venerdì 19 giugno 2020

Letture con Marina #95 - Racensione di Bitna, sotto il cielo di Seul di Jean Marie Gustave Le Clézio

Buongiorno lettori, è di nuovo venerdì quindi torna Marina con una recensione
E dopo aver trovato il 5 stelle la scorsa settimana, meglio cambiare completamente genere e anche ambientazione. Ci sono città o popolazioni a cui non avreste mai pensato di interessarVi? Per quanto mi riguarda, la Corea del Sud e la sua Seul (che ho scoperto si pronuncia tipo “l’anima” inglese), non rientravano tra le mie mete preferite o comunque che mi incuriosiscono. Ed invece, vuoi per le figlie appassionate di k-pop, che pare stia spopolando - vuoi per la sorella che si sta appassionando ai k-drama, sorta di fotoromanzi in motion, vuoi perché questo weekend ho visto il conturbante film sud coreano Parasite, mi sono detta: facciamoci un giro da quelle parti!, visto e considerato anche quello che sta succedendo questa settimana tra la Corea del Nord e la Corea del Sud…
Titolo: Bitna, sotto il cielo di Seul
Autore: Jean Marie Gustave Le Clézio
Casa editrice: La nave di Teseo, 2018
Traduzione: Anna Maria Lorusso
Pagine: 155
Trama: Bitna è una ragazza povera, vive nella campagna coreana ma ama leggere e vuole studiare. Così i genitori decidono di mandarla a Seul, ospite da una zia. La convivenza però si rivela difficile e Bitna comincia a passare sempre più tempo fuori casa, e in particolare in una libreria. Un giorno, il proprietario della libreria le mostra l'annuncio di una anziana signora che cerca qualcuno che vada a trovarla per raccontarle delle storie. Bitna decide di farsi avanti e accetta la proposta di "lavoro": riesce così a lasciare la casa della zia e ad affittare una stanza, per quanto misera, nel sottoscala di un brutto palazzo di periferia; a lei in realtà sembra una reggia. La vecchia signora si fa chiamare Salomé, è immobilizzata e non vuole sentire niente - neanche una parola prima o dopo - che riguardi la realtà: solo favole. Nel frattempo Bitna inizia una strana amicizia con il proprietario della libreria, il signor Pak. I due passano sempre più tempo insieme, escono, parlano, fanno lunghe passeggiate. Ma Bitna si vergogna all'idea di raccontargli la verità sulle sue povere origini e così, anche con lui, inizia a inventare nuove storie. Tra la fantasia delle parole e la realtà che incombe con i suoi bisogni, Bitna, sotto il cielo della grande Seul, cercherà di crescere e di affrontare il mondo.

 



RECENSIONE:


I nomi particolari e per noi occidentali così strani, nomi che sono suoni e che però nella quasi totalità dei casi hanno dei precisi significati, poetici e simbolici al contempo. Bitna è una ragazzina che viene dalla profonda campagna, credo quasi come se fossimo negli anni Cinquanta del secolo scorso in Italia. Povera. Proviene da una famiglia di mercanti di pesce. E quando si descrive, lo fa con un’onestà destabilizzante: “Ho gli occhi chiari. Anche i miei capelli sono chiari… sono nata così, con capelli del colore del mais, perché mia nonna dopo la guerra soffriva di denutrizione, e mia madre anche”.

I genitori di Bitna non sono ricchi, ma hanno voluto per lei l’istruzione migliore del mondo, come cercano di fare tutti i genitori, sperando e cercando di costruire un futuro migliore per i propri figli. La mandano quindi nella capitale, a Seul – perché fortunatamente lì abita la sorella del papà di Bitna. Purtroppo per Bitna la splendente però, la cuginetta, ricca e viziatissima, non è certo disposta ad accogliere in casa la parente povera senza cercare di renderla sua schiava… E insomma, è la solita triste storia di Cenerentola, alla quale però Bitna ha la possibilità di smarcarsi, grazie ad una serie fortuita di coincidenze. Per riuscire a studiare ed allontanarsi da quell’ambiente in cui si mescolano astio, gelosia, pigrizia e vizio, Bitna si ritrova a passare sempre più tempo inuna libreria. Ed il commesso, forse commosso ed affascinato da questo scricciolino, invece di scacciarla in malo modo, dato che Bitna si ferma incantata a leggere i libri, la lascia tranquilla, avvisandola solo della chiusura serale del negozio.

Ad un certo punto, il ragazzo, che Bitna ha chiamato fra sé Signor Pack (tipico cognome coreano, mi dicono), le sottopone la richiesta di una Signora malata che si fa chiamare Salomè e che ha bisogno di qualcuno che le legga libri. Meglio ancora se le racconta storie. Senza convenevoli o intermezzi. Nulla, solo il racconto di storie o favole, oppure la lettura di libri. Nessuna smanceria. In cambio, Salomè è disposta a pagare. E lo scambio avviene quindi con reciproco vantaggio. Da una parte una donna quarantenne che sta morendo e che cerca di vedere con gli occhi dell’innocenza cosa c’è fuori dalla sua stanza prigione; dall’altra parte una ragazzina che con quei soldi vuole rendersi indipendente e lasciare la casa in cui si trasforma in una Cenerentola consenziente.

