venerdì 6 agosto 2021

Letture con Marina #144 - Il castello Rackrant di Maria Edgeworth

Buongiorno lettori, come state? Come vedete, nonostante il periodo di ferie, il blog non si ferma mai. Lascio quindi spazio a Marina e a una delle sue recensioni. Buon week end! 


E dopo aver fatto due chiacchiere sulla corona inglese, magari di straforo, visto che ci siamo interessati degli affari di Wallis Simpson e dell’ex re Edoardo VIII, ho pensato per par condicio di andare un po’ in Irlanda per vedere anche lì com’era la situazione nobiltà ed affini…



Ti
tolo: Il castello Rackrent
Autore: Maria Edgeworth
Casa editrice: Fazi, 2017
Traduzione: Pietro Meneghelli
Pagine: 133

Trama: Thady Quirk è il vecchio servitore di un’antica famiglia anglo-irlandese. Nel corso della sua lunga vita trascorsa al castello Rackrent (letteralmente il castello ‘arraffa-affitti’) ha assistito alla progressiva decadenza dei suoi aristocratici padroni: Sir Patrick, che riempie la casa di ospiti e si ubriaca fino alla morte; Sir Murtagh, il suo erede, un “grande avvocato” che rifiuta di pagare i debiti di Sir Patrick “per una questione d’onore”; e Sir Kit, giocatore d’azzardo che alla fine vende la proprietà al figlio di Thady. Generazione dopo generazione, il graduale declino della famiglia diventa la simbolica premonizione dei profondi cambiamenti che investiranno la società irlandese e dei problemi che, a oltre duecento anni di distanza, sono ancora ben lontani dall’essere risolti. Apparso all’inizio del 1800, anno in cui si compiva l’esautorazione del Parlamento di Dublino e si preparava la strada all’unione tra l’Irlanda e la Gran Bretagna, Il Castello Rackrent ebbe un enorme successo. Politicamente audace, stilisticamente innovativo e incredibilmente piacevole, questo romanzo è una tappa fondamentale della letteratura irlandese e un grande classico da riscoprire.

 

RECENSIONE:   


Coetanea di Jane Austen, ma più longeva di questa sua più famosa collega, Maria Edgeworth, scrittrice inglese di origine irlandese, ebbe sicuramente una vita piena fin da bambina. Trasferitasi con il padre nella tenuta avita in Irlanda, intrecciò conoscenze con la nobiltà anglo-irlandese. La sua esperienza come amministratrice delle tenute del padre le permise di avere “materiale” per i suoi romanzi. Viaggiò, conobbe scrittori del calibro di Lord Byron e Sir Walter Scott e durante la Grande Carestia irlandese (1845-1849) si prodigò con strenua energia per alleviare le sofferenze dei contadini.

Ed è tutta qui la bellezza di questo romanzo, che racconta la vita in Irlanda, prima che la stessa venisse unificata alla Gran Bretagna, dove la Edgeworth ci racconta del vivere e soprattutto della mentalità e delle credenze dei contadini e dei servi della nobiltà. Chi ci racconta le vicissitudini dei vari proprietari del castello è un vecchio servitore illetterato, “la cui parzialità verso la ‘famiglia’ presso cui è cresciuto fin dalla nascita non può non essere ovvia al lettore”. Quest’uomo, definito in vari modi a seconda dello stadio della vita in cui si trova - “l’onesto Thady” infatti non è che una delle definizioni – racconta la storia della famiglia Rackrent nel suo dialetto, parlandoci prima di Sir Patrick, forse il suo preferito, di Sir Murtagh, di Sir Kit e di Sir Condy Rackrent, quest’ultimo il più simile a Sir Patrick e parimenti benvoluto sia da Thady che dai contadini e dai nobili e gentiluomini della contea, almeno finchè i debiti non sono talmente onerosi da perdere il favore di tutti, con un finale a dir poco pittoresco e rocambolesco.

Una storia irlandese, ricavata da fatti realmente accaduti e dalle usanze dei gentiluomini di campagna irlandesi prima dell’anno 1783. E la premessa fatta poc’anzi sulla vita di Maria Edgeworth ci porta a considerare questi stessi fatti del tutto veritieri. Tanto che, nel parlare soprattutto di due tra i gentiluomini della casata Rackrent (che significa: arraffa affitti, e mai nome fu così calzante!), ci vengono presentate anche le sfortunate mogli, il cui destino risulta essere un’ombra oscura che grava costantemente sulle loro vite, in totale balia dei loro mariti, che hanno di fatto potere di vita e di morte sulle mogli.

I “nobili” signorotti o gentiluomini di cui ci parla il vecchio Thady Quirk sono tutti più o meno degli ubriaconi, il cui unico scopo è, a parte il bere, andare a caccia di selvaggina e di donne, mandare in malora la propria magione e non avere assolutamente la necessità o il desiderio di fare alcunchè, nemmeno quando i debiti sono talmente ingenti che richiederebbero un’opera di ravveduta parsimonia e consigli da persone affidabili, fossero anche quelli dell’interessato procuratore Quirk, figlio di Thady.

Questa sorta di memoriale, nelle intenzioni dell’autrice, dovrebbe servire per far capire agli inglesi la vita vera degli irlandesi, tanto da scrivere che “una volta che l’Irlanda avrà perso la sua identità con l’unione alla Gran Bretagna, ci volteremo a guardare con un sorriso di divertita condiscendenza i Sir Kit e i Sir Condy dei tempi andati” E dopo aver letto e visto serie televisive sulla corona inglese, invero questi intemperanti irlandesi ci paiono di sicuro più ruspanti anche se semplici, ma anche molto più schietti seppur al contempo furbi, di quell’intelligenza tipicamente contadina, di cui la storia del figlio di Thady è una chiara esemplificazione.

Il tragicomico declino della nobiltà irlandese è stato definito questo romanzo da qualcuno: ed è proprio così che si legge questo romanzo, tutto d’un fiato e come se fosse una rappresentazione teatrale. Leggere per credere!

A presto




 

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