Buongiorno lettori e buon lunedì. Come promesso venerdì - post qui - oggi Marina ci lascia il resoconto dell'incontro con Jeffery Deaver cui Marina ha assistito in occasione di PordenoneLegge.
Deaver, invitato a presentare il suo nuovo romanzo risponde: i miei libri hanno sempre una “formula”. Alcuni autori restano scandalizzati da questo, perché ritengono che un libro non debba avere alcun tipo di formula. Io invece mi pongo la domanda al contrario: e perché no? Sicuramente altri tipi di manufatti d’arte una formula ce l’hanno, pensiamo ad esempio al campo dell’alta moda, o alle automobili di lusso. Quindi io penso che un libro possa – e anzi debba – essere preparato con la stessa cura nei dettagli ed in anticipo. La mia “formula” prevede un arco temporale molto breve, due o tre giorni per lo svolgimento della vicenda, con un argomento specifico intorno al quale si muovono dei personaggi. Alcuni anni fa ho scritto un libro: Carta Bianca, un romanzo della saga di James Bond – Jan Fleming aveva scritto negli anni ’50 un romanzo incentrato sui diamanti, che lessi molti anni fa. Mi resi così conto di non aver mai scritto nulla che avesse a che fare con pietre preziose e diamanti. Eppure i diamanti nella storia hanno sempre avuto un ruolo interessante. Ad un certo punto addirittura un ruolo religioso. Era considerato addirittura un peccato tagliare un diamante, che veniva ritenuto il cuore di Dio. Quando poi gli esseri umani si resero conto che dai diamanti avrebbero potuto guadagnare molti soldi, improvvisamente il tagliare i diamanti non venne più considerato un peccato. In qualche modo quindi i diamanti hanno rappresentato uno strumento perfetto per raccontare la storia che avevo in mente, proprio per le varie sfaccettature che i diamanti hanno e quindi sfaccettature che la mia storia poteva avere.
Da un lato il diamante come simbolo d’amore, sigillo di un forte legame – dall’altro pietra che ha a che fare con il crimine e/o con forti potentati geo-politici internazionali. E per finire i diamanti usati anche dal crimine organizzato, almeno in un certo periodo storico, come “scambio” per il riciclaggio di denaro sporco, essendo non tracciabili. Dal punto di vista narrativo tutto questo mi ha consentito uno spunto molto interessante.
Il giornale di Brescia: Lei ha una qualità particolare nello scrivere. Racconta di storie molto violente però non eccede mai nel raccontare la violenza. E’ una misura che Lei si impone, una sorta di deontologia professionale?
Deaver: Grazie per aver fatto questa osservazione, perché per me è molto importante. Da lettore e da appassionato di cinema, mi è capitato spesso di trovarmi di fronte a scene di violenza esplicita che non solo ho trovato ributtanti dal punto di vista personale, ma soprattutto ho trovato che fossero l’esempio classico di come un autore o un regista ad un certo punto, non sapendo più bene cosa fare, sceglie la via più semplice e cioè di rappresentare la scena di violenza magari per più pagine o più riprese – quindi di banalizzare quello che è il senso di una storia. Che è esattamente l’opposto di quello che io inseguo con quanto cerco di fare. Di qui la mia ispirazione al maestro del genere – Alfred Hitchcock – che raccontava la violenza senza peraltro mai rappresentarla visivamente, ma piuttosto utilizzando come espediente la suspense, che era proprio il suo punto forte.
Marina per Un libro per amico: quanto è importante nei suoi libri l’argomento immigrazione? Abbiamo notato che nella serie di Rhyme-Sachs, anche nell’avventura dello scorso anno ambientata a Napoli, ambiente ed immigrazione erano punti forti del romanzo.
Deaver: quando si scrive un thriller, ovunque lo si ambienti, l’autore è spinto a raccontare una storia più ampia di quello che è l’argomento cardine che il thriller propone, che è il crimine. Quando scrivo un romanzo ho tre punti fermi: ovviamente il crimine, perché è ciò che noi autori di questo genere scriviamo. Generalmente raccontiamo una storia in cui si narra di un delitto, ma soprattutto si cerca di raccontare come evitare che avvenga qualcosa di peggiore rispetto al delitto commesso. Il secondo punto importante è quello ce io chiamo gli elementi da “soap-opera”, cioè le relazioni interpersonali, non solo storie d’amore, ma relazioni di più ampio respiro, come ad esempio il rapporto genitori-figli. Infine l’elemento geo-politico. Quando ho scritto il precedente romanzo di questa serie, ambientato appunto in Italia, mi sono concentrato sulla problematica dell’immigrazione. Una problematica che negli Stati Uniti inizia a farsi sentire, anche se non riveste l’importanza che ha in Italia ed in Europa, ma viene comunque utilizzata come strumento di discussione politica. Ci sono vari uomini politici – non farò nomi ma è chiaro che sto parlando del Presidente degli Usa – che stanno investendo il problema di un peso decisamente superiore a quello che in realtà il problema ha e questo mi fa riflettere sul problema dell’immigrazione in maniera forte e soprattutto mi porta a pensare che l’immigrazione vada vista da entrambi i lati. E principalmente mi fa riflettere sul fatto che noi, Paese democratico, non dovremmo sfruttare l’immigrazione per mettere in atto politiche che con la democrazia hanno poco a che fare.
