venerdì 26 marzo 2021

Letture con Marina #126 - Recensione di Nel bosco di Thomas Hardy

Buongiorno lettori, è venerdì e, come di consueto, lascio la parola a Marina e alla sua recensione.


Metti il caso, e ti innamori di uno scrittore che senza graffiare mette in evidenza le caratteristiche di un’epoca, che è l’Inghilterra ottocentesca, ancora immersa in una natura sontuosa, dove i boschi sono immense pozze di selvaggi paesaggi e onirica solitudine . E se a questo aggiungi la figura di un’eroina tragica, nemmeno protagonista principale, ma che incarna in sé le potenzialità della tragedia, perché votata al sacrificio più sublime e prezioso, ecco, allora sarai pronto per leggere:


Titolo: Nel bosco
Autore: Thomas Hardy
Casa editrice: Fazi Editore, 2015
Pagine: 510
Traduzione: Stefano Tummolini

Trama: "Nel bosco" ("The Woodlanders", 1887) è forse il più struggente tra i romanzi di Hardy per intensità espressiva e sentimentale. Racconta della storia d'amore fra un ragazzo di paese, Giles Winterborne, e la giovane Grace Melbury, figlia di un commerciante di legname, la quale però, tornata al villaggio provvista di un'istruzione, preferisce sposare un medico. Hardy contrappone con maestria due modelli di vita: l'esistenza semplice e dignitosa dei boscaioli e dei contadini e quella raffinata e artificiosa dei personaggi di alto lignaggio. Il contrasto è inevitabile e profondo, e la giovane Grace, la protagonista, è il punto di luce e di improvviso ardore tra gli uni e gli altri, tra la felicità e la disperazione. L'opera non si risolve comunque in una parabola morale intorno ai limiti delle nostre scelte. Possiede il fascino della maggiore letteratura dell'Ottocento: la grazia di uno stile acuto e piacevole, la forza di un'eccezionale tensione narrativa. Le passioni, gli amori dei protagonisti avvengono nel respiro segreto degli alberi e degli animali del bosco, osservatori muti di una felicità che sfugge agli uomini e alle donne del romanzo. La natura in Hardy, più che essere protagonista, appare legata alla vita dell'uomo, una sola cosa con lui, non in senso estetico ma vitale, e con essa la vita riacquista la propria autenticità.
 
RECENSIONE:   


Il cuore pulsante di questo romanzo, come un paio di altri di Hardy, affronta il tema dei conflitti all’interno del matrimonio. L’ambientazione scelta non a caso da Hardy è un Inghilterra ancora rurale, dove però i primi palpiti per il desiderio di una vita migliore dal punto di vista sociale si fanno sentire con imperiosità. E questo connubio di natura, di piccoli villaggi, di contadini e di personaggi di alto lignaggio consente all’autore di mettere in evidenza meraviglie e miserie del genere umano, prendendo a pretesto una società chiusa, quale è il matrimonio.

Lui, lei e l’altro. Lui è un giovane boscaiolo, che per vari motivi si è elevato leggermente al di sopra rispetto alla media dei suoi vicini ed amici contadini. Lei è la figlia dell’amico di suo padre, che è ancora un gradino più in alto nella gerarchia del villaggio. Il cosiddetto uomo che si è fatto da sé: non acculturato, ma intelligente tanto da portare benessere in seno alla propria famiglia. Grace e Giles sono cresciuti insieme, immersi nella natura del loro piccolo e desolato villaggio nell’Ovest dell’Inghilterra. Ma quanto a questo, come disse lo stesso Hardy nel 1912, avrebbe potuto benissimo essere qualsiasi altro luogo del Regno Unito. E poi la sete di emergere e di far risaltare la figlia, soprattutto di creare i presupposti affinchè la figlia abbia una vita migliore fa sì che il padre spedisca Grace in una cittadina a studiare e di conseguenza a frequentare gente altolocata, spendendo una piccola fortuna perché questa giovane donna si tolga di dosso la patina di “rozzezza”, tipica della gente contadina. I due giovani sono promessi, ma quando Grace torna, il divario tra lei ed il timido, onorevole e retto Giles sembra incolmabile. A questo si aggiunga che Giles proprio in quel frangente ha un tracollo finanziario, involontario rispetto alle sue capacità, ed ecco che la volontà del padre di Grace di vederli uniti in un saldo matrimonio vacilla. Durante l’assenza di Grace dal villaggio, un giovane dottore appartenente ad un’antica famiglia arriva nel loro paesotto ad esercitare la professione, o per meglio dire, a farsi mantenere dalla famiglia stando nell’ozio nella finzione di studi filosofici, esoterici e medici. L’incontro tra lui e Grace risulterà fatale: per lui la noia di un simile posto dimenticato da Dio e la diversità di questa leggiadra fanciulla che sembra appartenere alla sua schiatta e che risalta quindi grandemente in siffatto contesto. Per lei, l’emozione di una persona appartenente al bel mondo che per un anno ha potuto frequentare e qualche altra emozione che il timido Giles non ha mai avuto il coraggio di sollecitare, sentendosi oramai socialmente inferiore alla sua vecchia amica d’infanzia.

