venerdì 13 novembre 2020

Letture con Marina #109 - Recensione di Morte di una sirena di Rydahl & Kazinski

Buon pomeriggio lettori, un altro venerdì è giunto e insieme a lui, lo sapete ormai, arriva Marina con una nuova recensione.



Mi chiedevo: cosa attira di più i lettori in questi ultimi anni? Mistero, crime, polizieschi, personaggi in odor di letteratura... E qui troviamo tutto quello che può creare curiosità ed istigare alla lettura. E noi chi siamo? Lettori! E ci tireremo indietro? Giammai!!!

 
Titolo: Morte di una sirena
Autore: Rydahl & Kazinski
Casa editrice: Neri Pozza, 2020
Traduzione: 
Eva Kampmann
Pagine: 448
 
Trama: Copenaghen, 1834. Anna lavora in una zona della città dove le botti d’acquavite prendono fuoco per strada, i panettieri vendono pretzel infilati sui bastoni, i marinai ballano tra di loro e i mendicanti e i ladri si aggirano senza sosta. Per provvedere alla Piccola Marie, la figlia di sei anni, riceve fino a tarda ora uomini ubriachi ed eccitati che non le chiedono nemmeno il nome, le strappano i vestiti di dosso e la prendono.
Una sera viene condotta a forza in una casa elegante e, davanti a una grande porta spalancata sul mare, qualcuno pone fine alla sua giovane vita. Il suo corpo viene ritrovato nell’immondezzaio della città, il canale dove si raccolgono tutti i rifiuti di Copenaghen. Un corpo bellissimo con gli occhi chiusi, ma con i capelli che, come quelli di una sirena, scintillano di conchiglie.
«L’uomo dei ritagli»… l’assassino non può essere che lui. Molly, la sorella minore di Anna, ne è sicura: soltanto un dissoluto può recarsi nell’appartamento di una prostituta e starsene tutto il tempo su una panca a contemplarla e a realizzare ritagli di carta che le somigliano. Ne è convinto anche il questore: il responsabile dell’infelice decesso non può essere che lo scrittorucolo con la passione per carta e forbici, l’uomo che è stato visto uscire per ultimo dall’appartamento della vittima.
«L’uomo dei ritagli»… si chiama Hans Christian Andersen ed è o, meglio, vorrebbe essere uno scrittore; tutti i tentativi per diventarlo sono però miseramente falliti, stroncati senza esitazione dai critici. Non fosse per la protezione dell’influente signor Collin, che lo ha spedito in collegio, ha pagato la retta e lo ha introdotto nel bel mondo, sarebbe immediatamente incriminato di omicidio e condotto nelle patrie galere per essere poi punito con vedrebbe volentieri decapitato e sulla ruota, ma, dato il peso dei Collin in città e persino sulla corona, deve scacciare per il momento la visione e offrire ad Andersen un’ultima chance: tre giorni, soltanto tre giorni per trovare altri colpevoli. Se non salteranno fuori, Hans Christian Andersen si trasformerà da scrittore povero in canna in assassino.
 

 
RECENSIONE: 


Intrigante l’idea dei due scrittori di creare un crime, miscelando fiaba, mistero, l’Ottocento più nero nel biancore di una Copenhagen divisa fra ricchezza sfrenata e povertà assoluta- e tirando in ballo un Hans Christian Handersen, quando ancora doveva diventare il cantore dei bambini.

Siamo a Copenhagen, Danimarca, Anno del Signore 1834. Anna e Molly, due mondane, o più comunemente definite prostitute. Piccola Marie, figlia di Anna e futura eroina tragica. Hans Christian Handersen, un uomo dalla statura e dal naso che spiccano nella sua figura allampanata e poco affascinante. Un uomo che è arrivato ragazzino nella capitale sperando in fama e fortuna, ma che sopravvive modestamente grazie alla “carità” mascherata di alcuni gentiluomini in vista nella capitale danese. Lussuria, degenerazione, povertà al limite della privazione totale, mancanza di igiene personale e fogne a cielo aperto, pandemie micidiali come la peste, incendi devastanti: questo è il periodo in cui i due autori ci chiedono di seguirli, per dare la caccia ad un assassino spietato che miete le sue vittime fra povere donne, prostitute e lavandaie, nascondendosi così bene che un innocente rischia di essere condannato a morte per omicidi che non ha commesso. Ed è proprio Hans Christian, futuro scrittore famoso, ma al momento poco considerato dal suo scarso pubblico, che viene indicato da Molly come il depravato assassino dell’amata sorella Anna.