Ansa: Lei è un appassionato di cinema, dai suoi libri sono stati tratti film di grande successo. Quanto conta nel suo modo di scrivere questa visione cinematografica, questo rapporto con il cinema. Da questo libro che sta avendo molto successo, sono stati chiesti i diritti cinematografici?
Deaver: Grazie per la domanda che ha fatto, sottolineando al contempo che i miei libri hanno anche questa veste cinematografica. I film mi hanno sempre emozionato. Questo perché chi crea un film deve sottostare a degli schemi molto precisi, che in qualche maniera si avvicinano ai miei, quando scrivo un libro. Tanto percominciare, il film ha un limite spazio-temporale ristretto. Deve creare emozioni forti e lo fa attraverso tecniche molto sottili. Per esempio ritmo veloce e dialoghi serrati sono stati influenzati molto dalla cinematografia. Ci sono ovviamente pensieri che i protagonisti esprimono senza che vengano detti. C’è soprattutto una tecnica di taglio delle scene con passaggio a scene successive e ritorno a scene precedenti che è fortemente cinematografico. I miei libri non si possono definire brevi, ma sono essenziali. Non a caso la mia prima versione di solito è di 200 pagine più lunga rispetto alla versione finale che viene data alle stampe, perché io effettuo dei tagli come se fossi un montatore di un film. Per venire alla sua seconda domanda: purtroppo da una ventina d’anni è in atto una controversia legale che riguarda “Il collezionista di ossa”, che non ha a che fare con me, ma con aspetti finanziari legati alla distribuzione. Però questo fatto ha impedito la realizzazione cinematografica di un sequel de Il collezionista di ossa. Devo dire che ultimamente mi sto interessando ala televisione, che consente tipi di progetti molto più interessanti di quanto il cinema permette. Penso a Netflix, Sky – e da Voi la stessa Rai. Trovo interessante che si possa prendere una storia, che il cinema sarebbe costretto a confinare in uno spazio di un paio di ore e magari trasformarla in una serie di una decina di ore – con addirittura varie stagioni. Penso proprio alla serie di Rhyme-Sachs, che si sposerebbe meglio con questo tipo di filosofia di trasmissione. Ultimamente ho lavorato ad una sceneggiatura originale su una questione annosa e molto sentita negli States – cioè il fatto che spesso i poliziotti bianchi sparino su soggetti disarmati in larga parte appartenenti a minoranze etniche. La serie si intitolerà “Uno Cinque”, che è il nome indicante un distretto di polizia americano.
Domanda: Un giallista deve leggere anche narrativa di altro tipo? - e Lei personalmente cosa legge?
Deaver: normalmente uno scrittore è sempre prima un lettore. Io da ragazzino ero un nerd, parola oramai conosciuta in tutto il mondo. Ero un po’ uno sfigato. Mi piace molto leggere ma purtroppo scrivendo molto, almeno 10 ore al giorno, difficilmente la sera riesco a leggere. Ho lavorato anche come giornalista in passato e per il lavoro di scrittura che faccio devo svolgere ricerche importanti quindi la maggior parte di libri che leggo sono libri non di narrativa. Resto comunque un appassionato del genere di cui tra l’altro scrivo. Mi piacciono i libri di Camilleri, Carofiglio, Lucarelli, Giuntari. Ian Rankin, Robinson. Mi vengono in mente gli statunitensi Michael Connelly e Lee Child. Comunque anch’io sul comodino ho una bella pila di libri…
Ultima domanda – Marina per Un libro per amico: che rapporti ha con il nostro Paese, visto che nei suoi libri cita spesso artisti italiani. Inoltre il libro dello scorso anno era ambientato in Italia e nei ringraziamenti cita Giorgio Faletti e la proprietaria di una libreria di Milano, scomparsa qualche anno fa…
Deaver: sono tanti anni che io vengo in Italia, grazie al mio editore Rizzoli. Ho iniziato con i primi libri vendendo in Italia discretamente bene ma niente di eccezionale. Però nel tempo le mie vendite in Italia sono cresciute. Ovviamente per me è un lavoro, un mestiere, ma non è per quello che io vengo. C’è anche altro. So per certo che i lettori italiani mi apprezzano anche perché vengono numerosi ai miei incontri. In senso più generale io amo molto la cultura italiana che si tratti di auto, moda o cibo. Mi piace cucinare e spesso cucino piatti italiani. E siccome hai citato Giorgio Faletti: prima che lui mancasse avevamo intenzione di scrivere un libro di ricette insieme. E la cosa buffa è che lui avrebbe scritto le ricette americane ed io quelle italiane. Quella sì sarebbe stata una conferenza stampa a cui mi sarebbe piaciuto che Voi partecipaste. E’ anche comunque grazie ai Festival che organizzate qui in Italia, tipo questo a Pordenone, che io sono qui. Sono eventi straordinari ed è molto incoraggiante per un autore vedere tanta gente che si presenta ad un Festival Letterario. Grazie.
