lunedì 9 agosto 2021

Recensione #405 - L'occhio del leopardo di Henning Mankell

Buongiorno lettori, eccomi di nuovo qui.
Oggi vi parlo del romanzo L'occhio del leopardo di Henning Mankell edito da Marsilio, pag. 333


Trama:
 Figlio di una donna che non ha mai conosciuto e di un tagliaboschi con l'anima del marinaio, dal nord della Svezia Hans Olofson è arrivato nello Zambia inseguendo un sogno altrui. Profondamente colpito dall'immensa bellezza dell'Africa, decide di fermarsi, convinto di avere trovato una nuova casa. Per la fattoria che ha rilevato a Lusaka insegue ambiziosi piani di riforma, ma in quella terra ignota, completamente priva di punti di riferimento e proprio per questo così seducente, impara presto a conoscere il disprezzo dei bianchi e il sospetto dei neri, mentre la tensione e le minacce continuano a crescere intorno a lui. Un giorno, anche i suoi vicini vengono barbaramente uccisi, e Hans Olofson comincia ad avere paura, assalito dalla stessa impotenza che provava da bambino, quando il gelo faceva gemere le travi della sua casa vicino al fiume. Negli anni, il sogno africano si trasforma in una lotta per la vita e la morte. Intrecciando passato e presente, dai campi ghiacciati della Svezia alla soffocante calura dei tropici, "L'occhio del leopardo" è un viaggio non sentimentale alla scoperta di due culture inconciliabilmente diverse, un romanzo psicologico che scava nella mente di un uomo perduto in un mondo sconosciuto.

Come cominciare questa recensione? Probabilmente il modo migliore e più giusto per farlo è specificare che ho deciso di leggere questo libro credendo che fosse un thriller ma in realtà non lo è. Eh già. Mi ha fregato il fatto che conosco Mankell come spettacolare scrittore scandinavo di trhiller, sarà che spesso non leggo le trame dei libri - male, direte voi, ma in questo caso anche la trama letta successivamente avrebbe potuto trarre in inganno - ma ho letto un libro meravigliandomi di avere tra le mani un libro totalmente diverso da quello che mi aspettassi.


"La cosa più misteriosa è che sono rimasto qui per ben diciotto anni. Ne avevo venticinque quando ho lasciato la Svezia, ora ne ho quarantatré. I miei capelli si sono ingrigiti già da molto tempo, la barba che non trovo mai il tempo di radere è ormai completamente bianca."

L'occhio del Leopardo è in realtà quasi un libro introspettivo, riflessivo; un libro in cui il protagonista, Hans Olofson, si trasferisce dalla Svezia all'Africa - precisamente in Zambia - per inseguire un sogno che in realtà non è il suo. Parte pensando di rientrare subito in patria ma in realtà resta in Africa 18 anni, rimandando sempre il viaggio di ritorno finché la situazione non diventa insostenibile.
Sì, perché in realtà in Africa i bianchi non sono visti propriamente come i salvatori ma, anzi, vengono guardati in modo molto negativo dai nativi che lavorano per loro.
Arrivato in Africa a venticinque anni e senza una meta, Hans si inserisce presto in un gruppo di italiani, che possiedono fattorie e dopo qualche anno dal suo arrivo riesce a rilevare una fattoria con allevamento di galline da una connazionale che dopo anni decide di tornare a casa.
Hans non sa ancora bene come funziona in Africa, ha tanti buoni propositi e pensa di poterli perseguire. È cresciuto senza una madre, che ha abbandonato la famiglia quando lui era ancora un bambino, e con un padre alcolizzato che non ha mai superato quella perdita, quindi non crede di poter andare in contro a qualcosa di peggiore. Invece scoprirà presto che un bianco in Africa deve sempre guardarsi alle spalle, anche dai suoi collaboratori più stretti. Questa consapevolezza diventa un'ossessione nll'ultimo tempo della sua permanenza in Africa. Dopo che alcuni bianchi, suoi amici, sono stati uccisi brutalmente nella loro fattoria, la paranoia prende il sopravvento, e anche a ragione verrebbe da dire.
Sdraiato nel suo letto, delirante dalla febbre portata dal colera, con un fucile sempre pronto a difenderlo dai possibili attacchi dei neri, Hans ci racconta la sua vita, quella attuale alla fattoria ma anche quella passata, in Svezia, facendoci capire quali sono i meccanismi che lo hanno portato lì per così tanto tempo. Un viaggio intrapreso per perseguire il sogno di una donna che nel suo passato è stata molto importante per lui, ma anche per allontanarsi da una vita che non riesce a sentire sua, in cui non si sente a suo agio.
Ho trovato questo romanzo piacevole anche se a tratti un po' lento e ripetitivo. Le elucubrazioni mentali del protagonista rendono perfettamente il delirio della febbre ma mi hanno portato, a volte, a confondermi, a perdere di vista la meta, a non capire dove l'autore volesse arrivare.
Questa storia è soprattutto incentrata sul rapporto tra bianchi e neri e sulla pesante atmosfera che si respirava negli anni '70/'90 in Africa, sulla corruzione che aleggia su chi in Africa in quel periodo voleva avere un'attività ed aveva il colore della pelle sbagliato.
Un libro dove la vita di Hans mi è sembrata solo un pretesto per raccontare al lettore determinati meccanismi tra etnie diverse.
Insomma, un romanzo carino, che si fa legge ma di cui trovo un po' che mi ha lasciato un po'di amaro in bocca soprattutto perché non mi aspettavo un libro così introspettivo e statico, rispetto al Mankell a cui ero abituata.
 



VOTO:







2 commenti:

  1. Risposte
    1. Nella globalità sì, non è un brutto libro. A me ha lasciato un po'di amaro in bocca solo perché ero convinta di leggere un thriller 😅😅

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