lunedì 27 febbraio 2017

Recensione #173 - L'angelo di Marchmont Hall di Lucinda Riley

Buongiorno amici! Oggi torno con una recensione, quella di un libro acquistato esclusivamente per incastrarlo in una delle challenge cui partecipo e che invece mi ha totalmente conquistata! Si tratta de L'angelo di Marchmont Hall di Lucinda Riley edito da Giunti, pag.576

Sinossi: Sono passati trent’anni dall’ultima volta che Greta è stata a Marchmont Hall, la magnifica tenuta di famiglia sulle colline del Galles. E adesso, mentre varca i cancelli al fianco di David Marchmont, nipote del suo defunto marito, non può fare a meno di chiedersi se il luogo in cui ha vissuto per tanti anni sarà in grado di dischiudere qualche squarcio sul suo passato. Dopo un terribile incidente d’auto, infatti, Greta non ricorda più nulla e rifiuta di abbandonare il suo appartamento londinese troppo a lungo, tenendo a distanza tutti quelli che hanno fatto parte della sua vita.
Tutti tranne David, l’unico amico di cui si fida e per il quale prova qualcosa che va al di là della semplice gratitudine. È stato proprio lui a raccontarle com’era la sua vita prima di quel giorno e a convincerla a trascorrere il Natale a Marchmont Hall. Ma durante una passeggiata nel bosco, ai piedi di un abete, Greta scorge una lapide e spazza via la neve che ricopre l’iscrizione. Certo non immagina che quel nome inciso sulla pietra la travolgerà con un’ondata di ricordi: le serate come ballerina di cabaret nella Londra del ’45, il sogno di sposare un ufficiale americano, l’amicizia con David, giovane comico di buona famiglia che la accoglierà a Marchmont Hall per strapparla alla miseria.

È il primo libro che leggo di questa autrice perchè mi ha sempre spaventato, in realtà senza una ragione valida. Saranno state le cover, che richiamano alla mente il genere rosa, sarà perchè nella pubblicità di questo libro leggo: "Lucinda Riley torna con uno strepitoso romanzo d'amore", sarà perchè viene normalmente inserita tra le autrici del genere rosa... insomma non era mai arrivato il momento giusto.
Poi mi sono iscritta alla Challenge di Lucrezia Scali ed avevo bisogno di un libro con la parola angelo nel titolo e che questo fosse composto da cinque parole; detto fatto, ho digitato su google, ho trovato questo come unico possibile e mi sono decisa - senza neanche leggere la trama! Lo so, sono pazza! - con Baba che - eravamo in montagna insieme in quel momento - mi guardava attonita e cercava di convincermi a lasciar perdere perchè: "ma sisterrrrrrrrrrrr, sono quasi 600 pagine!!!!!!". Ma che sfida di lettura sarebbe se non mettessi me stessa alla prova? L'ho comprato, l'ho letto e, udite udite l'ho letteralmente A-D-O-R-A-T-O!!!!!!
Eh già, perchè da quando ho cominciato a leggerlo sono stata travolta dalla storia, dai meravigliosi personaggi, dall'ambientazione, e non ho potuto staccarmene  prima di aver letto la parola fine. Ed ora mi manca, mi manca da morire!
È un libro rosa? Secondo me no! È vero, alla base di tutto ci sono più amori: quello di un uomo per una donna, quello di una madre per una figlia, quello di una figlia per un mondo che la fa sentire al centro dell'universo, quello di una nipote per una zia acquisita, quello di un fratellino per la sorella, quello di un padre per un figlio perduto, ma prima di ogni altra cosa credo che questo sia un libro più complesso, un meraviglioso e complesso romanzo familiare ricco di intrighi, misteri, capace di percorrere più generazioni e raccontarcene ogni dettaglio con una capacità disarmante e coinvolgente.

La storia parte da Greta, una donna di mezza età, che per più di vent'anni vive senza memoria dopo un incidente cui verremo messi a conoscenza con lo scorrere delle pagine. È Natale e per la prima volta dopo molto tempo la donna si fa convincere da David - il nipote acquisito, ma sopratutto grande amico, che si prende cura di lei da sempre - a passare le feste a Marchmont Hall, la grande casa di famiglia appena ristrutturata, in cui Greta visse per qualche tempo da novella sposa e che potrebbe farle ricordare qualche particolare della sua vita passata.
L'occasione la porta a passeggiare per i boschi intorno alla tenuta ed è imbattendosi in un tomba che la memoria le riporta alla mente un momento di decenni prima in cui lei era solo una ragazza spaventata e incinta. Da questo momento il lettore si trova a ripercorrere con lei quello che la sua memoria le regala.
Il racconto riparte dal 1945, quando dopo la fine della guerra Greta si trasferisce a Londra per scappare da un patrigno troppo "affettuoso" e per vivere lavora in un locale notturno facendo la ballerina, sognando un futuro da attrice. È proprio in quel locale che conosce David, l'amico che per tutta la vita sarà per la donna una spalla su cui piangere, una certezza cui fare riferimento, una luce in una vita fatta di ombre.
Per quasi seicento pagine l'autrice ci racconta la storia di una donna che passa dal baratro alle stelle e poi ritorna dalle stelle al baratro. Ci racconta di una gravidanza, di un matrimonio di convenienza con un uomo molto più grande di lei, ci racconta di un lutto incredibile e di una fuga dalla grande casa di Marchmont per tornare a Londra, anni dopo ma con la stesse insicurezze della prima volta.
Non è fortunata Greta. La sua giovane età la porta a credere negli uomini sbagliati e a non rendersi conto invece di quale grandi possibilità ha ogni giorno per essere felice.
Ci racconta di una figlia su cui la donna ripone tutto il suo essere e tutto il suo amore; una figlia che da subito avrà quella vita che la madre aveva sempre sperato per se, fatto di cinema, serate, paiettes, grandi contratti cinematografici e luci della ribalta.
La Riley è bravissima a ripercorrere la storia di Greta, dandone una perfetta collocazione storica e ambientale capace di accompagnare il lettore in quei luoghi, dando l'impressione di trovarsi non davanti alla carta stampata ma dando spesso l'impressione di trovarsi davanti ad un grande schermo cinematografico.
Un libro che ho vissuto insieme ai protagonisti, toccando con mano le loro emozioni, provando le loro angosce, le loro paure. Ho amato Greta nel suo essere indifesa e ingenua in un mondo che ha inghiottito la sua vita lasciandole solo un grande buco nero nella mente, ma l'ho anche disprezzata nel  suo ruolo di madre, nel suo anteporre il denaro al bene di una figlia gia problematica a causa del proprio vissuto, nel suo metterla a quattro anni in palio come se fosse un oggetto, assicurandole sì una vita piena si agio ma anche piena di solitudine. Ho compreso quella figlia - Cheska - nel suo essere frivola ed incapace di essere prima figlia e poi madre. Ho adorato David, vera roccia del romanzo, con la sua generosità, il suo attaccamento a quella donna da cui ha ricevuo poco ma cui ha dato senza riserve per una vita intera. Ho amato anche tutti i personaggi che l'autrice ha fatto capitare sulla loro strada, sia quelle positive ma anche quelle negative perchè senza di loro questo romanzo non sarebbe lo stesso.
Insomma, questo libro regala una lettura piena, completa, ricca di tutto quello che una storia dovrebbe raccontare e raccontata in modo sublime!
Un'autriche che da oggi entra ufficialmente a far parte di quelle che considero le mie preferite ed ho intenzione di recuperare tutti i suoi romanzi, sperando siano altrettanto pieni di tutto!!!