Il giornale di Brescia: Lei ha una qualità particolare nello scrivere. Racconta di storie molto violente però non eccede mai nel raccontare la violenza. E’ una misura che Lei si impone, una sorta di deontologia professionale?
Deaver: Grazie per aver fatto questa osservazione, perché per me è molto importante. Da lettore e da appassionato di cinema, mi è capitato spesso di trovarmi di fronte a scene di violenza esplicita che non solo ho trovato ributtanti dal punto di vista personale, ma soprattutto ho trovato che fossero l’esempio classico di come un autore o un regista ad un certo punto, non sapendo più bene cosa fare, sceglie la via più semplice e cioè di rappresentare la scena di violenza magari per più pagine o più riprese – quindi di banalizzare quello che è il senso di una storia. Che è esattamente l’opposto di quello che io inseguo con quanto cerco di fare. Di qui la mia ispirazione al maestro del genere – Alfred Hitchcock – che raccontava la violenza senza peraltro mai rappresentarla visivamente, ma piuttosto utilizzando come espediente la suspense, che era proprio il suo punto forte.
Deaver: quando si scrive un thriller, ovunque lo si ambienti, l’autore è spinto a raccontare una storia più ampia di quello che è l’argomento cardine che il thriller propone, che è il crimine. Quando scrivo un romanzo ho tre punti fermi: ovviamente il crimine, perché è ciò che noi autori di questo genere scriviamo. Generalmente raccontiamo una storia in cui si narra di un delitto, ma soprattutto si cerca di raccontare come evitare che avvenga qualcosa di peggiore rispetto al delitto commesso. Il secondo punto importante è quello ce io chiamo gli elementi da “soap-opera”, cioè le relazioni interpersonali, non solo storie d’amore, ma relazioni di più ampio respiro, come ad esempio il rapporto genitori-figli. Infine l’elemento geo-politico. Quando ho scritto il precedente romanzo di questa serie, ambientato appunto in Italia, mi sono concentrato sulla problematica dell’immigrazione. Una problematica che negli Stati Uniti inizia a farsi sentire, anche se non riveste l’importanza che ha in Italia ed in Europa, ma viene comunque utilizzata come strumento di discussione politica. Ci sono vari uomini politici – non farò nomi ma è chiaro che sto parlando del Presidente degli Usa – che stanno investendo il problema di un peso decisamente superiore a quello che in realtà il problema ha e questo mi fa riflettere sul problema dell’immigrazione in maniera forte e soprattutto mi porta a pensare che l’immigrazione vada vista da entrambi i lati. E principalmente mi fa riflettere sul fatto che noi, Paese democratico, non dovremmo sfruttare l’immigrazione per mettere in atto politiche che con la democrazia hanno poco a che fare.
Ansa: Lei è un appassionato di cinema, dai suoi libri sono stati tratti film di grande successo. Quanto conta nel suo modo di scrivere questa visione cinematografica, questo rapporto con il cinema. Da questo libro che sta avendo molto successo, sono stati chiesti i diritti cinematografici?
