Buongiorno
lettori, siamo di nuovo qui con la rubrica Letture con Marina. Oggi ci parla di un libro che ci era stato gentilmente inviato dalla casa editrice Mondadori che ringrazio ancora una volta per la disponibilità. Ora vi lascio a lei ma prima vi auguro buon fine settimana.
Buongiorno navigatori dell’etere, oggi voglio dedicare questa breve recensione proprio a chi, oltre ai sentimenti ed ai rapporti interpersonali, leggendo un libro ricerca soprattutto un modo alternativo per viaggiare, conoscere la Storia ed è curioso delle altrui tradizioni e realtà socio-culturali. Nonostante si parli di espatrio, in questo caso non si riesce a pensare al problema dell’esodo che in questi ultimi anni ci ha visti coinvolti in prima linea, visti gli sbarchi sulle nostre coste. Perché…? Scopriamolo insieme!
Titolo:Cuore di Seta: la mia storia italiana made in China
Autore: Shi Yang Shi
Casa editrice: Mondadori
Genere: Narrativa
Pagine: 168
Anno di pubblicazione: 2017
Sinossi: "Per tutto il viaggio me ne restai con la testa appoggiata al sedile. Era la prima volta che volavo, mi facevano male le orecchie, avevo un po' di nausea, e mi spaventavo ogni volta che l'aereo traballava. Nei pochi momenti che ero sveglio sbirciavo verso il finestrino alla mia sinistra e inventavo storie coi personaggi che le forme delle nuvole di volta in volta mi suggerivano. Erano nuvole di "mian hùatàng", 'cotone caramella', lo zucchero filato che spiluccavo, in Cina, fra le bancarelle dei mercatini serali. Era il marzo del 1990 e, a soli undici anni, stavo volando verso Ouzhòu, l'Europa, insieme a Marna, mia madre..." Inizia così l'avventura di Shi Yang Shi in Italia, un mondo sul quale ha spesso fantasticato ma che scoprirà fin da subito molto diverso da come lo aveva immaginato. Dopo un viaggio interminabile, infatti, il piccolo Yang, in Cina studente brillante e figlio unico adorato di genitori benestanti, si ritrova a Milano, senza il padre, costretto a dormire insieme a Marna su giacigli improvvisati nella cucina di una famiglia di conoscenti, alle prese con una lingua di cui non sa nemmeno una parola e circondato da "laowai", stranieri dagli occhi grandi e naso grosso che si assomigliano un po' tutti. Tutto per lui è nuovo e difficile, e dopo solo pochi mesi che sembrano però una vita intera, i suoi sogni di bambino si sono già accartocciati l'uno dopo l'altro di fronte alla realtà. A mano a mano che questo accade, lo strappo che la partenza da Jinàn ha prodotto nel suo giovane cuore di seta avanza, inesorabile e silenzioso. Perché la sua anima è divisa, in bilico, tra la vecchia vita in Cina e la nuova in "Yìdàlì", tra vecchie e nuove abitudini, tra la voglia di rispettare la tradizione e la famiglia e il desiderio di affermare se stesso, realizzando i suoi sogni. Come se dentro di lui germogliasse invisibilmente un seme biforcuto, che non sa se svilupparsi verso l'obbedienza o la ribellione. Nel raccontarci i tentativi fatti per raggiungere un equilibrio faticoso quanto delicato, Yang ci trasporta nel suo mondo multicolore di giovane cinese cresciuto in Italia regalandoci una storia che sa essere amara, ma anche divertente e piena di speranza.
RECENSIONE:
Il nostro protagonista, Shi Yang Shi (Shi = pietra e Yang = sole o anche positivo e maschio), nonché autore del libro, ci racconta la difficile odissea di chi, ancora bambino, lascia la propria Patria per recarsi in un Paese completamente diverso per lingua, cultura e tradizioni. Per inciso – e come sottolinea l’autore stesso, nel caso dell’emigrazione dei cinesi: “mentre gli italiani che agli inizi del Novecento emigravano in America lo facevano in gran parte per disperazione, noi cinesi adesso lo facciamo per lo più per migliorare la nostra condizione sociale”.