VOTO: 











venerdì 24 febbraio 2017

Letture con Marina #8

Buon venerdì amici. Come ogni due settimane vi lascio in compagnia di Marina e la sua rubrica. Lascio quindi a lei la parola e vi auguro un buon weekend!


Autore: Kent Haruf
Traduzione: Fabio Cremonesi
Titolo: Le nostre anime di notte / Our souls at night
Casa editrice: NN Editore
Pagine: 200
Anno Pubblicazione:2017

Sinossi:  La storia dolce e coraggiosa di un uomo e una donna che, in età avanzata, si innamorano e riescono a condividere vita, sogni e speranze. Nella cornice familiare di Holt, Colorado, dove sono ambientati tutti i romanzi di Haruf, Addie Moore rende una visita inaspettata a un vicino di casa, Louis Waters. Suo marito è morto anni prima, come la moglie di Louis, e i due si conoscono a vicenda da decenni. La sua proposta è scandalosa ma diretta: vuoi passare le notti da me? I due vivono ormai soli, spesso senza parlare con nessuno. I figli sono lontani e gli amici molto distanti. Inizia così questa storia di amore, coraggio e orgoglio.

RECENSIONE:

Ci sono romanzi che marchiano a fuoco. Una volta terminati, si instaura un dialogo fra lettore ed autore o fra lettore e personaggi della storia, che non lascia spazio ad altro per giorni e giorni. La mente continua a tornare lì. Rimandi, considerazioni personali, ragionamenti e piccole ulteriori scoperte. E questo anche se il vissuto cartaceo ci è completamente estraneo. Ci sono autori destinati ad essere immortali, nonostante le poche opere scritte. Kent Haruf è uno di questi fortunati eletti che la generazione attuale e soprattutto le generazioni future avranno l’onore ed il piacere di poter leggere, proseguendo la tradizione della più alta letteratura americana.
Kent Haruf è un altro di quei grandi autori che mette in scena la propria rappresentazione con pochi elementi ed una prosa nitida ed altamente evocativa: due persone anziane, un nipotino, un cane e la cittadina fittizia di Holt, in Colorado. Non ha bisogno di altro per orchestrare in maniera magistrale la sua storia, sin dalle prime battute di Addie, la protagonista, fino alla conclusione più logica, sperata e di eterea dissolvenza. 
Addie Moore: mi chiedevo se ti andrebbe qualche volta di venire a dormire da me. Louis Waters: Cosa? In che senso? 
Addie Moore: Nel senso che siamo tutti e due soli. Ce ne stiamo per conto nostro da troppo tempo. Da anni. Io mi sento sola. Penso che anche tu lo sia. Mi chiedevo se ti andrebbe di venire a dormire da me, la notte. E parlare. 
Romanzo di estrema essenzialità e profondità, sin dalle battute iniziali si intuisce entri già nel vivo degli avvenimenti e prosegue creando il giusto humus per una storia di quieta solitudine di due anziani e di gentile tenerezza, in un’America rurale fuori dal tempo. Due vite solitarie che si avvicinano e nella notte - o forse proprio per attraversare insieme la notte, topos dell’oscurità generatrice di ricordi ed angosce - chiacchierano e si raccontano la propria vita più privata, i dolori, i lutti e le gioie del tempo della giovinezza e maturità, tenendosi per mano sotto le coperte. Per svelare all’altro chi è ora la persona che sta loro accanto. Salvo poi controbilanciare queste splendide istantanee di felicità con la cattiveria gratuita, che deriva dall’invidia, dalla paura delle novità…
Il tutto con dialoghi quasi ininterrotti e poche descrizioni della piatta e desolante pianura del fittizio paesino di Holt, fino alle reali, tranquille e maestose Rocky Mountains per ammirare dal Monarch Pass l’incredibile congiungersi delle acque dell’oceano Atlantico e dell’oceano Pacifico.     
Una gita di un paio di giorni che Louis, Addie ed il nipotino, insieme al cane Bonny, intraprendono, con sosta in un campeggio dove i bisogni si fanno ancora in un buco nero e si cucina accendendo un fuoco negli appositi spazi con la legna che si deve raccogliere – e che a noi lettori regala un senso di pace ed al contempo di meraviglia per la semplicità e la quotidianità di simili descrizioni di vita che sono al contempo così poetiche da farci desiderare di interrompere la lettura per assaporare più a lungo queste giornate ristoratrici. E che sono parimenti il marchio di fabbrica di quest’autore, che non disdegna all’interno del romanzo un’ironica autocelebrazione, che noi lettori accogliamo con estrema gioia ed un tenero sorriso di riconoscimento.
Il colpo di scena dell’arrivo del nipotino nella vita di Addie e dello stesso Louis regala momenti di vissuto quotidiano così ricco, pur se quieto nella normalità dei gesti come curare il giardino, insegnare a Jamie il gioco del baseball o portare a spasso il cane, che quasi non ci si rende conto delle nubi che stanno oscurando il cielo di Holt e le vite dei due anziani “amanti”. I pettegolezzi e lo scandalo di questa situazione inusuale infatti colpiscono anche la figlia di Louis e soprattutto il figlio di Addie. Che porrà l’anziana ma coraggiosa genitrice di fronte ad un ricatto spietato e meschino.
Addie: Chi riesce ad avere quello che desidera? Non mi pare che capiti a tanti, forse proprio a nessuno. E’ sempre un incontro alla cieca tra due persone che mettono in scena vecchie idee e sogni e impressioni sbagliate.
Kent Haruf scrive questo romanzo di getto, contrariamente a quanto accade nei romanzi precedenti, quando oramai sa di essere ammalato di cancro ai polmoni. Tanto che, come dice la moglie Cathy, a cui il romanzo è dedicato, il marito non si cura di eventuali refusi o sintassi: “devo diventare cieco per vedere…”. Kent Haruf muore infatti prima che il suo ultimo romanzo venga pubblicato. L’estrema urgenza sotto i cui colpi l’autore ha scritto il suo ultimo e stupendo romanzo non si evince dalla storia che ci ha lasciato, che regala invece ai suoi lettori la commedia umana della quieta normalità, segnando la rinascita della grande letteratura americana attraverso il raccontare dell’uomo medio.

