venerdì 17 dicembre 2021

Letture con Marina #157 - Recensione de Racconti del Pacifico di Jack London

Buongiorno lettori, come state? Come ogni venerdì torna Marina con una delle sue recensioni.


Casualmente instradata nella presente lettura dall’avventura de i “Lettori Intorno al Mondo” con l’ultima tappa del 2021 che prevedeva un viaggio “onirico” – o, forse meglio, virtuale - in Oceania, mi sono ritrovata a leggere uno degli scrittori americani più amati al mondo e che io invece, dopo “Zanna Bianca”, mi ero ripromessa di non leggere più.


     Tito
lo: Racconti del Pacifico
AutoreJack London
Casa editrice: Guanda, 2019
Traduzione: Attilio Verldi
Pagine: 201

Trama: Questo libro si nutre delle suggestioni di un viaggio che Jack London compì tra il 1907 e il 1908 attraverso le isole della Melanesia e della Polinesia. Lo scrittore sapeva bene di ricalcare gli itinerari di Melville e Stevenson: e c’è almeno un racconto, fra quelli presentati (Il seme di McCoy), che richiama l’atmosfera affascinante della Linea d’ombra di Conrad. Eppure, London sa imprimere il suo inconfondibile suggello: dalla memorabile figura di Koolau il lebbroso, l’indigeno che lotta sino alla morte per la dignità del piccolo gruppo di reietti cui appartiene, allo sceriffo di Kona, la cui anima impulsiva e generosa non è vinta neppure dalla malattia, sino allo stesso McCoy, il quieto pilota che porterà in salvo una nave con la sola forza della sua suadente autorevolezza, queste pagine sono popolate da incarnazioni diverse dello stesso personaggio: l’eroe che lotta, fragile e solitario, contro il destino. E l’eroismo non risiede solo nella ribellione e nel conflitto: può anche assumere la forma della quieta rassegnazione del bracciante cinese Ah Cho, protagonista di Chinago, che, per un errore di trascrizione del suo nome, patisce una sorte ingiusta, comminatagli dalla stolta crudeltà dello straniero colonizzatore. Il suo silenzio dolente, la sua solitudine racchiudono molto del fascino dell’opera di London: come scrive Beniamino Placido nella sua Introduzione, «quando leggiamo Jack London vogliamo essere soli. Ci diciamo, leggendo London in solitudine, che ‘ogni uomo è un’isola’ come aveva ripetuto il suo ‘allievo’ Hemingway. Ma un’isola diversa da tutte le altre. Affetta da un diverso, solitario destino.Così come sono diverse, diversissime fra loro queste isole del Pacifico».



 

RECENSIONE:   


Quando leggo un classico – e permettetemi, Jack London non può essere oramai considerato altrimenti, mi prende la curiosità di leggere quanto più possibile sull’autore e sulla sua ulteriore produzione letteraria. Questo è un aspetto che per anni mi ha angustiata: da un lato sono convinta che un libro andrebbe letto rimanendo all’oscuro della vita dell’autore, dall’altra mi rendo conto che ci sono autori la cui opera non può prescindere dalle esperienze di vita – e viceversa. Ca va sans dire…

Innanzitutto in questa nuova versione de “Racconti del Pacifico” ad opera di Guanda, c’è una prefazione molto appassionante di Beniamino Placido. Poi curiosando nell’etere sono incappata in un altrettanto interessante articolo ad opera di Alice Figini per SoloLibri.net dello scorso mese, nel quale si riporta con forza lo spettro dell’ipotesi, più volte sussurrata e riproposta, che il quarantunenne Jack London nel 1916 non sia morto per una disfunzione renale, ma per suicidio. Questo nonostante quanto dichiarato alla fine dal medico che certificò la morte del letterato e nonostante l’articolo del New York Times, che il giorno successivo alla morte titolava in prima pagina:

 Jack London dies suddenly on ranch. Novelist is found unconscious from uremia and expires after eleven hours

Certo che a leggere la sua biografia, c’è di che restare stupiti dalla sua vita avventurosa, e sin da ragazzino. La profonda povertà in cui visse finchè non divenne famoso, in un ambiente molto al di sotto della sua intelligenza e delle sue capacità, lo obbligò ad aiutare economicamente la famiglia fin da subito. Pescando a piene mani dalla sua biografia ufficiale:

abbandona la scuola a 13 anni e diventa rapidamente adulto tra Oakland e San Francisco con ladri e contrabbandieri, praticando vari mestieri non sempre legali tra cui strillone di giornali, pescatore clandestino, cacciatore di foche, operaio, lavandaio, venditore porta a porta, avventuriero alla ricerca dell'oro in Klondike. Nel 1897, infatti, Jack London lascia San Francisco per l'Alaska sulla scia della febbre dell'oro scoppiata in quegli anni. Tra mille peripezie raggiunse il Klondike, e prosegue al di là delle montagne, fino a Dawson City in Canada e lungo il fiume Yukon. Non trova l'oro che cercava ma riporta a casa qualcosa di più prezioso: un immenso tesoro di osservazioni e di ricordi che trasforma poi nelle sue opere più famose.