Ed infatti Yang emigra a 11 anni dal suo paese, Jwnan, insieme alla madre che è medico. Il padre dovrebbe raggiungerli a breve, soprattutto perché non vuole lasciare sola la madre, ma si intuisce fra le righe che, visto che non devono dire a nessuno che se ne stanno andando, sotto sotto c’à il timore che se partissero tutti e tre, forse non potrebbero lasciare la Cina. Destinazione: Italia, dato che hanno una coppia di “amici”, che Yang imparerà fin da subito a chiamare “zii”, che possono garantire sia ospitalità (seppure in un monolocale), che lavoro nella rosticceria di famiglia (scopriremo solo più tardi che la nonna paterna pagherà fior fiore di quattrini per farli alloggiare in quel squallido monolocale, dove dormiranno in due brandine sistemate in cucina).
Ma perché lasciare una comoda e grande casa in Cina, per andare a vivere in un paese così distante, senza avere la sicurezza di una vita migliore e la solidarietà che solo la rete parentale può dare? In fondo, dai racconti di Yang, la sua non è una vita tanto diversa da quella di un bambino italiano degli anni Novanta, fatte salve le diversità derivanti da tradizioni e culture diverse. Ci racconta infatti che come tutti i suoi coetanei cinesi se ne va in giro in bicicletta, è un appassionato lettore de “Viaggio in Occidente”, che è basato su un romanzo classico cinese del Cinquecento. E de Le avventure di Tintin e Milou…
L’autore stesso si premura di spiegarcelo, quando parla della vita agiata della madre, il cui padre era primario d’ospedale e che purtroppo, come migliaia di cinesi, nel periodo della Rivoluzione Culturale 1966/1976 perde tutto (fortunatamente non la vita, anche se il rischio era sempre dietro l’angolo in quel periodo). Quindi la madre, che in famiglia era soprannominata ”signorina dai mille ori”, teme che il Regime possa fare nuovamente questo tipo di repressione e che quindi il loro vivere agiati possa venire spazzato via. La motivazione del padre invece ha origini più antiche e tradizionali. Hanno un figlio unico (riforma del 1979 di Deng Xiaoping sul figlio unico), che porterà avanti il nome di famiglia. Figlio che eccelle sia nell’arte del disegno che nella matematica. Ma nonostante siano agiati, non hanno i soldi necessari per iscrivere il figlio alla scuola prestigiosa che gli può aprire la strada ad un avvenire luminoso, che lo possa far volare come un Drago possente al di sopra di tutti gli altri. Di qui la decisione di rischiare ed emigrare. Per il bene del figlio. Perché l’etica del sacrificio dei genitori per i figli è insita nella cultura cinese. Sempre Yang farà poi riferimento all’interno del libro alla differenza tra Italia e Cina nella considerazione dello studio e dell’educazione (priorità assolute in Cina), sempre raffrontate nel periodo degli anni Novanta, quando lui arriva nel nostro Bel Paese.
Altra particolarità, che riporta in auge il discorso dei clandestini dei nostri giorni: direttamente in Italia lui e sua madre non possono entrare, perché non hanno il visto. E quindi devono fare tappa a Francoforte in Germania. Fino a lì arrivano con i loro documenti regolari. Poi entrano in Italia in treno come clandestini, insieme ad un “traghettatore”.
In Cina c’è un detto: “quando lasci il tuo villaggio per emigrare, ci ritorni solo con l’abito di seta”. In altre parole: se non ce l’hai fatta, ti conviene restare dove te ne sei andato. Finisci insomma incastrato in un meccanismo. Un po’ come è successo a molti emigrati italiani in Argentina…
Per chi decide di leggere questo lieve romanzo di crescita e di emigrazione, ci sono tante piccole ed interessanti curiosità. Un esempio, il fatto che in Cina sono abituati a bere l’acqua solo dopo averla sterilizzata nel bollitore. E come da insegnamento della loro medicina l’acqua va bevuta tiepida, mai fredda. Ma non rivelerò altro, perché rovinerei il viaggio in cui ci accompagna per mano Shi Yang Shi, che dovrà affrontare anche un’altra battaglia, nella crescita e consapevolezza adulta di sé.