Di seguito riporto il link - clicca qui - alla toccante intervista che Cathy Haruf ha rilasciato lo scorso 11 Febbraio ad Antonello Guerrera – La Repubblica.it

giovedì 23 febbraio 2017

Recensione #172 - ANTEPRIMA - L'uroboro di corallo di Rosalba Perrotta

Buongiorno carissimi, come state? Io pian piano mi riprendo! Sono qui per lasciarvi la recensione di un libro in uscita oggi in tutte le librerie e che grazie alla casa editrice ho avuto l'occasione di leggere in anteprima. Si tratta di L'uroboro di corallo di Rosalba Perrotta edito da Salani, pag. 314

Sinossi: Può un’eredità imprevista cambiarti la vita, anche se non sei più giovanissima e non ti aspetti più nulla dal mondo? Sì, se l’eredità è una spilla di corallo a forma di uroboro. Di un suo supposto potere magico è convinta Anastasia, una donna ‘all’antica’, insicura e piena di remore, che vive l’abbandono del marito come una colpa e ha congelato la propria esistenza nell’attesa di un suo improbabile ritorno. L’eredità dell’amante del nonno, un palazzetto in una zona malfamata di Catania e una scatola piena di cianfrusaglie tra cui l’uroboro, è l’occasione per cambiare tutto.
Intorno ad Anastasia un mondo di personaggi vivi e reali: le tre cugine ‘continentali’, la figlia Nuvola con i capelli viola e il suo bizzarro mestiere, l’altra figlia Doriana, che scopre le gioie e i dolori dell’adulterio, e poi ancora il notaio-cuoco Matteo e l’inquietante cavalier Santospirito con le sue rocambolesche manovre per impossessarsi del magico uruboro. Ma specialmente Igor, il primo amore di Anastasia, che potrebbe tornare dalla Guadalupa e rimettere tutto in discussione… Un romanzo immerso nei caldi colori mediterranei, in cui ironia e fiducia nel cambiamento aprono nuove, meravigliose strade.


Avevo conosciuto ed amato questa autrice grazie al suo primo lavoro - All'ombra dei fiori di Jacaranda che avevo recensito qui - così quando la casa editrice mi ha proposto questo nuovo romanzo non ci ho pensato due volte e mi ci sono immersa senza timori.
Ho ritrovato la penna che ben ricordavo ed un'atmosfera che da subito mi ha riportato in una Sicilia che, grazi alle origini di mia mamma, considero un po' la mia terra.
La storia è quella di più rinascite, un libro che avrebbe come protagonista Anastasia - una settantenne che sta ancora cercando di mandare giù l'abbandono da parte del marito, risposatosi con una donna molto più giovane di lei - ma che in realtà è composto da una coralità di personaggi concatenati ed assolutamente essenziali alla trama. Anche l'impostazione del romanzo - molto particolare - porta a perdere di vista la protagonista e fa sì che emerga il gruppo, infatti a volte sembra quasi di leggere una sceneggiatura, un copione di un film in cui ogni elemento non è fine a se stesso ma esiste in funzione degli altri.
Contorno di questa sceneggiatura è la Sicilia, una Sicilia in cui le diverse generazioni convivono e si amalgamano, facendo emergere le tradizioni, il suo dialetto, le sue usanze, le sue ricette ed anche il suo dialetto, che viene disseminato qua e là dall'autrice senza mai diventare eccessivo. Particolarissimo, da questo punto di vista, è il dizionari siciliano - italiano cui l'autrice dedica l'ultimo capitolo del libro e sarà di aiuto a chi non è abituato a sentire determinati termini dialettali.
Nonostante i tantissimi personaggi che popolano il romanzo, le donne sono sicuramente lo zoccolo duro della storia: Anastasia - che eredita insieme alla sue cugine del Nord un palazzetto in una zona malfamata di Catania  ed un certo numero di cianfrusaglie di bigiotteria tra cui un uroboro di corallo che sembra porterle fortuna -; la figlia minore Nuvola - in fase di ribellione da quando, quasi sull'altare lascia il suo fidanzato perchè presto avrà un figlio da un'altra donna; ed ancora non ha mandato giù l'abbandono del padre! -; la figlia maggiore Doriana - bacchettona, donna in carriera, con un marito senza lavoro che vuole trasferirsi in Africa ed un figlio che manda alla nonna delle mail spassosissime -; le cugine Alida, Myrna e Claretta - figlie di una zia "forestiera" proveniente dal continente, che lo zio aveva sposato contro il volere di tutti. Come donne del nord da sempre criticate per il loro essere aperte e alla moda-.
Ci sono anche dei maschi, certo, che oltretutto non lasciano per niente indifferenti - come Matteo, Antonio, Rodolfo, il colonnello Pippo de Francesco, Igor Pastorello, gli antiquari - ma le donne, senza ombra di dubbio, predominano grazie alle loro sfaccettature, ai loro dubbi, alla loro necessità di trovare una strada per rinascere, prendendo spunto dalle diversità di ognuna ed arricchendo il loro essere grazie a nuove esperienze e consapevolezze.
L'occasione la crea il palazzetto che da una scomoda eredità diventa il punto di partenza per una nuova vita e attorno cui si imbastisce anche una storia di esoterismo, sedute spiriche, loschi figuri che farebbero di tutto pur di mettere le mani sull'uroboro che Anastasia ritiene ormai il suo potafortuna.
Lo stile dell'autrice si rivela novamente fresco e a tratti divertenti, capace di far scorrere le pagine senza che il lettore se ne renda conto e facendolo ritrovare alla battute finali con un marcato sorriso sulle labbra.
Un libro che consiglio a chi ama le atmosfere delle nostre tradizioni, a chi apprezza le commedie all'italiana ambientate in quel sud in cui la cucina, gli odori e la tradizione la fanno da padrona.