Deaver: Grazie per la domanda che ha fatto, sottolineando al contempo che i miei libri hanno anche questa veste cinematografica. I film mi hanno sempre emozionato. Questo perché chi crea un film deve sottostare a degli schemi molto precisi, che in qualche maniera si avvicinano ai miei, quando scrivo un libro. Tanto percominciare, il film ha un limite spazio-temporale ristretto. Deve creare emozioni forti e lo fa attraverso tecniche molto sottili. Per esempio ritmo veloce e dialoghi serrati sono stati influenzati molto dalla cinematografia. Ci sono ovviamente pensieri che i protagonisti esprimono senza che vengano detti. C’è soprattutto una tecnica di taglio delle scene con passaggio a scene successive e ritorno a scene precedenti che è fortemente cinematografico. I miei libri non si possono definire brevi, ma sono essenziali. Non a caso la mia prima versione di solito è di 200 pagine più lunga rispetto alla versione finale che viene data alle stampe, perché io effettuo dei tagli come se fossi un montatore di un film. Per venire alla sua seconda domanda: purtroppo da una ventina d’anni è in atto una controversia legale che riguarda “Il collezionista di ossa”, che non ha a che fare con me, ma con aspetti finanziari legati alla distribuzione. Però questo fatto ha impedito la realizzazione cinematografica di un sequel de Il collezionista di ossa. Devo dire che ultimamente mi sto interessando ala televisione, che consente tipi di progetti molto più interessanti di quanto il cinema permette. Penso a Netflix, Sky – e da Voi la stessa Rai. Trovo interessante che si possa prendere una storia, che il cinema sarebbe costretto a confinare in uno spazio di un paio di ore e magari trasformarla in una serie di una decina di ore – con addirittura varie stagioni. Penso proprio alla serie di Rhyme-Sachs, che si sposerebbe meglio con questo tipo di filosofia di trasmissione. Ultimamente ho lavorato ad una sceneggiatura originale su una questione annosa e molto sentita negli States – cioè il fatto che spesso i poliziotti bianchi sparino su soggetti disarmati in larga parte appartenenti a minoranze etniche. La serie si intitolerà “Uno Cinque”, che è il nome indicante un distretto di polizia americano.
Domanda: Un giallista deve leggere anche narrativa di altro tipo? - e Lei personalmente cosa legge?
Deaver: normalmente uno scrittore è sempre prima un lettore. Io da ragazzino ero un nerd, parola oramai conosciuta in tutto il mondo. Ero un po’ uno sfigato. Mi piace molto leggere ma purtroppo scrivendo molto, almeno 10 ore al giorno, difficilmente la sera riesco a leggere. Ho lavorato anche come giornalista in passato e per il lavoro di scrittura che faccio devo svolgere ricerche importanti quindi la maggior parte di libri che leggo sono libri non di narrativa. Resto comunque un appassionato del genere di cui tra l’altro scrivo. Mi piacciono i libri di Camilleri, Carofiglio, Lucarelli, Giuntari. Ian Rankin, Robinson. Mi vengono in mente gli statunitensi Michael Connelly e Lee Child. Comunque anch’io sul comodino ho una bella pila di libri…
Ultima domanda – Marina per Un libro per amico: che rapporti ha con il nostro Paese, visto che nei suoi libri cita spesso artisti italiani. Inoltre il libro dello scorso anno era ambientato in Italia e nei ringraziamenti cita Giorgio Faletti e la proprietaria di una libreria di Milano, scomparsa qualche anno fa…
Deaver: sono tanti anni che io vengo in Italia, grazie al mio editore Rizzoli. Ho iniziato con i primi libri vendendo in Italia discretamente bene ma niente di eccezionale. Però nel tempo le mie vendite in Italia sono cresciute. Ovviamente per me è un lavoro, un mestiere, ma non è per quello che io vengo. C’è anche altro. So per certo che i lettori italiani mi apprezzano anche perché vengono numerosi ai miei incontri. In senso più generale io amo molto la cultura italiana che si tratti di auto, moda o cibo. Mi piace cucinare e spesso cucino piatti italiani. E siccome hai citato Giorgio Faletti: prima che lui mancasse avevamo intenzione di scrivere un libro di ricette insieme. E la cosa buffa è che lui avrebbe scritto le ricette americane ed io quelle italiane. Quella sì sarebbe stata una conferenza stampa a cui mi sarebbe piaciuto che Voi partecipaste. E’ anche comunque grazie ai Festival che organizzate qui in Italia, tipo questo a Pordenone, che io sono qui. Sono eventi straordinari ed è molto incoraggiante per un autore vedere tanta gente che si presenta ad un Festival Letterario. Grazie.
Brava Marina! Dev'essere una grande emozione poter rivolgere alcune domande a un autore che si ama! Una bella esperienza :-)
RispondiEliminaCiao Nadia,
RispondiEliminaSì tanta emozione, anche perché sei nella Sala con i giornalisti 😊
E poi poter rivolgere domande ad un autore, per capire meglio i suoi romanzi, o le dinamiche stesse che hanno portato alla creazione di una stOria. Stupendo!
Buon inizio settimana, ciao 🤗 Marina
Ciao :) complimenti per l'intervista :) non ho mai letto nulla di questo autore, non saprei neanche da dove iniziare, ma sicuramente prima o poi arriverà l'occasione :)
RispondiEliminaCiao Gaia
RispondiEliminaE grazie mille. Il bello è stato partecipate all'incontro. E riportare x iscritto l'intervista mi ha dato modo di focalizzare le risposte dell'autore con i suoi libri.
Oh non hai che l'imbarazzo della scelta con Deaver. Romanzi oppure Short stories. Un fan della suspense, come si è definito lui stesso.
Ciao e buona serata, Marina