mercoledì 3 agosto 2016

Recensione #142 - Le tartarughe tornano sempre di Enzo Gianmaria Napolillo

Ciao a tutti, eccomi di nuovo qui con una recensione. Durante le mie vacanze spero di leggere tantissimo e di accumulare tante recensioni da pubblicare a settembre, quindi ora ne approfitto degli ultimi giorni cittadini per scrivere quelle dei libri che ho già finito, per non avere così anche questi arretrati dopo le vacanze.
Oggi vi parlo del libro Le tartarughe tornano sempre di Enzo Gianmaria Napolillo edito da Feltrinelli, pag. 224

Sinossi: Salvatore è nato quando in pochi conoscevano il nome della sua isola: un luogo di frontiera posto alla fine del mondo, con il mare blu e la terra arsa dal sole. È cresciuto sulle barche, vicino alle cassette di alici, con lo sguardo nell’azzurro, sopra e intorno a lui. Forse è lì che tutto è cominciato, tra ghirigori nell’acqua e soffi nel vento. Di sicuro è lì che ha conosciuto Giulia, anche se lei vive a Milano con i genitori emigrati per inseguire lavoro e successo.
Da sempre Giulia e Salvatore aspettano l’estate per rivedersi: mani che si intrecciano e non vogliono lasciarsi, sussurri e promesse. Poi, d’inverno, tante lettere in una busta rosa per non sentirsi soli. Finché, una mattina, nell’estate in cui tutto cambierà, Giulia e Salvatore scoprono il corpo di un ragazzino che rotola sul bagnasciuga come una marionetta e tanti altri cadaveri nell’acqua, affogati per scappare dalla fame, dalla violenza, dalla guerra.
Gli sbarchi dei migranti cominciano e non smettono più. L’isola muta volto, i turisti se ne vanno, gli abitanti aiutano come possono. Quando Giulia torna a Milano, il filo che la lega a Salvatore si allenta. La vita non è più solo attesa dell’estate e amore sincero, corse in spiaggia e lanterne di carta lanciate nel vento in una notte stellata. La vita è anche uno schiaffo, un risveglio, la presa di coscienza che al mondo esistono dolore e differenze. Una scoperta che travolge i due ragazzi e che darà valore a tutte le loro scelte, alla loro distanza e alla loro vicinanza.
Giulia e Salvatore ora ne sono sicuri. L'isola è di chi rimane e di chi arriva. Non di chi se ne va. Non di chi dimentica.

Non sarà facile parlare di questo libro. Gli elementi da analizzare sono tantissimi ed io spero di riuscire a non tralasciarne nessuno per poter dare un parere il più possibile completo ed onesto.
Un tema difficile quello che l’autore ha deciso di raccontare; anzi, in realtà i temi sono due, che sembrano diversissimi ma che in fondo si somigliano molto più di quello che sembra. Il primo è quello degli emigranti, che scappano da un’isola piccolissima in cui le opportunità scarseggiano, per rincorrere il mito del continente, delle grandi città, quelle che apparentemente promettono una vita migliore e un lavoro sicuro; il secondo è quello degli sbarchi clandestini che, in un’isola già piegata dalla crisi, ne ammazzano anche l’ultima poca economia rimasta, allontanando il turismo e mettendola in ginocchio. In fondo gli emigranti ed i clandestini cercano un po’ la stessa cosa. Per i clandestini l’isola diventa la grande città, quella in cui non ci sono guerre che rischiano in un soffio di sterminare intere famiglie. Il mito da raggiungere è un po’ lo stesso. E come accade che l’emigrante al nord rivede i suoi miti, anche il clandestino lo fa una volta toccata la terra ferma.
In questa atmosfera di partenze, arrivi e ritorni si intrecciano amori, si collegano vite, si tessono speranze. Per qualcuno restare è un obbligo che si deve alla propria vita, per altri l’obbligo è darsi un’opportunità vera scappando il più lontano possibile da quella realtà sempre più stretta.
È in questo contesto che conosciamo Salvatore e Giulia, due ragazzini uniti da un sentimento che mette radici in quella terra assolata ed infinita; radici spezzate da un trasferimento definitivo della ragazza a Milano. Quanti di noi hanno vissuto un amore a distanza? Ricordate quanto possano essere potenti i primi amori? Apparentemente indistruttibili, capaci di superare lontananza, differenze, diffidenze. Una lettera rosa imbucata al nord e ricevuta in uno degli angolini più sperduti del sud. E quelle lettere tengono in vita un sentimento, quelle lettere rendono forti, fanno superare le attese, aiutano durante l’inverno nell’attesa che sia di nuovo estate, e ci si ritrovi più innamorati di prima. Ma gli anni passano, si cresce, ognuno diventa sempre più radicato alle proprie abitudini, si comincia a pensarla diversamente, ci si allontana mentalmente più di quanto non lo si faccia fisicamente.
L’autore di questo parla, di quanto un amore possa essere forte e vincere su tutto, anche a costo di fare soffrire. E parla di tragedie, che ogni giorno sulle spiagge delle nostre isole, si svolgono sotto gli occhi di chi, quelle isole, le vive e le ama.