Qui mi vorrei fermare per due precisazioni. Lo scorso weekend ho visto il film sud coreano Parasite, vincitore del Premio Oscar. Non ne parlerò in questa sede, dico solo che mi ha molto turbata. Non solo per la vicenda in sé, ma anche perché mi ha fatto vedere una faccia di Seul cui non avevo mai pensato. La povertà assoluta di una metropoli che mi immaginavo all’avanguardia su tutto, super-tecnologica – e che in questo film viene fatta vedere in tutta la sua brutalità. Qui con Bitna ho potuto rivedere questa estrema povertà in quartieri che definirei baraccopoli, se non che le abitazioni in questo caso non sono baracche ma case o palazzi in cemento e mattoni. Ma vivere sotto il livello della strada, con le finestrelle che sono proprio a livello del suolo, insieme a scarafaggi, topi, immondizie, persone che passano e che magari pisciano sul muro, vicino alla tua finestra… Con avanzi da mangiare, senza mai un pasto vero e proprio, con materassi semplicemente appoggiati sull’impiantito… Non parlo dei futon giapponesi, sia chiaro: parlo di una realtà completamente diversa.

E poi c’è un’altra particolarità, questa più attinente al libro e non così perniciosa come la precendente. Sebbene ugualmente disturbante, perché foriero di situazioni talvolta semplicemente malinconiche, tal’altra addirittura agghiaccianti. Bitna racconta storie. In generale. A se stessa, a chi incontra, a Salomè, che è una povera quarantenne gravemente malata e la cui vita, a parte il benessere economico di cui ha goduto, sarebbe meglio cancellare. Ma le storie di Bitna non sono fantastiche. Non sono storie. Perché come si può inventare la Storia del Sig. Cho e dei suoi piccioni e della sua mamma che scappa dalla Guerra al Nord, vestita di poveri stracci, correndo in mezzo ai campi, in mezzo alle deflagrazioni, con sulle spalle un bimbo e nella mano una gabbietta con due piccioni viaggiatori? E come si può inventare la storia della giovanissima cantante Nabi, violata e tradita nella sua infanzia da chi avrebbe dovuto essere uno dei guardiani della sua felicità ed innocenza di bambina? E come si può, alfine, inventare la storia di un apprendista assassino? Se non fosse perché è prossima alla morte, anche Salomè si accorgerebbe che tra la fantasia delle parole e la realtà della sua povera vita, incombono i bisogni di Bitna, che è in cerca della libertà materiale, che le permetterà la libertà spirituale e morale.   

Sono tanti gli argomenti che questo scrittore francese, classe 1940, vincitore del Premio Nobel per la Letteratura nel 2008, fa balenare e rimarca continuamente in modo lieve ma persistente, mentre ci conduce in giro per i diversi quartieri e le diverse strade di Seul. E come non accennare, nelle varie storie, in alcuni momenti in modo velato, in alcuni momenti nel modo malinconico tipico dei ricordi, dalla Corea del Nord e del legame con la Corea del Sud: legame geografico, ma soprattutto legame familiare, sempre presente, una sorta di ex Germania europea divisa da un muro invalicabile.

Leggendo questo intenso romanzo, ci si rende ben conto che Le Clézio, non pago della sua carriera, è uno scrittore “di nuove partenze, avventure poetiche ed estasi sensuali, indagatore di un’umanità che va al di là e nel profondo della cultura dominante”.

Non ci resta che incontrare Bitna, perché, come dice un Proverbio coreano: “ci ritroveremo un giorno o l’altro sotto il cielo di Seul”. E per questo seppur breve tratto di strada, abbiamo voluto che Bitna vivesse per noi, per raccontarci della vita fuori… ci siamo serviti di lei e ciò nonostante in quegli istanti di comunione, ci ha protetti. E noi non abbiamo potuto evitare, infine, che gli occhi ci si riempissero di lacrime, perché sapevamo che a breve avremmo dovuto lasciarla.

A presto,





2 commenti:

  1. Marina grazie! Ogni venerdì scovi una perla e mi dai spunti per riflettere e cercare di imparare qualcosa di nuovo! Ho sentito parlare di Le Clezio, ma questa storia non la conoscevo. Vado subito a cercare questo libro! Grazie ancora e buon weekend!

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  2. Buongiorno Nadia!
    Ti ringrazio 😍 È uno dei piaceri di leggere: un libro ti trasporta in un altro, che accenna ad un altro ancora. E io seguo la corrente e mi faccio trasportare...
    Buon fine settimana, ciao!

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