Da qui inizia una caccia che metterà Hans Christian e Molly, prima nemici giurati e poi compagni per necessità, sulle tracce dell’assassino e sulla strada di principi e principesse. Solo dopo aver socchiuso la porta di quel mondo, osceno tanto quanto quello povero da cui provengono, si rendono conto, filosoficamente Hans Christian e realmente Molly, che alle cariche importanti della città e al re non interessa nulla del popolo, non è l’affrancamento dalla povertà, la libertà ed una vita migliore che i regnanti vogliono per i propri sudditi, ma una selva schiumante di servitori ottusi che non pensa, non chiede, non desidera – ma che serve e rimane schiava per l’eternità, solo per il piacere dissoluto di pochi eletti.

Per arrivare a questo risultato, che è già la fine del romanzo, dovremo vedere, pensare e vivere momenti poco piacevoli ed edificanti insieme a Molly e Hans Christian. Una sequenza di avventure che dapprima non fanno pregustare la speranza, ma che verso metà del romanzo si fanno più movimentate ed ariose, salvo farci precipitare nella nera disperazione verso la fine del romanzo. La prima metà del romanzo è lenta e troppo descrittiva e forse ancor più per il tono distaccato usato dagli scrittori, viene vissuta dal lettore come noiosa. Anche se serve per presentare ed accompagnare lungo tutto il romanzo la personalità del futuro scrittore. Dopo la prima metà del romanzo, come detto, l’azione si fa più movimentata e sembra prendere quella vita che nella prima parte è latitante, vuoi anche per le ingiuste ed orribili morti e forse per la descrizione – seppur necessaria ed interessante - in cui versa la città di Copenhagen. La parte finale è necessariamente – e sottolineo il necessariamente – trita nella sua banale ovvietà e forse proprio per questo perde gran parte di quel pathos che gli autori intendevano sicuramente dare alle ultimissime pagine del romanzo. Ma ciò che mi è spiaciuto maggiormente è stata la motivazione – assai deludente – attribuita all’assassino per ciò che ha fatto. Bada bene, lettore che ha già letto il romanzo: non intendo deludente per ciò che bramava l’assassino, ma la motivazione principe per cui ha scelto di fare ciò che ha fatto. Simpatici (ma nulla di più), avendo per protagonista l’affabulatore principe dei bambini, i diversi riferimenti e rimandi alle varie favole da lui scritte e che si sposano a meraviglia con alcuni personaggi e situazioni.

Tendo raramente ad intromettermi in un’altra delle domande più retoriche a cui è dato pensare: consiglieresti la lettura di questo romanzo? Ma questa volta voglio espormi e quindi la mia risposta onesta è un “NI”. Ritengo che valga sempre la pena leggere romanzi che ci diano l’occasione di rinverdire o approfondire conoscenze di autori che si conoscono realmente poco, nonostante la notorietà mondiale. O di conoscere meglio città, anche se di un secolo diverso dal nostro. Il crime in quanto tale, pur se con soprese via via che scorrono le pagine, è già metà svelato, per la scelta fatta dagli autori di far parlare da subito l’assassino ed accompagnarlo, come lettori, nelle sue barbare ed orripilanti scorribande. D’altra parte, l’epilogo avrebbe potuto essere tragicamente epico ed elevare così l’intero romanzo. Ed invece, inevitabilmente a mio parere, le ultime pagine precipitano in un pietismo da piagnisteo, più che da eroe che si innalza sopra la fogna dell’umanità e che sente l’inchiostro scorrere nelle vene, dalla tensione rabbiosa dell’ingiustizia. E quindi l’afflato della promessa: “verrà raccontata, gli abitanti della terra lo devono sapere” risulta floscio e privo di qualsiasi forza eroica. Peccato, a mio avviso le premesse c’erano tutte, perché l’idea principale era decisamente intrigante.
 
A presto




2 commenti:

  1. Ciao Marina! Questo romanzo mi ispirava tantissimo, ma dopo la tua recensione credo che lo farò aspettare ancora un po'...

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  2. Buongiorno Nadia!
    Mah... diciamo che nonostante il mix di stili che gli autori hanno usato e l'idea intrigante di usare Hans Christian Andersen... non mi ha convinta, ecco.
    Poi la parte finale, tutta giocata sull'inseguimento/avventura, ha una caduta di stile pesante. Un passaggio veloce nel più trito dei piagnistei, senza tenere la tensione tragica e teoricamente "storica" del momento.
    Sicuramente una lettura piacevole, ma niente di che, purtroppo.
    Un saluto e e buon weekend, ciao!

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