Pur avendo abbandonato gli studi, fu un gran divoratore di libri di ogni genere, e riuscì a diventare per circa un quindicennio uno degli scrittori tra i più famosi, prolifici (49 volumi) e meglio retribuiti che si ricordino, per finire poi suicida, distrutto dall’uricemia indotta dall’alcool”.

E tanto per riavvicinarci alla serie di racconti lunghi nei “Racconti del Pacifico”, Jack all’età di 31 anni prende realmente la via delle isole della Melanesia e della Polinesia e ci diletta con una serie di eroi, isolani ed autoctoni, come pure di missionari o lavoratori stranieri, che cavalcando le proprie fragilità e la propria solitudine, vengono tratteggiati magistralmente da London come dei super-uomini che non guardano in faccia a nessuno e che proseguono sul sentiero che loro stessi si sono tracciati, dovesse questo portarli anche alla morte.

E’ questo, ad esempio, il modello irraggiungibile di calma interiore che ci viene da giovane Ah Cho, il chinago che, per un errore di trascrizione del proprio nome, si vede comminare la pena di morte che sarebbe spettata ad un altro lavoratore dal nome simile al suo. Un racconto molto bello, ambientato nei mari del sud e che ci parla degli assurdi bianchi, in questo racconto nello specifico dei francesi, “non nati per colonizzare perché inconcludenti nei loro infantili tentativi di sviluppare le risorse dell’isola, ben felici quindi di lasciare tale incombenza nelle mani della compagnia inglese”, tra violenze gratuite e soprusi, che arrivano finanche ad arrogarsi il diritto di togliere la vita ad un altro essere umano, anche quando ci si è resi conto dell’errore. Conclusione a parte della storia, che ci può trovare tristi, sono stupende le descrizioni della vita nell’isola e soprattutto dei sogni e della ricchezza e calma interiore di questo ventiduenne povero cinese.

Altrettanto godibile il racconto intitolato “La Casa di Mapuhi”, dove la descrizione di uomini e della tempesta tropicale, oltrechè della fenomenale perla pescata da Mapuhi e dei giochi di potere dei vari protagonisti, con il destino appeso ai capricci del mare e della tempesta stessa, che ci comunicano il senso della precarietà della vita, dell’incombere della morte e di come gli avvenimenti in fondo non sono altro che un corso e ricorso storico, come si suol dire.

E’ difficile non citare anche tutti gli altri racconti, da quello del missionario appassionato, figura di eroe investito dalla forza divina fino al martirio, al racconto di Mauki, che io ho visualizzato nella descrizione corporea come Maui, il semidio del film d’animazione Disney “Oceania/Moana” – e che in questo racconto ha una pazienza pari solo alla sua forza. O ancora “Il seme di McCoy”, dove personalmente per la prima volta sento parlare di una nave che va letteralmente a fuoco sotto il ponte, e che pure con audacia, calma e determinazione, il primo magistrato dell’isola, McCoy, guida all’approdo di un’altra isola che possa instradare tale infernale nave tra i suoi canali, in modo che possa farla bruciare o magari anche salvare almeno in parte, ma mantenendo in vita tutto l’equipaggio.

Non arrivo ad affermare che se me l’avesse offerta, avrei accettato da Beniamino Placido la tessera dell’Associazione Segreta Lettori di Jack London. Ma sogno ad occhi aperti che, se mi avesse proposto la lettura de “Il vagabondo delle Stelle”, 1915, ultimo grande romanzo pubblicato in vita dallo scrittore californiano, tra Wordsworth, Coleridge, Confucio, Marinetti, Comte, Tennyson, Dante e Pascal… ebbene, conscia che la Letteratura “è un linguaggio clandestino che ci serve per comunicarci dei segreti”, avrei sperato e lavorato per poterci arrivare anch’io. Un giorno.

A presto,




 

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