Buongiorno lettori, oggi è venerdì e torna Marina con una recensione.
Considerato il periodo difficile, magari potevo scegliere un argomento più lieto della Seconda Guerra Mondiale. Ma questa volta il punto di vista di un soldato tedesco mi ha attirata. Nonostante il periodo, appunto.
È con Il treno era in orario (1949) che, da scrittore semisconosciuto, Heinrich Böll divenne improvvisamente un caso letterario.
Reduce dalla guerra, non volle "parlare d'altro", e con i suoi scritti costrinse i connazionali a rituffarsi nella grande tragedia che li aveva travolti. Senza togliere nulla alla plumbea realtà di quei giorni, Böll la fece tuttavia lievitare e le diede un senso attraverso una forte carica di poesia, tanto più impressionante quanto più aliena da ogni intento edificante. A questo primo scritto fa da ideale pendant Il pane dei verdi anni, del 1955, che presenta invece il vivido ritratto di una Germania speranzosa e attivista, già avviata verso il miracolo economico.
Innanzitutto mi ha colpito il fatto che questa sia l’opera prima di un grande scrittore e che soprattutto sia stata pubblicata già nel 1949, a pochissimi anni dalla fine della Guerra. Un romanzo smilzo, in verità, ma di cui la critica si accorge subito. Lascio agli esperti il divagare fra poetica e stilema, a me interessa di più la curiosa storia di una corsa ineluttabile verso la morte. E del racconto dentro la Germania, fatto pensare ad un soldato tedesco che fa parte della nazione che ha messo in mortifero scacco tutto il mondo e che si sta accorgendo che tutto intorno a sé si sta sgretolando e che la vittoria portata avanti per anni e propagandata gli sta crollando addosso.
E’ infatti la storia di una “tradotta militare” che riporta al fronte tre soldati tedeschi, reduci da una breve licenza a casa, in Germania, dove oramai fame, disperazione e bombardamenti sono diventati un inferno quotidiano. Anche lì.
Se teniamo a mente i modelli che letterariamente hanno fatto da mentore a Heinrich Böll, possiamo comprendere ancor meglio il breve romanzo e cogliere tutti gli aspetti peculiari di questo intenso racconto di guerra. Soprattutto l’autore sarà debitore a Dostoevskij per il “rovello morale e religioso, la rappresentazione amorosa degli umili e della loro conculcata dignità” e a Hemingway per “la lezione antiretorica e lo star aderente ai fatti”.
Protagonista è Andreas, un soldato in rientro da una licenza, che sin da subito ha un’unica certezza: non sa ancora esattamente in quale punto della tradotta militare che lo sta riportando sul fronte orientale, ma sa con certezza che la sua vita terminerà a breve, probabilmente subito dopo la città di Leopoli e quindi a distanza di qualche giorno, e prima ancora che possa imbracciare nuovamente il fucile (che tra l’altro ha scordato a casa del suo amico). Non siamo sicuramente in presenza del soprannaturale, ma sono convinta che in determinate circostanze – e la guerra con il rischio costante della vita è di certo una di queste – possa acuire certe sensazioni e sensibilità, quando non sfoci addirittura in acute nevrosi.
Gli altri due comprimari che diverranno via via più presenti man mano che il treno avanza nella sua corsa mortale verso oriente sono Willi, che torna al fronte dopo aver scoperto che la moglie lo ha tradito con un prigioniero russo e il Biondo, ridotto ad un rottame umano dalla vergogna e dal disprezzo verso se stesso per essere stato oggetto di violenta sodomia da parte di un sottufficiale.
L’altro protagonista è proprio il treno, che è ambiente dell’incontro dei tre soldati che stringono amicizia ed insieme veicolo della sensazione di fine imminente e ancora voce del destino che all’approssimarsi della meta, lascerà la scena ad Olina, la pianista e prostituta polacca, che regalerà ad Andreas una delle notti più belle e sarà portatrice di rappacificazioni con il suo passato e veicolo essa stessa per un destino già segnato ed annunciato.
In guisa diversa dal consueto utilizzo che se ne fa nei romanzi, altri temi classici della “poetica” di Böll fanno già capolino qui: l’amore fisico e spirituale, la religione cristiana nel senso più spirituale del termine e l’indignazione per tutto ciò che è ingiusto e criminale, sia nel mondo sociale che politico. E, vista anche la sua personale e dura esperienza nella guerra nazista, non poteva scegliere esempio più empio e infame come partenza per denunciare tutti gli orrori a cui egli stesso dovette, credo, soggiacere.
Credevo, date le premesse, che si trattasse di un romanzo nero, duro da leggere, difficile da portare avanti. Ed invece i temi cari a Böll gli hanno permesso di scrivere un racconto in molte parti addirittura gradevole oltre che interessante, pur considerando sempre dove ci troviamo. Inoltre, con questo reiterato pensiero di morte, nel lettore si fa strada la convinzione di elementi e momenti di sorpresa, che accrescono notevolmente l’attesa per gli sviluppi della trama. Ed inoltre l’amicizia fra i tre uomini, la condivisione di cose e situazioni nei giorni trascorsi in viaggio sul treno, la possibilità di un ultimo pasto luculliano nonostante il periodo e la visita al bordello, hanno reso possibile all’autore di non soffermarsi solo sulle mere brutture della guerra, pur facendo intravvedere luoghi e persone in Polonia che sono la controfigura, se vogliamo, a molte altre popolazioni dell’Europa devastata del periodo.
Un romanzo che grazie anche alla sua brevità, mantiene una levità di lettura concentrata e che non lascia sprofondare nel nero dell’abiezione cui può giungere il genere umano, con un Böll che, a differenza di altri grandi autori italiani, riesce a parlare con disprezzo della guerra e che si fa così cantore e voce della memoria per le future generazioni.