persone che sfrecciano sotto i loro ombrelli molto più grandi del mio e mi guardo attorno. Non sono mai venuta in questa parte di South Main Street, per lo meno non negli ultimi anni. Nonna Natalie abita un po’ fuori Fall River, quindi di rado ci è toccato un giro in città quando siamo venuti a trovarla, siamo tutti più tipi da campagna, aria aperta ed erbetta sotto i piedi, ma ora sono da sola, ho uno scopo da raggiungere e solo altri due giorni, quindi perché non scoprire cosa questa zona della città ha da offrire? Senza pensarci, svolto su Spring Street e ne percorro qualche metro, stando attenta a non farmi inondare dagli schizzi delle auto che percorrono la strada in senso opposto al mio, quando vengo folgorata da una vetrina. Una macchina da cucire Improved Dolly Varden tirata a lucido attira tutta la mia attenzione. Ha la base di legno lucido, foderato da un rinforzo di metallo grigio, per il resto è quasi completamente nera, con eleganti decorazioni in oro che la rendono ancora più bella. C’è persino il rocchetto del filo infilato, è magnifica. Per un istante vedo il sogno di una vita divenire realtà: uno splendido negozietto con almeno un paio di belle vetrine che danno su una strada affollata. File e file di cappelli eleganti, colorati e assortiti, per tutte le età, di ogni grandezza, per uomini ma soprattutto per donne, lo sfavillio di qualche applicazione di metallo o pietre preziose, la leggerezza di piume colorate o raso, la consistenza di pelle o cuoio. Tutto creato in pezzi unici da me, la proprietaria, con la sua Improved Dolly Varden, fedele compagna di lavoro e fonte di mille soddisfazioni!
Sollevo lo sguardo verso l’insegna sulla quale campeggia più una promessa che un nome: “Same As It Never Was Antiques”. Bene, perché non ho molti soldi da parte. Non potrei chiedere di meglio. Chiudo in fretta l’ombrellino ed entro decisa, godendomi il lieve tepore che si avverte all’interno.

Estratto:


Ho dovuto subire ben tre interruzioni, tutte uguali, prima di toccare il fondo. Sono una persona paziente e ne avrei tollerate anche di più se non fosse che l’ultima mi è costata il bidone aspiratutto. L’inquilino del piano di sopra ha pensato bene di assestare un calcio degno di un judoka al mio povero alleato, durante la sua fugace improvvisata. Non che io me ne intenda molto, ma pare che il colpo l’abbia tramortito e ora non si accende più. Com’è possibile che la signora Jane non l’abbia visto mettere il naso fuori di casa per quattro mesi e io me lo ritrovi davanti tre volte in poco più di due ore? Meno male che era una persona tranquilla, di solito non reagiscono così le persone tranquille!
Giro intorno per l’ennesima volta al bidone silenzioso, nel vano tentativo di trovare una soluzione. Se fossi un’elettricista o un tecnico di qualche tipo, forse, potrei aggiustarlo, ma non ne capisco niente di questo genere di cose e non avrei né il tempo né i soldi per andare a comprarne un altro. Al solo pensiero che, dopo il bidone aspiratutto, potrebbe essere il turno del trapano, non riesco a trattenermi. Mollo tutto ed esco dal locale. Salgo le scale due a due fino alla porta dell’appartamento al primo piano. Questa questione va chiarita una volta per tutte, prima che diventi più spiacevole di quanto già non sia. Pigio decisa il campanello e lo sento risuonare meccanico all’interno, ma a parte questo nessun rumore mi lascia intendere che ci sia qualcuno in casa. Attendo qualche secondo e poi risuono: sono assolutamente certa che quel tizio sia tornato nel suo appartamento – dove altro poteva andare vestito in quel modo – quindi è del tutto inutile che cerchi di farmi credere il contrario. Ancora nulla. Peccato che io sia una persona molto testarda, per cui insisto ancora e ancora, finché, forse al decimo scampanellio, la porta si apre.
«Che diavolo vuoi?», mi aggredisce l’inquilino per bene, squadrandomi dall’alto in basso con un’espressione severa. Wow, iniziamo bene!
«Non so quale sia il tuo problema, ma mi devi un bidone aspiratutto», gli faccio presente per nulla intimorita dal suo tono. Lui spalanca gli occhi di un verde solo lievemente più scuro del mio, sbalordito, e il secondo dopo sembra che fatichi a trattenersi dal ridere. Cosa avrò detto di così esilarante?
«Cosa ti dovrei?»
«Un bidone aspiratutto. Gli hai appena dato un calcio, ricordi?»
«Oh, sì che me lo ricordo, come ricordo il frastuono impossibile che mi ha ossessionato di prima mattina. Te lo scordi un altro arnese come quello», ribatte canzonatorio.
«Ho chiesto alla signora Jane se c’erano orari di silenzio obbligatori e lei mi ha assicurato che non avrei infastidito nessuno, quindi non capisco proprio di cosa tu ti stia lamentando. E poi sono quasi le dieci, non direi che è prima mattina. La gente lavora il lunedì mattina, non rimane fino a tardi a poltrire in pigiama», supponendo che questa specie di mise strappata e logora possa in una qualche dimensione lontana considerarsi un pigiama.
«La signora Jane è una donna molto accomodante e sarà anche vero che non ci sono orari di silenzio obbligatori, ma hai infastidito me e io non sono nessuno. Non mi importa cosa fa la gente il lunedì mattina, io stavo cercando di dormire», ribatte battagliero.
Ok, è evidente che così non andremo da nessuna parte, occorre più diplomazia, devo tentare un approccio diverso.
«Va bene, allora vediamo di venirci incontro: io devo ultimare la ristrutturazione in tempi brevi e, bidone aspiratutto a parte, ci saranno altri attrezzi rumorosi che non potrò evitare di usare, quindi perché non mi dici quali sono le fasce orarie in cui non vuoi che faccia rumore?», propongo con un sorriso incoraggiante. Lui sembra pensarci per un attimo e la cosa mi fa ben sperare.
«Direi che… sempre è la parola che esprime meglio il concetto che ho in mente in questo momento», mi liquida seccato prima di sbattermi la porta in faccia. Rimango imbambolata a fissarla per un paio di minuti. Possibile che sia davvero così antipatico? E se anche fosse possibile, come faccio ora? Non posso certo rimanere ferma solo perché a lui dà fastidio il rumore! E va bene, se la diplomazia non porta da nessuna parte, dovrò cambiare strategia. Ho un mese, non un giorno di più, mi devo mettere a lavoro.