L’AUTRICE
Rosalba Perrotta vive a San Gregorio, un piccolo centro alle pendici dell’Etna. È sposata e ha un figlio, Stefano. Non possiede bestiole domestiche, ma dà i croccantini ai gatti che visitano il suo giardino. Ha insegnato con grande passione Sociologia all’Università di Catania. È autrice, tra l’altro, di All’ombra dei fiori di jacaranda, edito da Salani.
VOTO: 










mercoledì 22 febbraio 2017

If I say... #8 - Tappeto

Buongiorno carissimi, come state? Io ancora azzoppata ma cerco di guardare il lato positivo: ho letto tantissimo!!! Ma veniamo al blog, oggi torniamo con If I say, la rubrica in collaborazione con Baba Desperate Bookswife.
La parola di oggi è: TAPPETO.


Una parola che all'inizio mi ha mandato in crisi ma che poi mi ha invece portato alla mente diversi libri.
Due sono i libri che ho letto e che, nonostante non abbiano tappeti in copertina e neanche apertamente citati all'interno mi sono immediatamente apparsi pensando a questa parola.

Il primo è Il mercante di stoffe di Coia Valls edito da Sperling & Kupfer, perchè si sa, i mercanti ed i tappeti vanno spesso a braccetto! Recensione qui


Il secondo è Il mio nome è rosso, del famosissimo scrittore turco Orahn Pamuk, edito da Einaudi. Anche in questo caso la mia associazione è più legata all'ambientazione del libro che ad un reale collegamento della parola. Recensione qui


Ed ora un libro che non ho letto ma che mi è venuto in mente, in cui la parola tappeto è assolutamente il protagonista: Una nuvola come tappeto di Erri de Luca edito da Feltrinelli. Una cover che richiama il tappeto di nuvole in modo assolutamente romantico.


Prima di correre a vedere le associazioni di  Baba  non dimenticate di votare qui sotto per la prossima puntata!


martedì 21 febbraio 2017

Leggendo SerialMente - Gruppo di Lettura #1 - Il prigioniero del cielo: ottava tappa


Buongiorno lettori, eccoci giunti all'ultimo post relativo al terzo libro della quadrilogia Il cimitero dei libri dimenticati di Carlos Ruiz Zafon edito da Mondadori: Il prigioniero del cielo. Il tempo vola!!!! Prima di entrare dirvi le mie impressioni vi lascio i link relativi alle tappe postate fino ad oggi.

L'OMBRA DEL VENTO

03 gennaio 2017 - Desperate Bookswife: commento da pag. 0 a pag. 196 (i primi 25 capitoli) - Link qui
10 gennaio 2017 - Un libro per amico: commento da pag. 197 a pag. 310 (vi dovrete fermare al capitolo che inizia riportando queste date: 1933-1954). Link qui
17 gennaio 2017 - Desperate Bookswife: commento da pag. 311 ( Parte intitolata: Nuria Monfort: Memorie di spettri 1933 - 1954) a pag. 471, ovvero fino al termine del romanzo. Link qui

IL GIOCO DELL'ANGELO
Ci comportiamo come se la quadrilogia fosse raccolta in un unico volume, quindi abbiamo appena terminato il volume uno ma senza ulteriori presentazioni iniziamo a leggere il secondo.
24 gennaio 2017 - Un libro per amico: commento da pag. 11 a pag. 138, ovvero tutto l'Atto Primo. Link qui
31 gennaio 2017 - Desperate Bookswife: commento del Secondo Atto, da pag. 141 a pag 336. Link qui
7 febbraio 2017 - Un libro per amico: commento del Terzo Atto + l'Epilogo, ovvero da pag. 339 a pag. 466. Link qui

IL PRIGIONIERO DEL CIELO
14 febbraio 2017 - Desperate Bookswife: commenteremo le parti 1 + 2 , fino pag. 174. Link qui
21 febbraio 2017- Un libro per amico: commenteremo le parti 3 + 4 +5, ovvero fino a pagina 340.




  ATTENZIONE SPOILER!!!! 