Romanzo piacevole che si legge come bere un bicchiere di acqua, alla maniera cinese: un po’ tiepida…
A presto,
Autore: Shi Yang Shi
Casa editrice: Mondadori
Genere: Narrativa
Pagine: 168
Anno di pubblicazione: 2017
Sinossi: "Per tutto il viaggio me ne restai con la testa appoggiata al sedile. Era la prima volta che volavo, mi facevano male le orecchie, avevo un po' di nausea, e mi spaventavo ogni volta che l'aereo traballava. Nei pochi momenti che ero sveglio sbirciavo verso il finestrino alla mia sinistra e inventavo storie coi personaggi che le forme delle nuvole di volta in volta mi suggerivano. Erano nuvole di "mian hùatàng", 'cotone caramella', lo zucchero filato che spiluccavo, in Cina, fra le bancarelle dei mercatini serali. Era il marzo del 1990 e, a soli undici anni, stavo volando verso Ouzhòu, l'Europa, insieme a Marna, mia madre..." Inizia così l'avventura di Shi Yang Shi in Italia, un mondo sul quale ha spesso fantasticato ma che scoprirà fin da subito molto diverso da come lo aveva immaginato. Dopo un viaggio interminabile, infatti, il piccolo Yang, in Cina studente brillante e figlio unico adorato di genitori benestanti, si ritrova a Milano, senza il padre, costretto a dormire insieme a Marna su giacigli improvvisati nella cucina di una famiglia di conoscenti, alle prese con una lingua di cui non sa nemmeno una parola e circondato da "laowai", stranieri dagli occhi grandi e naso grosso che si assomigliano un po' tutti. Tutto per lui è nuovo e difficile, e dopo solo pochi mesi che sembrano però una vita intera, i suoi sogni di bambino si sono già accartocciati l'uno dopo l'altro di fronte alla realtà. A mano a mano che questo accade, lo strappo che la partenza da Jinàn ha prodotto nel suo giovane cuore di seta avanza, inesorabile e silenzioso. Perché la sua anima è divisa, in bilico, tra la vecchia vita in Cina e la nuova in "Yìdàlì", tra vecchie e nuove abitudini, tra la voglia di rispettare la tradizione e la famiglia e il desiderio di affermare se stesso, realizzando i suoi sogni. Come se dentro di lui germogliasse invisibilmente un seme biforcuto, che non sa se svilupparsi verso l'obbedienza o la ribellione. Nel raccontarci i tentativi fatti per raggiungere un equilibrio faticoso quanto delicato, Yang ci trasporta nel suo mondo multicolore di giovane cinese cresciuto in Italia regalandoci una storia che sa essere amara, ma anche divertente e piena di speranza.
RECENSIONE:
Il nostro protagonista, Shi Yang Shi (Shi = pietra e Yang = sole o anche positivo e maschio), nonché autore del libro, ci racconta la difficile odissea di chi, ancora bambino, lascia la propria Patria per recarsi in un Paese completamente diverso per lingua, cultura e tradizioni. Per inciso – e come sottolinea l’autore stesso, nel caso dell’emigrazione dei cinesi: “mentre gli italiani che agli inizi del Novecento emigravano in America lo facevano in gran parte per disperazione, noi cinesi adesso lo facciamo per lo più per migliorare la nostra condizione sociale”.
Ed infatti Yang emigra a 11 anni dal suo paese, Jwnan, insieme alla madre che è medico. Il padre dovrebbe raggiungerli a breve, soprattutto perché non vuole lasciare sola la madre, ma si intuisce fra le righe che, visto che non devono dire a nessuno che se ne stanno andando, sotto sotto c’à il timore che se partissero tutti e tre, forse non potrebbero lasciare la Cina. Destinazione: Italia, dato che hanno una coppia di “amici”, che Yang imparerà fin da subito a chiamare “zii”, che possono garantire sia ospitalità (seppure in un monolocale), che lavoro nella rosticceria di famiglia (scopriremo solo più tardi che la nonna paterna pagherà fior fiore di quattrini per farli alloggiare in quel squallido monolocale, dove dormiranno in due brandine sistemate in cucina).