Dall'incipit scopriamo il sogno della nostra protagonista: aprire un negozio di cappelli. Dall'estratto invece intuiamo che un negozio deve averlo trovato e che stia, appunto, ristrutturandolo.
Mi ha divertito molto il dialogo tra lei e il suo vicino di casa; vicino che, concedetemelo, io già adoro. So che dovrebbe starmi antipatico a pelle ma dai, è un tipo!!! Ora sono proprio curiosa di capire quale metodo utilizzerà lei visto che nelle ultime righe decide di abbandonare la diplomazia. Credo propio che ne vedremo delle belle...
Che dire di queste poche righe? Io ho ritrovato subito lo stile di Angela che mi aveva conquistato nel suo primo libro e non vedo l'ora di saperne di più sul negozio e su quelli che credo saranno i protagonisti del libro.
Ed ora a voi la parola... Cosa ve ne pare?

venerdì 28 luglio 2017

Letture con Marina #19

Buongiorno lettori! È di nuovo venerdì e torna una nuova puntata della rubrica Letture con Marina. Ultima puntata prima della pausa estiva, ritroverete questa rubrica a settembre.
Prima di lasciare a Marina la parola volevo ringraziare calorosamente Anna Da Re della Mondadori che ci ha gentilmente fatto avere questo ebook.

 
Lasciate andare le emozioni del Premio Strega, vinto quest’anno da Paolo Cognetti con il suo romanzo Le Otto Montagne, che leggerò in questa calda ed afosa estate 2017. Lasciato il cuore all’interno dell’intenso romanzo di Jung-Myung Lee: La guardia, il poeta e l’investigatore – che grazie al Premio Bancarella ho potuto leggere e di cui mi sono innamorata… (Premio Bancarella vinto quest’anno da Matteo Strukul con il suo romanzo sulla saga “I Medici”). Insomma, bando a tutte le emozioni da Premio e relativi strascichi polemici.

Riprendiamo il percorso iniziato un paio di settimane fa ed addentriamoci ne:                                                             
IL PERIODO ASIATICO
Abbandoniamo anche il mondo delle famiglie omosessuali e ci immergiamo in una nuova tipologia di famiglia allargata: la famiglia della polizia, con il thriller:
SEI QUATTRO

Autore: Hideo Yokoyama
Casa editrice: Mondadori
Traduzione: Laura Testaverde
Pagine: 581
Genere: Thriller
Anno di pubblicazione: 2017