Avevamo concluso la tappa precedente con il racconto di Fermin, che spiega a Daniel come riuscì a scappare dal carcere fingendosi morto.
Cominciamo questa nuova parte - che ci porterà alla conclusione del libro - con Fermin che, seppur a conoscenza del pericolo, decide di tornare a Barcellona per onorare la promessa fatta in prigione a David Martin: si prenderà cura di  Isabella e di Daniel.
L'incontro con l'avvocato Brians - il legale che Isabella aveva assunto per seguire la vicenda di Martin - rivela a Fermin la morte di Isabella e i dubbi che l'avvocato riserva su quell'avvenimento. Che ci sia veramente il direttore del carcere Valls dietro la morte della donna apparentemente provocata dal colera?
In queste pagine scopriamo anche come l'incontro di Fermin con Daniel non sia casuale e di come molti credano che il vero padre di Daniel sia Martin e non il vecchio Sempere. Ovviamente Daniel non può restare indifferente alle rivelazioni che il suo amico gli rivolge e il dubbio inizia a frullargli per la testa.
Scopriamo che David in cella scrisse Il gioco dell'angelo, che ritroviamo poi in conclusione del libro come dono a Daniel insieme ad una lettera che non rivela niente ma che lascia il dubbio che l'interesse di Martin verso il ragazzo possa essere quello di un padre.
Daniel ha inoltre il grande dubbio su Bea e sulle lettere d'amore che l'ex fidanzato le scrive; ex fidanzato che scopriamo essere pagato dalla casa editrice di Valls per riprendere i contatti con lei.
Il grande evento di questo libro credo però sia il matrimonio di Fermin con Bernarda, con la donna in attesa di un bambino e Fermin alle prese con l'ansia per l'impossibilità di presentarsi a suo nome alle nozze.
Devo dire che questo libro mi è piaciuto molto; il suo grande collegamento sia con L'ombra del vento
e con Il prigioniero del cielo mi ha permesso di ritrovare pace con i miei pensieri, visto che il secondo volume di questa serie mi aveva lasciata alquanto perplessa e piena di domande. Domande cui le risposte mi sono state date quasi interamente in questo terzo libro della serie.
Certo, di domande Zafon ce ne lascia anche in questo caso, e non poche:
  • Perchè l'ex fidanzato di Bea viene pagato per interferire nel matrimonio della donna?
  • Che ruolo avrà la nuova arrivata - Sofia, nipote di Sempere - che fisicamente è identica alla zia defunta Isabella?
  • David Martin è veramente morto?
  • Chi ha lasciato la statuetta sulla tomba di Isabella? Perchè al suo interno Daniel trova il nome di Mauricio Valls con un indirizzo di Barcellona?
  • Fumero uscirà dalla storia o avrà un ruolo nel quarto libro?
  • Daniel scoprirà la verità sulla morte della madre e capirà chi sia il suo vero padre?
  • Corelli è frutto della fantasia di David Martin o è una figura in qualche modo reale?
Io sono arrivata alla conclusione che Martin sia talmente pazzo che nell'ultima parte del gioco dell'angelo non sia veramente nella casetta sul mare a scrivere il gioco dell'angelo ma che in realtà sia già in prigione e non se ne renda conto.
Effettivamente il grandissimo attacamento di Isabella a David mi fa pensare che probabilmente qualcosa in più di un mero rapporto tra assistente e scrittore ci sia stato in passato e non sia mai stato raccontato. Spero che ne scopriremo di più continuando la lettura.
Sono felice perchè questo libro mi ha fatto tornare la voglia di andare avanti!!! Quindi ora vi saluto e mi butto nell'ultimo viaggio.

E voi? Cosa ne pensate? Siete soddisfatti di questo nuovo libro?
Vi ricordo che la prossima tappa sarà il 28 febbraio sul blog Desperate Bookswife.
Prima di salutarvi vi lascio l'intero calendario delle prossime tappe relative all'ultimo libro della quadrilogia.

IL LABIRINTO DEGLI SPIRITI
28 febbraio 2017 - Desperate Bookswife: commenteremo fino a pagina 193, ovvero Il libro di Daniel + Dies Irae + Ballo in maschera +Kyrie.
07 marzo 2017 - Un libro per amico: commenteremo da pagina 199 fino a pagina 386, ovvero la parte: La città degli specchi.
14 marzo 2017 - Desperate Bookswife: chiacchiereremo da pagina 391 fino a pagina 573. Parte: I Dimenticati.
19 marzo 2017 - Un libro per amico: dai che siamo quasi, un ultimo sforzo, da 579 a pagina 815, ovvero Agnus dei + Il quaderno di Isabella +Libera Me + In Paradisum +Barcellona +1964 +Il libro di Jilliàn + Epilogo.

giovedì 16 febbraio 2017

Recensione #171 - La classe dei misteri di Joanne Harris

Buon pomeriggio carissimi, come state? Io sono zzoppata... Sì, avete capito bene! Martedi pomeriggio ho pensato bene di scivolare mentre scendevo le scale di casa dei miei per tornare al lavoro (lo dico sempre che lavorare fa male!) ed ora sono bloccata sul divano con una distorsione al piede, quindici giorni di fasciatura e stampelle ed impossibilitata a guidare quindi a lavorare. Insomma, un disastro che proprio non ci voleva!!! Ma visto che la situazione è questa e piangersi addosso non servirà ad anticipare la mia guarigione ne approfitto per leggere e portarmi avanti con tutte le millemila letture che ancora ho che mi attendono! Ma prima mi sono obbligata a scrivere questo post: la recensione del libro La classe dei misteri di Joanne Harris edito da Garzanti – che ringrazio per la copia – pag.473