Ma perché lasciare una comoda e grande casa in Cina, per andare a vivere in un paese così distante, senza avere la sicurezza di una vita migliore e la solidarietà che solo la rete parentale può dare? In fondo, dai racconti di Yang, la sua non è una vita tanto diversa da quella di un bambino italiano degli anni Novanta, fatte salve le diversità derivanti da tradizioni e culture diverse. Ci racconta infatti che come tutti i suoi coetanei cinesi se ne va in giro in bicicletta, è un appassionato lettore de “Viaggio in Occidente”, che è basato su un romanzo classico cinese del Cinquecento. E de Le avventure di Tintin e Milou…
L’autore stesso si premura di spiegarcelo, quando parla della vita agiata della madre, il cui padre era primario d’ospedale e che purtroppo, come migliaia di cinesi, nel periodo della Rivoluzione Culturale 1966/1976 perde tutto (fortunatamente non la vita, anche se il rischio era sempre dietro l’angolo in quel periodo). Quindi la madre, che in famiglia era soprannominata ”signorina dai mille ori”, teme che il Regime possa fare nuovamente questo tipo di repressione e che quindi il loro vivere agiati possa venire spazzato via. La motivazione del padre invece ha origini più antiche e tradizionali. Hanno un figlio unico (riforma del 1979 di Deng Xiaoping sul figlio unico), che porterà avanti il nome di famiglia. Figlio che eccelle sia nell’arte del disegno che nella matematica. Ma nonostante siano agiati, non hanno i soldi necessari per iscrivere il figlio alla scuola prestigiosa che gli può aprire la strada ad un avvenire luminoso, che lo possa far volare come un Drago possente al di sopra di tutti gli altri. Di qui la decisione di rischiare ed emigrare. Per il bene del figlio. Perché l’etica del sacrificio dei genitori per i figli è insita nella cultura cinese. Sempre Yang farà poi riferimento all’interno del libro alla differenza tra Italia e Cina nella considerazione dello studio e dell’educazione (priorità assolute in Cina), sempre raffrontate nel periodo degli anni Novanta, quando lui arriva nel nostro Bel Paese.
Altra particolarità, che riporta in auge il discorso dei clandestini dei nostri giorni: direttamente in Italia lui e sua madre non possono entrare, perché non hanno il visto. E quindi devono fare tappa a Francoforte in Germania. Fino a lì arrivano con i loro documenti regolari. Poi entrano in Italia in treno come clandestini, insieme ad un “traghettatore”.
In Cina c’è un detto: “quando lasci il tuo villaggio per emigrare, ci ritorni solo con l’abito di seta”. In altre parole: se non ce l’hai fatta, ti conviene restare dove te ne sei andato. Finisci insomma incastrato in un meccanismo. Un po’ come è successo a molti emigrati italiani in Argentina…
Per chi decide di leggere questo lieve romanzo di crescita e di emigrazione, ci sono tante piccole ed interessanti curiosità. Un esempio, il fatto che in Cina sono abituati a bere l’acqua solo dopo averla sterilizzata nel bollitore. E come da insegnamento della loro medicina l’acqua va bevuta tiepida, mai fredda. Ma non rivelerò altro, perché rovinerei il viaggio in cui ci accompagna per mano Shi Yang Shi, che dovrà affrontare anche un’altra battaglia, nella crescita e consapevolezza adulta di sé.
Romanzo piacevole che si legge come bere un bicchiere di acqua, alla maniera cinese: un po’ tiepida…
A presto,
Ciao Marina! Recensione molto interessante di un libro che non conoscevo. La Cina è un Paese enorme, che spesso noi approcciamo per stereotipi: mi piacerebbe molto scoprirne qualcosa di più, leggendo di qualcuno come Shi Yang Shi, che ha avuto modo di vivere sia là sia qui.
RispondiEliminaBuondì Nadia
RispondiEliminaNon è sicuramente un capolavoro della letteratura, ma racconta parecchi aneddoti sulla vita in Cina, abitudini, tradizioni, usanze e credenze. E racconta molto bene l'arrivo da clandestino in Italia e le differenze fra i due Paesi.
Da questo punto di vista vale sicuramente la pena di essere letto.
Ti auguro un felice fine settimana, Ciao, Marina
Mi sembra un libro molto interessante!
RispondiEliminaLea
Ciao Lea,
RispondiEliminaUno spaccato della Cina ... e dell'Italia di qlke decennio fa.
Buon fine settimana!!