martedì 29 dicembre 2020

Letture con Marina #113 - Lettera al padre di Franz Kafka

Buongiorno lettori, passate le feste torna Marina, con una delle sue super recensioni.


E direi che con questa lettura, chiudiamo definitivamente l’anno 2020… oramai siamo agli sgoccioli di questo anno che ha del racconto di fantascienza – e per qualcuno della tragedia, purtroppo – e mi sembrava un appropriato tributo la lettura de:


Ti
tolo: Letters al padre
Autore: Franz Kafka
Casa editrice: Feltrinelli, 2013
Traduzione: 
Claudio Groff
Pagine: 62
 
Trama: Mai come nella Lettera al padre, scritta nel novembre del 1919, affidata alla madre senza tuttavia giungere al destinatario, Kafka ci ha dato un ritratto così lucido di sé. E molti dei motivi che vengono toccati in questa confessione anche spietata - primo fra tutti quello di "un immenso senso di colpa" - non possono che ricordare i suoi personaggi più famosi. Quello che qui viene messo in scena è un vero e proprio conflitto. Figura che incarna un'autorità assoluta, che "ha l'aspetto enigmatico dei tiranni, la cui legge si fonda sulla loro persona, non sul pensiero"; agli occhi di Kafka il padre appare come il tipico rappresentante di un mondo da cui egli invece si sente escluso: pratico, utilitaristico, ben lontano dalle sue aspirazioni. Così, in pagine di forte impatto emotivo, Kafka svela la sua natura di "figlio disederato" e proscritto, non compreso nella vocazione di scrittore, inquieto e in cerca di conferme quanto il suo avversario ostenta sicurezza. Nel saggio posto in appendice Georges Bataille indaga in modo provocatorio sui momenti di questa contesa. L'esperienza di Kafka diventa anche occasione per interrogarsi sul senso ultimo della letteratura. Forse nessun altro scrittore ha saputo mostrare come quel senso sia tutt'uno con la vita stessa.
 

 
RECENSIONE: 


Mi prefiguro che, data la premessa, Vi sareste aspettati la lettura de La metamorfosi, ma l’ho già abbandonato una volta – e solo ora dopo aver letto “Lettera al padre” ho capito la motivazione profonda, per un atto che mi accade raramente, cioè iniziare un libro e non avere la forza mentale e la volontà di portarlo a termine.

Ritorno un po’ indietro, nella sempre presente domanda che mi pongo prima di una lettura – per me – importante: è necessario conoscere la vita dell’autore, andare alla ricerca dei dettagli che hanno sicuramente avuto influenza sul suo scrivere, oppure è più sensato leggere scevri da qualsivoglia tentazione di spiegazione, di giustificazione della scrittura dell’autore? Ed ecco, questo è uno dei casi in cui a mio avviso è più che importante la lettura di questa specie di confessione, in forma di lettera segreta al padre, in cui si estrinsecano, oltre alle fragilità e ai problemi dello scrittore, anche il suo pieno genio artistico. In poche parole: le sue debolezze, la sua gloria.

Siamo nel 1919 quando Kafka scrive questa lettera. Ha trentasei anni e da poco ha scoperto di essere ammalato. Ha la tubercolosi, che di lì a 5 anni lo porterà alla morte.

Non voglio qui soffermarmi sulle presunte pruderie o sul suo frequentare bordelli ed avere varie relazioni, non si sa ancora bene se carnali o meno, vista la timidezza e il fatto che preferisse ascoltare, più che parlare. Ciò che insomma il suo migliore amico diceva di lui: “tormentato dal desiderio sessuale”. Ciò che mi interessa in questo momento è capire come un uomo di 36 anni, oramai adulto, non sia ancora riuscito ad affrancarsi dal padre. Le accuse che Franz lancia al padre, si possono sostanzialmente riassumere in un’educazione molto rigida ed autoritaria, anafettiva – da parte di un padre che gli era superiore in tutto. Nel fisico, nella mente, negli affari. E che disprezzava il figlio per la mancanza di forza interiore, atta a fargli prendere le responsabilità che al tempo doveva assumersi un uomo adulto. Eppure, anche quando Franz rinfaccia tutte queste cose al padre, rendendolo responsabile delle sue fragilità, del suo non essere in grado di affrontare le responsabilità economiche ed eventualmente familiari – e di non essere oltre a questo nemmeno in grado di fare il proprio dovere di uomo e di buon ebreo – ebbene, lo fa in modo sofferto ma al contempo semplice e lieve, senza ombra di affettazione e senza usare un tono patetico, pago quasi solo di poter sfogare il proprio rammarico, la propria indiscussa debolezza ed inferiorità nei confronti del padre.