Sinossi: I lunghi corridoi dalle finestre a bifora sono illuminati dalla fredda luce del sole d’autunno. Sta per cominciare un nuovo anno scolastico a St Oswald, un prestigioso collegio per soli ragazzi nel Nord dell’Inghilterra. E, come ogni anno, i professori si ritrovano per la riunione inaugurale del corpo insegnante. Ma stavolta l’anziano Roy Straitley, docente di lettere classiche, si rende conto che il clima è ben diverso dal solito. Durante l’anno precedente, molti eventi inquietanti hanno minato la serenità e il buon nome della scuola. Ecco perché, per contrastare la crisi, è stato scelto un nuovo Rettore. Ed è proprio questa scelta a lasciare l’anziano professore spiacevolmente stupito: a guidare la scuola sarà Johnny Harrington, una sua vecchia conoscenza. Un suo ex studente legato a una brutta storia. Tutta la scuola ne è affascinata, ma Straitley non si fida. C’è qualcosa in lui che gli sfugge. E man mano che la nuova gestione si afferma a St Oswald, il passato ritorna senza pietà con le sue violenze nascoste. Solo il professore è in grado di fermare tutto questo. Ma quando si avvicina alla verità, Straitley capisce di dover compiere una scelta. Fare giustizia o salvare la scuola a cui ha dedicato la sua intera vita?
Dopo il grande successo di La scuola dei desideri, Joanne Harris ci riporta tra i corridoi popolati di segreti di St Oswald. L’acclamata autrice di Chocolat, che vanta un milioni di lettori in Italia ed è tradotta in 50 paesi, con impareggiabile maestria tratteggia un luogo dove niente è come sembra e dove in ogni angolo si nasconde un pericolo. Dove anche il tuo migliore amico può trasformarsi nel tuo peggiore incubo. Un romanzo sorprendente, capace di esplorare i nostri istinti più oscuri.


Di questa autrice avevo letto tempo fa solo una raccolta di racconti e, nonostante i racconti non siano la mia passione, ho avuto subito la sensazione che questa autrice potesse essere adatta a me. Dopo decenni di lettura senza sosta il mio intuito difficilmente sbaglia quindi è stato con grande slancio che quando ho saputo dell’uscita di questo libro ho deciso che lo avrei letto.
Il titolo – La classe dei misteri – non mente, questo romanzo di misteri ne ha a bizzeffe. Una trama che apparentemente può sembrare molto semplice si complica con lo scorrere di ogni pagina e diventa sempre più intricata, sempre più misteriosa, sempre più ricca di avvenimenti per niente scontati e capaci di lasciare il lettore a bocca aperta.
Tutto è ambientato in una scuola, St. Oswald, che per decenni ha mantenuto una rigidità nelle regole e nell’insegnamento che, tutto ad un tratto, vengono apparentemente stravolte dall’arrivo di un nuovo rettore Johnny Harrington, un ex studente molto particolare e dal passato per niente chiaro e cristallino.
Devo però fare necessariamente una premessa: questo romanzo è il secondo che l’autrice ambienta nella scuola – probabilmente se lo avessi saputo prima di cominciare la lettura avrei letto anche il libro precedente La scuola dei desideri – e spesso si ha la sensazione che ci siano dei chiari riferimenti alla storia antecedente che, di certo, non pregiudicano la lettura attuale, ma la cui conoscenza forse avrebbe reso il tutto più semplice e più completo.
Ma torniamo alla trama. Siamo nel 2005 ed Harrington si insedia come rettore e comincia ad apportare modifiche sostanziali sia all’estetica dell’edificio, che alle materie insegnate ed ai docenti che le insegnano.
Appare evidente sin da subito che il nuovo rettore non sia un uomo incline al dialogo ed anche che abbia non pochi problemi pregressi con, in particolare, il professor  Roy Straitley, docente di latino.
L’autrice sceglie una narrazione a due voci: da una parte è proprio Straitley a raccontarci in prima persona come vive i nuovi cambiamenti all’interno della scuola e quali siano gli avvenimenti pregressi che abbiano portato Harrington ad avercela tanto con lui; dall’altra parte la parola è lasciata ad uno studente del 1981 che, principalmente attraverso le pagine del suo diario, ci si svela piano piano in tutta la sua follia.
Non c’è un reale protagonista in questo romanzo, se non forse la scuola stessa, che non è un mero contorno ma che caratterizza moltissimo ogni singolo avvenimento che ci viene presentato. Una sorta di “fight club” in cui tutto ciò che succede all’interno si risolve all’interno, con metodi più o meno leciti.
I personaggi sono moltissimi e non vi nego che all’inizio ho fatto molta fatica ad inquadrarli – soprattutto i tre studenti principali degli anni Ottanta: Spikely, Nutter, Harrington - e a ricordarne le caratteristiche perché l’autrice quando parla di loro utilizza a volte il nome vero e a volte i loro nomignoli; un espediente che non riuscivo a capire ma che poi ho trovato geniale nel momento in cui i colpi di scena hanno cominciato a palesarsi. Pensate che fino ad un certo punto della storia ero convinta che a parlarmi fosse uno di loro ed invece in realtà era un altro!
Oltre ai tre studenti del passato – coinvolti da subito in un mistero legato ad un docente non più presente nella scuola -, sono molto importanti alcuni studenti del presente - attorno cui si dipana una storia sull’omosessualità, sul bullismo e sui meccanismi di un istituto privato cattolico e prettamente maschile - alcuni professori di collegamento tra il passato ed il presente – il professor Straitley per primo, ma anche i prof. Divine, Erik Sccones, Blackely, e non meno importante il defunto Harry Clarke – e gran parte dell’entourage del nuovo rettore. Insomma, un ricco parterre di attori che, come in una danza mai zoppicante, riesce a creare uno spettacolo convincente, intrigante, ricco di suspense e capace di portare il lettore fuori strada in diverse occasioni.
Lo stile dell’autrice poi fa sicuramente la differenza. Moltissimi scrittori al suo posto avrebbero con molta probabilità perso le fila dei tantissimi enigmi che ha deciso di intrecciare, lei invece ha sempre avuto in mano la situazione, senza mai vacillare, senza mai commettere errori, utilizzando oltretutto una scrittura lenta, particolareggiata, ricca di descrizioni ma non dandomi quasi mai l’idea che esagerasse, se non forse in pochissimi punti in cui probabilmente la storia avrebbe potuto essere un pochino ridotta.
Un bellissimo incontro quindi quello mio con Joanne Harris, di cui mi riprometto di leggere in futuro altri suoi lavori.
L’unico consiglio che vi do, se volete intraprendere questa lettura, è di leggere prima La scuola dei desideri perché, per quanto entrambi i libri siano autoconclusivi, secondo me la completezza soprattutto a livello di personaggi potrà essere maggiore leggendoli in ordine.

