Buongiorno lettori, passate le feste torna Marina, con una delle sue super recensioni.
E direi che con questa lettura, chiudiamo definitivamente l’anno 2020… oramai siamo agli sgoccioli di questo anno che ha del racconto di fantascienza – e per qualcuno della tragedia, purtroppo – e mi sembrava un appropriato tributo la lettura de:
Titolo: Letters al padre
Autore: Franz Kafka
Casa editrice: Feltrinelli, 2013
Traduzione: Claudio Groff
Pagine: 62
Trama: Mai come nella Lettera al padre, scritta nel novembre del 1919, affidata
alla madre senza tuttavia giungere al destinatario, Kafka ci ha dato un
ritratto così lucido di sé. E molti dei motivi che vengono toccati in
questa confessione anche spietata - primo fra tutti quello di "un
immenso senso di colpa" - non possono che ricordare i suoi personaggi
più famosi. Quello che qui viene messo in scena è un vero e proprio
conflitto. Figura che incarna un'autorità assoluta, che "ha l'aspetto
enigmatico dei tiranni, la cui legge si fonda sulla loro persona, non
sul pensiero"; agli occhi di Kafka il padre appare come il tipico
rappresentante di un mondo da cui egli invece si sente escluso: pratico,
utilitaristico, ben lontano dalle sue aspirazioni. Così, in pagine di
forte impatto emotivo, Kafka svela la sua natura di "figlio disederato" e
proscritto, non compreso nella vocazione di scrittore, inquieto e in
cerca di conferme quanto il suo avversario ostenta sicurezza. Nel saggio
posto in appendice Georges Bataille indaga in modo provocatorio sui
momenti di questa contesa. L'esperienza di Kafka diventa anche occasione
per interrogarsi sul senso ultimo della letteratura. Forse nessun altro
scrittore ha saputo mostrare come quel senso sia tutt'uno con la vita
stessa.
RECENSIONE:
Mi prefiguro che, data la premessa, Vi sareste aspettati la lettura de La metamorfosi, ma l’ho già abbandonato una volta – e solo ora dopo aver letto “Lettera al padre” ho capito la motivazione profonda, per un atto che mi accade raramente, cioè iniziare un libro e non avere la forza mentale e la volontà di portarlo a termine.
Ritorno un po’ indietro, nella sempre presente domanda che mi pongo prima di una lettura – per me – importante: è necessario conoscere la vita dell’autore, andare alla ricerca dei dettagli che hanno sicuramente avuto influenza sul suo scrivere, oppure è più sensato leggere scevri da qualsivoglia tentazione di spiegazione, di giustificazione della scrittura dell’autore? Ed ecco, questo è uno dei casi in cui a mio avviso è più che importante la lettura di questa specie di confessione, in forma di lettera segreta al padre, in cui si estrinsecano, oltre alle fragilità e ai problemi dello scrittore, anche il suo pieno genio artistico. In poche parole: le sue debolezze, la sua gloria.
Siamo nel 1919 quando Kafka scrive questa lettera. Ha trentasei anni e da poco ha scoperto di essere ammalato. Ha la tubercolosi, che di lì a 5 anni lo porterà alla morte.
Non voglio qui soffermarmi sulle presunte pruderie o sul suo frequentare bordelli ed avere varie relazioni, non si sa ancora bene se carnali o meno, vista la timidezza e il fatto che preferisse ascoltare, più che parlare. Ciò che insomma il suo migliore amico diceva di lui: “tormentato dal desiderio sessuale”. Ciò che mi interessa in questo momento è capire come un uomo di 36 anni, oramai adulto, non sia ancora riuscito ad affrancarsi dal padre. Le accuse che Franz lancia al padre, si possono sostanzialmente riassumere in un’educazione molto rigida ed autoritaria, anafettiva – da parte di un padre che gli era superiore in tutto. Nel fisico, nella mente, negli affari. E che disprezzava il figlio per la mancanza di forza interiore, atta a fargli prendere le responsabilità che al tempo doveva assumersi un uomo adulto. Eppure, anche quando Franz rinfaccia tutte queste cose al padre, rendendolo responsabile delle sue fragilità, del suo non essere in grado di affrontare le responsabilità economiche ed eventualmente familiari – e di non essere oltre a questo nemmeno in grado di fare il proprio dovere di uomo e di buon ebreo – ebbene, lo fa in modo sofferto ma al contempo semplice e lieve, senza ombra di affettazione e senza usare un tono patetico, pago quasi solo di poter sfogare il proprio rammarico, la propria indiscussa debolezza ed inferiorità nei confronti del padre.
Ed ecco che leggendo questa lunga lettera in cui emergono tutti i meccanismi disfunzionali dell’educazione del tempo, Franz verso la fine impersona anche la voce del padre che rimuove le accuse da sè stesso per rilanciarle al mittente di quel figlio che non è come lui, non è forte, potente, intelligente, attivo negli affari, in una parola non è intraprendente nei confronti della vita… Ed è proprio in questo frangente, leggendo questa appassionata lettera di un figlio al padre, che ritornano in mente gli echi dei suoi capolavori letterari, primo fra tutti per me “La metamorfosi”, dove ancora il dramma di un figlio non riconosciuto dal padre in un’angosciosa assenza di comunicazione tra i personaggi, porterà il protagonista Gregor Samsa a morire di inedia. E leggendo la Lettera, a fare paragoni tra il protagonista letterario e il suo stesso scrittore, stupendoci (in positivo o negativo dipenderà dal lettore stesso), per la pigra inattività di un Franz, che già adulto sembra ancora un fanciullo che cerca di ingannare i propri genitori, con sciocchi sotterfugi.
