giovedì 11 novembre 2021

Recensione #415 - Dio di illusioni di Donna Tart

Buongiorno lettori, come state? Eccomi di nuovo con una recensione. Oggi vi parlo di Dio di illusioni di Donna Tart edito da Bur, pag. 622.



Trama:
Un piccolo raffinato college nel Vermont. Cinque ragazzi ricchi e viziati e il loro insegnante di greco antico, un esteta che esercita sugli allievi una forte seduzione spirituale. A loro si aggiunge un giovane piccolo borghese squattrinato. In pigri weekend consumati tra gli stordimenti di alcol, droga e sottili giochi d'amore, torna a galla il ricordo di un crimine di inaudita violenza. Per nascondere il quale è ora necessario commetterne un altro ancora più spietato... 









Ho cominciato questo libro grazie ad un gruppo di lettura improvvisato all'interno della sfida di lettura che organizzo insieme a Desperate Bookswife e Ombre di carta. Non avevo mai letto nulla della Tart e non conoscevo questo libro ma, volendo leggere Il cardellino da sempre, mi sono buttata e ne sono super felice. Ma ora vi spiego meglio come è andata...


"[...] volevo cullarmi nell'illusione che fossero del tutto sinceri nei miei confronti, che eravamo amici, senza segreti. Invece di molti fatti non mi tenevano al corrente, e ciò per parecchio tempo; dal canto mio, cercavo di non badarci, ma ne ero conscio ugualmente. "
Questo è uno di quei libri che o si amano o si odiano perché devono graffiarti dentro per arrivarne a capire il senso.
Un libro dalle atmosfere cupe, in cui nulla è come sembra, in cui gli eccessi sono all'ordine del giorno, in cui gli equilibri tra i personaggi sono talmente labili da risultare oscuri al lettore fino a quando non sarà l'autrice stessa a decidere di svelarglieli.
La storia si svolge all'interno di un college nel Vermont ed i protagonisti sono cinque giovani ricchi e parecchio viziati, che si discostano totalmente dalla massa iscrivendosi al corso di greco e facendo diventare quel corso, il suo professore, ed i suoi partecipanti, una sorta di club privato da cui il resto della scuola si discosta e che tutti guardano con sospetto.
A narrarci la storia è Richard, l'ultimo arrivato, il sesto, quello senza un soldo che si ritrova nel Vermont solo per allontanarsi il più possibile da una famiglia difficile, quello che per andare avanti negli studi deve trovarsi dei lavori o deve riuscire ad ottenere dei sussidi. Richard è quello che inizialmente sembra inserirsi in modo difficoltoso all'interno del gruppo ma quello attorno a cui tutto, alla fine, ruoterà perché sarà l'anello di congiunzione tra i vari personaggi nell'evolversi della storia.
L'io narrante ci parla dal futuro, in un tempo in cui tutti i giochi sono fatti, gli avvenimenti sono lontani nel tempo ma attraverso la sua narrazione si capisce che qualcosa di terribile è avvenuto, qualcosa di cui Richard porta ancora addosso i segni.
Una storia che parla di disagio, di omicidi realizzati in nome della ricerca di una felicità mentale e corporale sulle orme di quelle degli antichi greci, una storia che parla di una vita fatta di eccessi, di segreti, di limiti e di un'amicizia malsana, totalitaria, incapace di donarsi realmente, in bilico su un filo invisibile fatto bugie, voltafaccia, incomprensioni, ricatti.
Quello che ha fatto riflettere durante il gruppo di lettura è che nessun personaggio spicca per empatia, nessuno durante la lettura è talmente carismatico da ottenere le preferenze del lettore ma, nonostante questo, tutti, dal primo all'ultimo sono personaggi che graffiano dentro, che colpiscono - anche in modo negativo - tanto da insinuarsi nella mente della maggior parte dei lettori.
Già, questo è uno di quei libri dove ogni personaggio è pieno di difetti, nessuno viene amato dal lettore eppure - e forse proprio per questo - nella maggior parte dei casi il lettore non può fare a meno di continuare a leggere e di portarsi dentro le storie di quei personaggi per molto tempo.
La Tart ha uno stile che definirei sublime, capace di descrivere le scene in modo talmente nitido da dare al lettore una visione molto chiara di quello che ci sta narrando. Le descrizioni sono tante e molto dettagliate, un dettaglio non irrilevante per chi, come me, le ama molto; sicuramente anche un difetto per chi invece le descrizioni non le digerisce molto. L'atmosfera che si percepisce è adatta alla storia raccontata, il lettore resta con il fiato sospeso fino a quando tutti i giochi vengono svelati e il fatto di fare narrare a Richard la storia credo sia la ciliegina sulla torta, perché porta la narrazione ad un livello più coinvolgente e meno asettico.
Questa lettura mi ha ricordato moltissimo - soprattutto nelle atmosfere e nella sofferenza di base che accompagna i suoi protagonisti - Una vita come tante, di Hanya Yanagihara - recensione qui. Due storie diverse ma che hanno un filo conduttore comune nel disagio umano, sia fisico che mentale.
Una sola cosa in entrambi i libri ho un po' sofferto: i capitoli interminabili che, per una come me che legge nei ritagli di tempo, mi lasciano nella difficoltà di trovare un punto adatto per fermarmi nella lettura.
Leggerò Il cardellino dopo questa esperienza? Molto probabilmente sì anche se non immediatamente. Magari il prossimo anno.



 


VOTO:







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