VOTO: 





venerdì 10 febbraio 2017

Letture con Marina #7

Buon venerdì lettori. Oggi torna Marina con le sue letture. Lascio quindi a lei la parola e vi auguro un buon weekend!

 
Tra motti, miti classici, rapporti padri-figli, nobiltà belga con le sue ferree e risibili regole e tipici problemi adolescenziali, oggi facciamo conoscenza con un Personaggio a dir poco particolare e dalla vita che potrebbe alimentare le pagine di molti romanzi: Amélie Nothomb.

Autore: Amélie Nothomb
Traduzione:  Monica Capuani
Titolo: IL DELITTO DEL CONTE NEVILLE / Le Crime du comte Neville
Casa editrice: Voland srl
Pagine: 93
Anno Pubblicazione: Febbraio 2016

Sinossi:  Il conte Neville, aristocratico belga decaduto, è costretto a vendere il suo magnifico castello nelle Ardenne. Prima di uscire di scena, per celebrare l'onore della famiglia, decide di organizzare una lussuosissima festa di addio. Ma nei giorni che precedono l'evento Sérieuse, la sua figlia più giovane, fugge di casa e si nasconde nella foresta. A trovarla è una misteriosa chiaroveggente e sarà costei, dopo aver avvertito il conte del ritrovamento della ragazza, a fargli una spaventosa profezia: "Durante il ricevimento, lei ucciderà un invitato." Il conte Neville, ossessionato da queste parole, dovrà trovare un modo per sfuggire al suo tragico destino. Riprendendo Oscar Wilde e la tragedia greca Amélie Nothomb gioca con la letteratura e con l'intelligenza dei lettori, fornendo come al solito una sua personale versione dei miti.

RECENSIONE:

Di quest’autrice – e soprattutto dei suoi romanzi, su Il Giornale.it (Massimiliano Parente 22.02.2013), ho letto una definizione assolutamente centrata, preceduta dal titolo: L’incredibile Amélie Nothomb che sforna capolavori bonsai: “non sono letterariamente indispensabili, ma se inizi uno dei suoi romanzi, lo finisci senza neppure accorgertene: strepitosa nei dialoghi, ha eliminato il resto, lasciando – appunto - solo i dialoghi, densi di aforismi degni di Oscar Wilde, mentre le descrizioni sono ridotte al minimo. I libri di Amélie sono così minimalisti da non poter essere recensiti, sono come farfalle di cui ti rimane la polverina sui polpastrelli e poi non volano più, si possono solo leggere…”

E noi, dopo un sì leggiadro ed invitante incipit, non possiamo che seguire il consiglio e leggiamo un secondo romanzo di questa particolare autrice, dopo esserci già imbattuti qualche anno fa nel suo romanzo: Stupore e Tremori, che mi aveva lasciata un po’ stranita.  

La trama de Il Delitto del Conte Neville è presto detta in pochissime parole: la terza e più piccola figlia del Conte viene trovata nel bosco di notte da una sensitiva, che la porta a casa sua e la mattina successiva avvisa il padre della ragazza, il Conte. Al quale, durante l’incontro a casa sua, predice che durante la Cena Danzante che sta organizzando al suo Castello, ucciderà uno degli invitati. Nei giorni che precedono quest’ultimo ricevimento, il Conte Neville si scervellerà per capire e poi scegliere chi dovrà uccidere con il fucile durante il suo Garden Party, dato che al proprio destino non si può sfuggire. Ed a questo punto torna in scena l’adolescente figlia Sérieuse, mancata Ifigenia, che gli offre la soluzione su un piatto d’argento. E da qui fino alla conclusione di questo romanzo bonsai, il lettore viene concupito e trascinato dall’autrice sulle orme dei miti classici derivanti dal nome dei figli, dagli aforismi di Oscar Wilde e dai temi che via via leggendo si possono “estrarre” da questo romanzo, facendone soggetti per altrettante interessanti discussioni. E noi lettori, ripeto, come possiamo scriverne? E’ corretto cercare di trovare a tutti i costi similitudini o raffronti con massime, miti classici od altri argomenti? E’ corretto leggere in questa descrizione di un mondo ancienne elitaire – il mondo frequentato dalla famiglia di appartenza dell’autrice? E questo è d’aiuto nella comprensione del testo e nell’analisi dei raffronti? Oppure, complici i suoi cappelli strampalati ed il personaggio che lei stessa ha creato, pensiamo di imbatterci in un Personaggio, appunto – e non in un’autrice? Ma poi… perché non leggere semplicemente, senza dover per forza trovare qualcosa da dire, che non sia il puro piacere della lettura fine a se stessa?

Un po’ tragedia, un po’ giallo, un po’ farsa, Il delitto del conte Neville, ventiquattresimo romanzo di Amélie Nothomb, descrive con spietata ironia il piccolo mondo della nobiltà belga, aggrappata a tradizioni senza tempo, isolata e avulsa da un paese altrimenti all’avanguardia. Il racconto è un omaggio a Oscar Wilde e al suo Il delitto di Lord Arthur Savile.