Resta forte per me l’impressione di un’educazione ricevuta da Franz ad inizi Novecento, che sembra rispecchiare quella che i miei genitori hanno subito dai loro genitori, figlia del tempo in cui hanno vissuto la loro fanciullezza, negli anni Sessanta del secolo scorso. Ne più ne meno. Con la sola differenza che la sofferenza in Franz sembra aver dato l’avvio a quei componimenti che ancor oggi si leggono come dei classici della letteratura.
Una lettura non facile, alle volte anche fastidiosa nel reiterarsi delle continue accuse lanciate da Franz al padre, ma che proprio per la passione e la veemenza con cui le accuse e le giustificazioni vengono pensate, dibattute e scritte fanno pensare ad un unico filo conduttore. Del resto, già l’incipit è dolorosamente commovente: “Mio caro papà…”
A presto, sperando in un anno migliore,
Mi prefiguro che, data la premessa, Vi sareste aspettati la lettura de La metamorfosi, ma l’ho già abbandonato una volta – e solo ora dopo aver letto “Lettera al padre” ho capito la motivazione profonda, per un atto che mi accade raramente, cioè iniziare un libro e non avere la forza mentale e la volontà di portarlo a termine.
Ritorno un po’ indietro, nella sempre presente domanda che mi pongo prima di una lettura – per me – importante: è necessario conoscere la vita dell’autore, andare alla ricerca dei dettagli che hanno sicuramente avuto influenza sul suo scrivere, oppure è più sensato leggere scevri da qualsivoglia tentazione di spiegazione, di giustificazione della scrittura dell’autore? Ed ecco, questo è uno dei casi in cui a mio avviso è più che importante la lettura di questa specie di confessione, in forma di lettera segreta al padre, in cui si estrinsecano, oltre alle fragilità e ai problemi dello scrittore, anche il suo pieno genio artistico. In poche parole: le sue debolezze, la sua gloria.
Siamo nel 1919 quando Kafka scrive questa lettera. Ha trentasei anni e da poco ha scoperto di essere ammalato. Ha la tubercolosi, che di lì a 5 anni lo porterà alla morte.
Non voglio qui soffermarmi sulle presunte pruderie o sul suo frequentare bordelli ed avere varie relazioni, non si sa ancora bene se carnali o meno, vista la timidezza e il fatto che preferisse ascoltare, più che parlare. Ciò che insomma il suo migliore amico diceva di lui: “tormentato dal desiderio sessuale”. Ciò che mi interessa in questo momento è capire come un uomo di 36 anni, oramai adulto, non sia ancora riuscito ad affrancarsi dal padre. Le accuse che Franz lancia al padre, si possono sostanzialmente riassumere in un’educazione molto rigida ed autoritaria, anafettiva – da parte di un padre che gli era superiore in tutto. Nel fisico, nella mente, negli affari. E che disprezzava il figlio per la mancanza di forza interiore, atta a fargli prendere le responsabilità che al tempo doveva assumersi un uomo adulto. Eppure, anche quando Franz rinfaccia tutte queste cose al padre, rendendolo responsabile delle sue fragilità, del suo non essere in grado di affrontare le responsabilità economiche ed eventualmente familiari – e di non essere oltre a questo nemmeno in grado di fare il proprio dovere di uomo e di buon ebreo – ebbene, lo fa in modo sofferto ma al contempo semplice e lieve, senza ombra di affettazione e senza usare un tono patetico, pago quasi solo di poter sfogare il proprio rammarico, la propria indiscussa debolezza ed inferiorità nei confronti del padre.
Ed ecco che leggendo questa lunga lettera in cui emergono tutti i meccanismi disfunzionali dell’educazione del tempo, Franz verso la fine impersona anche la voce del padre che rimuove le accuse da sè stesso per rilanciarle al mittente di quel figlio che non è come lui, non è forte, potente, intelligente, attivo negli affari, in una parola non è intraprendente nei confronti della vita… Ed è proprio in questo frangente, leggendo questa appassionata lettera di un figlio al padre, che ritornano in mente gli echi dei suoi capolavori letterari, primo fra tutti per me “La metamorfosi”, dove ancora il dramma di un figlio non riconosciuto dal padre in un’angosciosa assenza di comunicazione tra i personaggi, porterà il protagonista Gregor Samsa a morire di inedia. E leggendo la Lettera, a fare paragoni tra il protagonista letterario e il suo stesso scrittore, stupendoci (in positivo o negativo dipenderà dal lettore stesso), per la pigra inattività di un Franz, che già adulto sembra ancora un fanciullo che cerca di ingannare i propri genitori, con sciocchi sotterfugi.
Resta forte per me l’impressione di un’educazione ricevuta da Franz ad inizi Novecento, che sembra rispecchiare quella che i miei genitori hanno subito dai loro genitori, figlia del tempo in cui hanno vissuto la loro fanciullezza, negli anni Sessanta del secolo scorso. Ne più ne meno. Con la sola differenza che la sofferenza in Franz sembra aver dato l’avvio a quei componimenti che ancor oggi si leggono come dei classici della letteratura.
Una lettura non facile, alle volte anche fastidiosa nel reiterarsi delle continue accuse lanciate da Franz al padre, ma che proprio per la passione e la veemenza con cui le accuse e le giustificazioni vengono pensate, dibattute e scritte fanno pensare ad un unico filo conduttore. Del resto, già l’incipit è dolorosamente commovente: “Mio caro papà…”
A presto, sperando in un anno migliore,