Sinossi: Se Mikami Yoshinobu, il capo ufficio stampa della polizia regionale, potesse trasferire lo sconforto che prova nel corpo di un suo nemico, quest'ultimo stramazzerebbe di schianto per il dolore: sua figlia Ayumi è scappata da casa, a soli sedici anni, e da tre mesi è introvabile. L'ultima volta che Mikami l'ha vista era accovacciata al buio in un angolo della sua stanza e si colpiva il volto con i pugni, se lo graffiava. "Non la voglio questa faccia" gridava. Ayumi era convinta di avere un viso bruttissimo, come quello del padre.
Questo straordinario crime giapponese, paragonato dal "Guardian" ai romanzi di Stieg Larsson, si apre con una scena all'obitorio dove Mikami, appunto, è stato chiamato per identificare un corpo di ragazza, forse quello della figlia. Che non è, con sollievo dell'ex ispettore.
Per ovvie associazioni, dolorosi ricordi si fanno strada nella mente del poliziotto riportandolo al 1989, il sessantaquattresimo e ultimo anno dell'era Swúva, e a un problematico caso che la polizia all'epoca non era riuscita a risolvere. Una bambina era stata rapita e uccisa, nonostante il pagamento del riscatto richiesto. I colpevoli mai trovati.
L'impopolare caso Sei Quattro, come era stato chiamato, che da anni ormai aveva steso un'ombra sulla credibilità del dipartimento e delle istituzioni, in una società dove il primo comandamento è quello di "non lasciare mai un crimine impunito". Un caso che riemerge drammaticamente ora, dopo quattordici anni, dal momento che il capo della Polizia Nazionale vuole venire in visita per scusarsi ufficialmente con la famiglia della fanciulla uccisa.
Piccoli fuochi si accendono nella memoria di Mikami, forse un'anomalia nelle procedure, forse alcuni comportamenti non chiari dei colleghi, forse alcuni vuoti nel castello di una burocrazia vasta e complessa. Lentamente, in modo inesorabile, la maledizione del caso Sei Quattro riprende la sua forma più spaventosa per attirare nuove vittime nella tenebra.
RECENSIONE:

Definito thriller, ma in realtà meglio sarebbe definirlo un “procedural amministrativo” o ancora un antesignano del “bureaucracy thriller”, che proprio con questo autore giapponese apre la via ad un nuovo genere di thriller/poliziesco.
E questa opera corposa edita dalla Mondadori parte subito con un ossimoro, premendo lentamente sull’acceleratore, sia per l’ambigua copertina che ritrae il volto di una giovane donna attraverso un vetro zigrinato, che ne cela di fatto le fattezze, sia con l’apertura del romanzo stesso, che punta subito su un avvenimento dolorosissimo nella vita di qualsiasi genitore: il riconoscimento in obitorio del possibile corpo della figlia. La famiglia che seguiamo in questo passaggio tragico e traumatizzante, comunque si risolva il riconoscimento, appartiene al protagonista della vicenda, Mikami Yoshinobu, ex poliziotto della sezione della polizia ed ora – suo malgrado – capo ufficio stampa della polizia della città di “D” (la città non verrà mai nominata).
 
La trama del romanzo, unitamente alla copertina, mi avevano attirata tra le spire di questo romanzo, che non mi pareva thriller da cardiopalma, ma piuttosto da “Cold Case”, i così detti casi non risolti che una squadra dedicata tenta di risolvere, nonostante la lontananza temporale dall’omicidio. Ed infatti, in questa vicenda il rapimento di una bimba di 7 anni era avvenuto ben 14 anni prima e si era concluso con il ritrovamento della bimba uccisa, nonostante il riscatto pagato dal padre. L’autore ci darà conto del curioso titolo del romanzo all’interno del volume – e darne qui spiegazione sarebbe rubare parte della triste e poetica motivazione all’origine del significato.
Come dicevamo, in questo romanzo si innestano una serie di storie, i cui personaggi sono incasellati magistralmente come in una piramide, un po’ come ci si aspetta che sia la società giapponese: ciascuno deve avere la sua posizione, altrimenti il castello di ordine ed obbidienza che ne deriva rischia di crollare ad ogni istante. 
 