L’AUTRICE:
Figlia di un ambasciatore belga membro di una delle famiglie brussellesi più in vista ha trascorso la sua infanzia in Giappone, per poi trasferirsi in Cina per ragioni diplomatiche. In Giappone, mentre i suoi fratelli frequentavano la scuola statunitense, lei frequentò la scuola nipponica locale in quanto perfettamente bilingue franco-giapponese. In Cina frequentò la piccola scuola francese locale. Furono anni felici ma comunque difficili, di riflesso alla complicata situazione politica data dal regime comunista. Così Pechino venne vissuta solo nel ghetto degli stranieri di San Li Tun. La tappa successiva furono gli Stati Uniti, più precisamente New York, dove Amélie frequentò il liceo francese e si appassionò alla danza classica che praticò per breve tempo. L'abbandono di New York coincise con la fine della sua infanzia e l'inizio del duro periodo adolescenziale.
Si trasferisce infatti in Bangladesh, nel paese più povero del mondo: qui conobbe l'anoressia («tra i 15 ed i 17 anni smisi di mangiare, il corpo sparisce poco a poco, assieme all'anima») che la marcò profondamente influenzando la sua produzione letteraria. (Biografia della fame). Il Bangladesh la costrinse a smettere la scuola che frequentò per corrispondenza e iniziò a cibarsi esclusivamente di libri. Qui si palesò il forte attaccamento per la sorella maggiore Juliette, «unica compagna della mia adolescenza» ("vivevamo in simbiosi...").

Giunse per la prima volta in Europa a 17 anni e si stabilì a Bruxelles con la famiglia. Nella capitale belga diceva di sentirsi «tanto straniata quanto straniera»; ivi si laureò in filologia classica alla Libera Università di Bruxelles, dove però non riuscì ad integrarsi. Laureatasi, decise di ritornare a Tokyo per approfondire la conoscenza della lingua giapponese studiando la «langue tokyoïte des affaires»: assunta come traduttrice in una enorme azienda giapponese, visse un'esperienza durissima (da traduttrice fu declassata a guardiana dei “cessi”), che raccontò in seguito nel libro Stupore e tremori, che riceverà il Grand Prix du Roman dell'Académie française.

Nel 1992 tornò in Belgio e pubblicò Hygiène de l'assassin (Igiene dell'assassino), origine del suo enorme successo letterario. Stabilitasi poi tra Parigi e Bruxelles, dedica 4 ore al giorno alla scrittura e pubblica, per scelta personale, un libro all'anno, alla fine di agosto. I suoi libri vengono tradotti e pubblicati dalle Edizioni Voland di Roma.

I suoi racconti sono prevalentemente autobiografici e la sua fonte di ispirazione è il suo percorso di vita. I suoi romanzi hanno venduto oltre 18 milioni di copie nel mondo.

Per chi desiderasse approfondire i miti di Elettra, Oreste ed Ifigenia

ANTEFATTO
Anni prima, all'inizio della spedizione per la Guerra di Troia, il condottiero dei greci Agamennone sacrificò ad Artemide sua figlia Ifigenia per permettere alla flotta di salpare. Infatti per un'azione sacrilega del re, la dea stava trattenendo in porto la flotta con venti contrari. Sua moglie Clitennestra non dimenticò mai il gesto e, divenuta nel frattempo l'amante di Egisto uccise il marito al ritorno dalla Guerra. 
 
TRAMA
Nel prologo si narra che Egisto, che era l'amante di Clitennestra, diede in sposa Elettra a un semplice contadino per evitare che vi fossero eventuali discendenti che potessero vendicare la morte di Agamennone. Tuttavia il contadino è un uomo nobile, se non di nascita almeno di spirito, e ha lasciato Elettra vergine per due motivi: innanzitutto perché la rispetta come donna di condizione superiore alla sua e in secondo luogo perché Egisto non aveva alcun diritto di darla in moglie. Alla morte del padre infatti, questo diritto spettava solo al fratello, quindi a Oreste.
Oreste nel frattempo torna in patria con Pilade, suo fedele amico, fingendosi un suo messo e dopo un lungo dialogo con Elettra viene riconosciuto dal vecchio pedagogo di suo padre, che l'aveva portato via dalla casa quando Egisto intendeva ucciderlo, perché pericoloso in quanto avrebbe potuto reclamare il trono per sé. Molto bella e importante la scena del riconoscimento.
Egisto tenta di uccidere Oreste, che viene salvato da un vecchio servo. Elettra riconosce il fratello ed assieme vendicano la morte del padre, uccidendo Egisto e Clitennestra. Il piano dell'uccisione è bipartito, Oreste, che odia principalmente Egisto, deve occuparsi di lui, mentre, grande novità, è Elettra stessa a occuparsi della madre. I due omicidi avvengono tramite l'inganno, in modo vergognoso. Egisto viene ucciso mentre si trova fuori dalla reggia per compiere con alcuni servi un sacrificio alle Ninfe: su consiglio del pedagogo, Oreste e Pilade si fingono Tessali, celeberrimi per la loro bravura nello squartare bestie da sacrificare, e Oreste, dopo che Egisto li ha invitati a partecipare al sacrificio e al banchetto, lo uccide a tradimento, alle spalle, non come in Eschilo, dove lo guardava direttamente negli occhi. Più subdolo il piano di Elettra, che invia il pedagogo da Clitennestra perché le dica che sua figlia ha appena partorito. La madre accorre, per aiutare Elettra con il bambino, ed è a questo punto che avviene l'omicidio. Entrambi gli omicidi sono molto crudeli, Egisto viene ucciso nel momento in cui dimostra la massima ospitalità nei confronti degli stranieri, diventando di fatto la vera vittima del suo stesso sacrificio, mentre Clitennestra viene uccisa in un momento in cui non mostra nemmeno un briciolo della crudeltà che Elettra le attribuisce normalmente, è solo una madre che va in aiuto della figlia che ha appena partorito. Oreste porta poi a Elettra il cadavere di Egisto, dicendole di farne ciò che vuole, dal momento che non è più sua schiava ma i ruoli si sono invertiti. I Dioscuri, Castore e Polluce, appaiono dopo l'assassinio di Clitennestra e profetizzano ai due fratelli le future disgrazie conseguenti a ciò che hanno fatto, ma alla fine Oreste verrà assolto dai suoi delitti ad Atene e Pilade sposerà Elettra. La tragedia termina con Oreste che fugge inseguito dalle Erinni.