Nessuno dovrebbe abituarsi alla morte, questo è sicuro; altrettanto sicuro è che nessuno dovrebbe essere costretto a scappare dal proprio mondo mettendo a rischio la propria vita. Questo però capita, tutti i giorni, da tantissimo tempo, senza che nessuno abbia la vera volontà di fare niente per evitarlo o almeno per controllarlo in modo umano e poco invasivo.
Napolillo ha uno tocco che ammalia, che permette al lettore di venire risucchiato dal suo libro, rendendolo avido di macinare pagine. Di sicuro ci sa fare con lo stile, con la caratterizzazione dei personaggi, con l’utilizzo della lingua italiana, con la trasmissione dei sentimenti e questo non è poco.
Quindi, direte voi, questo è un libro magistrale. Io dico che di certo è un libro da leggere. Quanto poi la storia possa toccare o meno, credo che stia alla sensibilità ed anche ai trascorsi di ognuno. L’ho detto e lo ripeto, sono temi importanti, in cui non è facile prendere un posizione e in cui credo sia un attimo arrivare a scavalcare quella sottile linea invisibile che porta a parlarne attraverso cliché.
In questo caso forse ho notato la mano un po’ calcata sul classico pensiero: Milano triste, grigia, lavoratrice e l’isola meravigliosa, aperta, solare. La prima in cui nessuno sembrerebbe voler vivere – e in cui poi tutti arrivano, come se fosse la terra promessa - e la seconda in cui tutto è libertà, allegria, spensieratezza. Da milanese questa cosa mi ha un po’ ferita. Milanese sì, ma con una mamma siciliana la cui famiglia, nella sua infanzia, ha preso quelle valigie di cartone dei film e con tante speranze si è trasferita al nord. I miei nonni che, nonostante tutto, al sud non ci sono mai più voluti tornare, se non per le vacanze estive.
Anche la questione: tu sei del nord, non hai mai visto gli sbarchi quindi non puoi capire mi lascia sinceramente un po’ perplessa. È vero, non ho mai visto un bambino morto su una spiaggia a causa di un naufragio – e sinceramente spero di non vederlo mai – ma non per questo non so cosa sia un centro di accoglienza. Il Vigorelli qui a Milano esiste da quando io ho ricordi, e non sono propriamente una ragazzina; il filo spinato oltre il muraglione che lo circonda sono ricordi indelebili della mia infanzia che difficilmente dimenticherò. Anche qui ci sono persone che volontariamente, senza compenso, e con tanta passione insegnano l’italiano agli immigrati, un’amica lo ha fatto per moltissimo tempo, quindi non sottolineerei per questo l’eroismo dei tre ragazzi del libro. Di certo in terra di sbarchi si ha l’occasione di fare di più, di trovare il modo di dare un mano immediatamente e concretamente ma non vorrei che si credesse che al nord si passa oltre e si va avanti. Tocchiamo ogni giorno il disagio – perché solo di disagio si può parlare – di avere paura di muoversi da sole al calare della sera; la difficoltà di prendere un treno o un mezzo pubblico senza essere fissate da occhi avidi o – ancora peggio – palpate da chi non ha il minimo rispetto e niente da perdere. È a questo che ci riferiamo quando spesso diciamo che non è possibile accogliere tutti, che ci vuole un controllo, che uno stato non può stare lì a guardare ammucchiando persone in luoghi come il Vigorelli o come i centri di accoglienza lager di cui parla l’autore in questo libro. Perchè quando le persone vengono trattate come bestie, poi bestie lo diventono davvero; inutile credere che non sia così e nascondersi dietro l'ipocrisia. 
Ma con questa recensione non devo giudicare pensando all'idea che ho sul tema rispetto a quella che ha l'autore; giudico la poesia con cui affronta questo argomento, giudico dei personaggi che hanno saputo coinvolgermi, sia positiamente che negativamente, giudico la voglia di urlare al mondo il proprio pensiero e lo apprezzo moltissimo.
Un libro che consiglio, che fa riflettere, e che può dare modo di confrontarsi sui propri pensieri e sulle proprie esperienze; che poi è quello che in realtà tutti i buoni libri dovrebbero fare.
Quindi vi dico leggetelo! E poi ditemi cosa ne pensate.

 VOTO: 


4 commenti:

  1. Ero molto curiosa di leggere la tua recensione di questo libro (la mia la trovi su Goodreads)e mi piace tantissimo. Hai espresso opinioni che condivido in pieno, forse perché pur abitando in cintura lavoro a Torino, che per molti versi ha le stesse difficoltà e gli stessi problemi di Milano. Lo stile di Napolillo è molto coinvolgente e la storia mi è piaciuta molto, ma avrei apprezzato ancora di più un'analisi sociale un po' più approfondita.

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    1. Grazie Nadia, avevo paura di risultare un po'troppo insensibile ma questo è il mio pensiero è, come sai, sono sincera a costo di risultare impopolare! ;)

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  2. Buongiorno sister. Lo stile di Napolillo è unico, sensazionale. Come hai detto tu...in questo caso è importante la storia, poi ognuno ha le sue idee, e le tue, come sai, le condivido. Questo libro mi ha fatto riflettere di più di quanto non immaginassi, e nonostante io condivida il pensiero tuo "non si può accogliere tutti" la storia mi ha regalato emozioni forti, perchè quelli che arrivano e rischiano la vita per tutto il tragitto, o non hanno proprio niente da perdere oppure la disperazione è tale da affrontare un viaggio della speranza e della paura. Purtroppo, secondo me, c'è tutto un sistema a monte che non funziona, ma non voglio entrare in argomenti politici, non per lo meno sul tuo blog. Complimenti ancora, bella recensione

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