giovedì 23 aprile 2020

Letture con Marina #87 - Recensione di Abbiamo sempre vissuto nel castello di Shirley Jackson

Buon venerdì carissimi, come state? Eccoci ad una nuova puntata della rubrica di Marina. Per il momento continuiamo con una volta alla settimana!!!

Fine Aprile è alle porte. E con esso – o poco oltre – inizieremo ad uscire dal porto sicuro di casa… E allora per festeggiare Vi traghetto negli anni Sessanta del secolo scorso, da una famiglia che si è segregata in casa volontariamente, ma per motivi diversi dai nostri. Molto diversi…!



Titolo: Abbiamo sempre vissuto nel castello
Autore: Shirley Jackson
Casa editrice: Adelphi edizioni, 2012
Traduzione: Monica Pareschi
Pagine:182
Trama: A Shirley Jackson, che non ha mai avuto bisogno di alzare la voce"; con questa dedica si apre "L'incendiaria" di Stephen King. È infatti con toni sommessi e deliziosamente sardonici che la diciottenne Mary Katherine ci racconta della grande casa avita dove vive reclusa, in uno stato di idilliaca felicità, con la bellissima sorella Constance e uno zio invalido. Non ci sarebbe nulla di strano nella loro passione per i minuti riti quotidiani, la buona cucina e il giardinaggio, se non fosse che tutti gli altri membri della famiglia Blackwood sono morti avvelenati sei anni prima, seduti a tavola, proprio lì in sala da pranzo. E quando in tanta armonia irrompe l'Estraneo (nella persona del cugino Charles), si snoda sotto i nostri occhi, con piccoli tocchi stregoneschi, una storia sottilmente perturbante che ha le ingannevoli caratteristiche formali di una commedia. Ma il malessere che ci invade via via, disorientandoci, ricorda molto da vicino i "brividi silenziosi e cumulativi" che - per usare le parole di un'ammiratrice, Dorothy Parker abbiamo provato leggendo "La lotteria". Perché anche in queste pagine Shirley Jackson si dimostra somma maestra del Male - un Male tanto più allarmante in quanto non circoscritto ai 'cattivi', ma come sotteso alla vita stessa, e riscattato solo da piccoli miracoli di follia.





RECENSIONE:


Mi chiamo Mary Katherine Blackwood. Ho diciott’anni e abito con mia sorella Constance. Ho sempre pensato che con un pizzico di fortuna potevo nascere lupo mannaro, perché ho il medio e l’anulare della stessa lunghezza, ma mi sono dovuta accontentare… Le mie passioni sono mia sorella Constance, Riccardo Cuor di Leone e l’Amanita Phalloides, il fungo mortale. Gli altri membri della famiglia sono tutti morti”.                                                    
Questo è l’incipit del breve e famoso romanzo di Shirley Jackson, scritto nel 1962, poco prima della sua morte a soli 49 anni, pubblicato da Mondadori nel 1990 con il titolo “Così dolce, così innocente” e poi da Adelphi nel 2009, che ha mantenuto nella traduzione italiana il titolo originale.

E così conosciamo la giovane Mary Katherine Blackwood, detta Merricat, che vive con l’adorata sorella Constance, il vecchio zio Julian e il gatto Jonas nella grande casa avita ai margini di un paese della campagna americana, un luogo non ben identificato in un lasso temporale lasciato ambiguamente al caso, forse significativo del fatto che ancora oggi, a sessant’anni dalla pubblicazione, storie così possono essere reali. Invero, gli unici reclusi sono Constance e lo zio Julian. La prima perché non ben vista dai vicini ed in generale dagli abitanti del paese, da quando sei anni prima è stata arrestata e poi rilasciata per la morte dei suoi familiari (i genitori suoi e di Merricat, il loro fratellino e la moglie di zio Julian). Il vecchio zio Julian perché è in carrozzella e perché, salvo quando ossessivamente parla e scrive della sua supposta biografia, sembra non essere sempre presente, se capite quello che intendo dire.