Non racconterò delle titubanze di lei, della rinuncia di Giles, soprattutto quando perde il poco che ha – e dallo stile di vita del dottore, completamente diverso dal loro. E per stile di vita intendo soprattutto quella profonda sensibilità e di conseguenza cristallina onestà che solo la vicinanza con la natura ed il sano lavoro sembrano far sviluppare.

Che ricchezza di eloquio nel descrivere il bosco che circonda il villaggio. Una natura che fa da sfondo costante ma che è anche e soprattutto protagonista, onnipresente, rigogliosa. E che assiste indifferente e ieratica alle vicende umane, restando sempre fedele a se stessa. Le vicende umane possono farsi ingarbugliate, perverse persino, come quando il dottore ripudia Grace per una più vissuta e spregiudicata Lady Charmond, che sembra offrirgli ciò che Grace, vuoi per il suo vissuto contadino, vuoi per l’inesperienza e per l’innocente rettitudine non può dare al marito.

Ed è proprio quando pare che Grace possa riconquistare la propria libertà dopo tanta sofferenza coniugale, che la vita di questi due giovani, Grace E Giles, sembra poter nuovamente farsi una cosa sola. Ma ancora una volta, la rettitudine del giovane boscaiolo e l’inesperienza di questa giovane sposa vilipesa ed abbandonata, farà prendere alla vicenda il classico e tragico destino degli amanti che non potranno mai unirsi.

La bonaria ingerenza di un padre amorevole ma figlio del proprio tempo e in bilico fra saldi valori contadini e superficiale nobiltà, la vita isolata in una campagna ancora incontaminata, la gerarchia sociale che erroneamente conta più del valore della singola persona e la questione della ricerca della felicità come bene incommensurabile, anche a scapito di uno dei contratti più vincolanti al mondo… E Hardy sembra qui fare proprio il dovere degli storici, di “non interferire con le opinioni personali nelle vicende”, restando narratore impassibile anche di fronte alle tragedie più commoventi.

A lungo mi sono dibattuta fra le due figure femminili che sembravano le protagoniste: da una parte Grace, rivestita a nuovo dalla patina della cultura, dall’altra Marty South, poverissima, pura, leale, solitaria, ignorante ma con il buon senso che solo una vita di stenti, sacrifici, duro lavoro e onestà possono elevare più ancora della supposta cultura. Una vita la sua, dedicata ad un amore infelice e che, pur nella tragedia e nel suo mettersi modestamente da parte, le permette alfine di “apparire a tratti perfino sublime, come se fosse stata una creatura indifferente agli attributi del sesso, dotata in cambio della qualità più nobile dell’umanità”.

“E se un giorno mi dimentico il tuo nome, fammi dimenticare la mia casa e il cielo…” Potrà mai esserci una dichiarazione d’amore più bella?

A presto




 

1 commento:

  1. Non so perché ma questo tipo di storie mi intriga sempre un sacco! Il tema "persone semplici che si trovano ad affrontare situazioni difficili" mi appassiona tantissimo!

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