 La storia principale che fa da filo conduttore e che viene richiamata continuamente all’attenzione del lettore è appunto il rapimento e l’omicidio della piccola Shoko, avvenuto 14 anni prima dei fatti che prendono avvio ora, nel momento in cui leggiamo, anno del Signore 2003. Siamo nella città di “D” e questo crimine mai risolto, resta macchia indelebile nell’operato della polizia di questa città. Ciò che viene preso in esame, dal punto di vista particolarissimo di Mikami, è un continuo oscillare tra il desiderio di ritornare ad essere un poliziotto e di contro il desiderio di onorare il nuovo incarico che gli è stato rifilato, nonostante la posizione teoricamente più importante di capo ufficio stampa della polizia. Che però, per la natura stessa di questa posizione, lo porta in contrasto con il suo essere profondamente poliziotto. Un’indecisione che durerà quasi tutto il romanzo e che lo porterà a scoprire un po’ alla volta tutto ciò che era accaduto nel 1989, quando aveva seguito una parte del caso della piccola bimba assassinata. E che ci farà apprezzare vieppiù i contrasti di una società così lontana dalla nostra e le procedure degli ambienti legati al dipartimento di Polizia, oltre ad allargarsi per farci conoscere l’ambiente lavorativo in genere. 
Ho parlato di “procedural o bureaucracy thriller” proprio perché tutti i ragionamenti che Mikami farà lo porteranno sempre più vicino al marcio accaduto ai tempi del rapimento e all’intricatissima ragnatela di colpi di scena all’ultimo sangue tra gli alti vertici del reparto amministrativo di “D” e di Tokyo e la mobile della polizia di “D”. Incontreremo vari tipi di umanità – qui non più legati alla sola società giapponese ma di stampo tipicamente umano – e tra invidie e rivalità, giochi di potere, verità sottaciute e poi nascoste, scontri tra polizia e giornalisti, decisioni unilaterali prese ai più alti vertici, emergerà una sola ed unica verità: l’amore di un padre per la propria figlia e la tenacia disperata di dare un volto all’assassino. 
Insieme all’onore di stampo tipicamente nipponico, votato all’estremo, fino al sacrificio personale. Dopo che già la propria famiglia era uscita distrutta da questa nera vicenda. E se da un lato un padre mette in gioco tutta la sua vita per dare pace al proprio cuore ed alla figlia che aspetta da anni una giustizia tardiva, dall’altra un padre, dopo un lungo periodo di acquiescenza ed asservimento al proprio lavoro, lentamente ma in modo inesorabile scopre che in realtà lui la sua famiglia non la vedeva se non attraverso un vetro, sempre poco presente e incapace di prendere in mano il destino di questa piccola società familiare che il destino gli aveva regalato. Incapace di capire l’amore di una moglie per un uomo molto brutto. Incapace di vedere i problemi patologici della figlia che non si accetta, finchè un lungo e doloroso processo di negazione di sé, che sfocia da parte di Mikami in un atto violento, porta la figlia sedicenne a scappare di casa. E non è un caso che all’inizio io abbia parlato anche di “famiglia appartenente al ns protagonista”. In questo romanzo vengono portate in luce alcune delle peculiari caratteristiche della società giapponese, tra cui anche un maschilismo palese (talvolta mascherato da un soffocante senso di paternalismo), che non lascia possibilità di scelta alla donna giapponese. Che resta relegata al ruolo di moglie e madre di famiglia, anche se in gioventù aveva intrapreso una professione extra-casalinga.
 
Ed è proprio qui che inizia il romanzo: con una coppia di genitori che la grande famiglia della polizia aiuta nel cercare la figlia scappata e introvabile oramai da lungo tempo. Una ricerca che incatena al contempo Mikami al Direttore del Dipartimento Amministrativo, che lo ricatta velatamente con la ricerca della figlia scomparsa. E in tutto questo, l’assassino di quattordici anni prima si fa nuovamente vivo, rapendo questa volta una ragazza di diciassette anni…
Arrivata alla conclusione del romanzo, non senza una meravigliante sorpresa per il finale ben orchestrato, mi sono chiesta se lo scrittore avrebbe potuto accorciare un po’ questa sua corposa opera, dato che questa si dipana in modo necessariamente lento: ma riandando con la mente alla ragnatela di intrighi, al raffinato sistema di rapporti relazionali all’interno della società e delle istituzioni nipponiche, al racconto della vita dei poliziotti domiciliari dedicati al Caso Sei Quattro, alla storia della famiglia di Mikami e della moglie Minako e della figlia Ayumi – e soprattutto ai ragionamenti e alle varie discussioni di Mikami con colleghi e superiori, mi sono detta che accorciarlo in una qualsiasi della parti sopra citate avrebbe tolto parte della raffinatezza con cui l’autore ha cesellato ogni singola e concatenata parte del romanzo.
Avviso ai naviganti quindi: se siete in cerca di un thriller o comunque di un romanzo “adrenalinico”, resterete delusi. Ma se siete dei lettori curiosi, pazienti ed attratti da storie molto articolate e che si dipanano con raffinata e ben orchestrata grazia e commovente poesia, oltre ad apprezzare gli intrighi di palazzo, resterete affascinati da questo particolare affresco. Oltre ad entrare nei meandri di menti legate ad un’educazione e ad un’istruzione completamente diverse dalle nostre.
Dopo aver quindi curiosato ulteriormente nel vissuto nipponico a cavallo tra i due secoli – diciamo tra gli anni 1980 e 2010 circa – desidero salutarVi ed augurarVi una buona estate. Ci risentiamo a Settembre, al rientro dalla ferie.
A presto,