In realtà Merricat non è proprio isolata come gli altri due superstiti della famiglia, visto che si reca al villaggio due volte la settimana. I “Giorni Terribili” sono tutti i martedì e venerdì, giornate fisse nelle quali si reca in paese a fare la spesa e prendere libri in biblioteca. E se questa è una pura necessità, la visita al locale di Stella per un caffè prima di rientrare a casa, caffè alle volte nemmeno gustato a causa dei beffardi motteggi di cui è vittima, rientra in un gioco di orgoglio, visto che la famiglia Blackwood è una delle più vecchie e altolocate famiglie del paese. O almeno lo era stata, prima della tragedia avvenuta sei anni prima, in cui quattro membri della famiglia erano morti per avvelenamento da arsenico, di cui inizialmente era stata accusata Constance, salvo poi essere scagionata con sentenza definitiva dalla giustizia. Da quel momento Constance, come pure l’autrice, soffrirà di agorafobia, ragion per cui vivrà reclusa nella grande casa di famiglia Blackwood, dove i cambiamenti non sono mai stati benvisti, tanto da poter contare su una solida e rassicurante base di oggetti tramandati di generazione in generazione, soprattutto per linea femminile.

Questa situazione di stallo claustrofobico ma di apparente quieta routine dura da ben sei anni, quando all’improvviso la comparsa del cugino Charles viene a minare tragicamente la serena e ossessiva quanto ordinata e cadenziata vita dei tre sopravvissuti alla strage, mettendo drammaticamente a repentaglio la “sorellanza” ed il destino di queste due sfortunate sorelle.

Il personaggio di Merricat, voce narrante del romanzo e amorevolmente consacrata alla sorella maggiore Connie, è una figura fanciullesca al contempo ingenua e tragica, devota a piccoli gesti di magia che la fanno sentire al sicuro, così come a piccoli seppellimenti di tesori nel vasto giardino della casa. Del resto, quando i genitori sono morti aveva solo dodici anni e da quel momento in poi, la sua crescita si è come cristallizzata. La cattiveria insistente di questo cugino che si fa vivo all’improvviso dopo anni e che sembra scardinare alla base il suo rapporto con la sorella e con l’adorato gatto Jonas, sarà la miccia che porterà ad una tragedia che via via che procede il romanzo, si farà sempre più intensa ed inevitabile. Ed è proprio in questo che risiede parte della grandezza di scrittura di Shirley Jackson: il sottendere, il non rendere esplicita la malvagità insita nelle persone ma far chiaramente capire che una certa parte del male è presente in tutti - e nel rendere semplicemente inesorabile ciò che di volta in volta accade nel romanzo e di conseguenza nella piccola e sonnacchiosa cittadina americana.

Romanzo in un certo senso di ambientazione gotica, ma senza dover per questo fare ricorso a presenze soprannaturali o forzature splatter che renderebbero la storia poco credibile, si ammanta di un’aurea di magica leggerezza che incute nel lettore un brivido continuo di anticipazione.

La fedele descrizione da parte dell’autrice delle attitudini, atteggiamenti e comportamenti di un paese di campagna degli anni Quaranta – Sessanta del secolo scorso infatti, ci introduce in un modo chiuso, dove il sospetto, l’ignoranza e la successiva furia omicida collettiva che prende forza grazie al numero di persone che si spalleggiano contro un obiettivo comune e senza responsabilità personale, sembra ricalcare alcune scene di film e pagine oscure di storia, non solo americana.

Ammirata da autori come Neil Gaiman e Stephen King, che le dedica uno dei suoi famosi romanzi (L’Incendiaria, 1980), dichiarando che la Jackson “non ha mai avuto bisogno di alzare la voce”, così come non ha mai avuto la necessità di far ricorso allo stile splatter o a scene truculente, aggiungiamo noi, per portare il lettore ad istanti di pervasivo malessere ed inquietudine sempre più marcata e terrorizzante, ma frammisti ad un ansito di pietà che non sappiamo mai da dove nasca, ma che alla fine della lettura dà al lettore quella pace che gli consentirà di uscire dal romanzo e non restare imprigionato nella proprietà dei Blackwood, insieme alle due sorelle.

A presto,





4 commenti:

  1. Una bella recensione, complimenti! La Jackson però ho constatato che non fa per me ☺️☺️

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    1. Buongiorno Gresi e grazie!
      Fortuna che ci sono ancora mondi di autori ed autrici da scoprire!!
      Ti dirò... a me piacciono un sacco gli scritti malinconici e questo nel sottofondo, insieme a tante altre cose, aveva questa vena di malinconia sotterranea.
      Buin fine settimana, ciao!

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  2. Io non l'ho ancora letto nonostante ce l'abbia e ne abbia sentito parlare benissimo, perché mi inquieta un sacco. E sì che di base amo autori come Stephen King o Dean Koontz...

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  3. Ciao Nadia,
    come estimatrice dei 2 super nomi che hai fatto, puoi andare tranquilla in questa lettura 😂😂😂
    Buon fine settimana, ciao, Marina

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