Ed ecco che leggendo questa lunga lettera in cui emergono tutti i meccanismi disfunzionali dell’educazione del tempo, Franz verso la fine impersona anche la voce del padre che rimuove le accuse da sè stesso per rilanciarle al mittente di quel figlio che non è come lui, non è forte, potente, intelligente, attivo negli affari, in una parola non è intraprendente nei confronti della vita… Ed è proprio in questo frangente, leggendo questa appassionata lettera di un figlio al padre, che ritornano in mente gli echi dei suoi capolavori letterari, primo fra tutti per me “La metamorfosi”, dove ancora il dramma di un figlio non riconosciuto dal padre in un’angosciosa assenza di comunicazione tra i personaggi, porterà il protagonista Gregor Samsa a morire di inedia. E leggendo la Lettera, a fare paragoni tra il protagonista letterario e il suo stesso scrittore, stupendoci (in positivo o negativo dipenderà dal lettore stesso), per la pigra inattività di un Franz, che già adulto sembra ancora un fanciullo che cerca di ingannare i propri genitori, con sciocchi sotterfugi.

Resta forte per me l’impressione di un’educazione ricevuta da Franz ad inizi Novecento, che sembra rispecchiare quella che i miei genitori hanno subito dai loro genitori, figlia del tempo in cui hanno vissuto la loro fanciullezza, negli anni Sessanta del secolo scorso. Ne più ne meno. Con la sola differenza che la sofferenza in Franz sembra aver dato l’avvio a quei componimenti che ancor oggi si leggono come dei classici della letteratura.

Una lettura non facile, alle volte anche fastidiosa nel reiterarsi delle continue accuse lanciate da Franz al padre, ma che proprio per la passione e la veemenza con cui le accuse e le giustificazioni vengono pensate, dibattute e scritte fanno pensare ad un unico filo conduttore. Del resto, già l’incipit è dolorosamente commovente: “Mio caro papà…”


A presto, sperando in un anno migliore,




lunedì 14 dicembre 2020

Recensione #379 - Furore di John Steinbeck

Buonasera lettori, oggi vi parlo di un libro a cinque stelle, il libro per ora migliore del 2020. Si tratta di Furore di John Steinbeck edito da Bompiani, pag. 637.

Trama: Pietra miliare della letteratura americana, "Furore" è un romanzo pubblicato negli Stati Uniti
nel 1939 e coraggiosamente proposto in Italia da Valentino Bompiani l'anno seguente. Il libro fu perseguitato dalla censura fascista e solo ora, dopo più di 70 anni, vede la luce la prima edizione integrale, nella nuova traduzione di Sergio Claudio Perroni. Una versione basata sul testo inglese della Centennial Edition dell'opera di Steinbeck, che restituisce finalmente ai lettori la forza e la modernità della scrittura del Premio Nobel per la Letteratura 1962. Nell'odissea della famiglia Joad sfrattata dalla sua casa e dalla sua terra, in penosa marcia verso la California, lungo la Route 66 come migliaia e migliaia di americani, rivive la trasformazione di un'intera nazione. L'impatto amaro con la terra promessa dove la manodopera è sfruttata e mal pagata, dove ciascuno porta con sé la propria miseria "come un marchio d'infamia". Al tempo stesso romanzo di viaggio e ritratto epico della lotta dell'uomo contro l'ingiustizia, "Furore" è forse il più americano dei classici americani, da leggere oggi in tutta la sua bellezza.
 
 
Ho preso in mano Furore con una grandissima paura, a causa della consapevolezza di trovarmi davanti ad un mostro sacro della letteratura americana. Con i romanzi così non si sa mai cosa aspettarsi, perché a volte i colossi lo sono perché una delle loro caratteristiche è essere , per i più, incomprensibili.
Non è questo il caso.
 

venerdì 11 dicembre 2020

Letture con Marina #112 - Recensione de L'investigatore olistico Dirk Gently di Douglas Adams

Buongiorno lettori, un altro venerdì è giunto e insieme a lui, lo sapete ormai, arriva Marina con una nuova recensione.


Sono di parte, lo so, ma vi siete mai fermati a pensare al contributo che la letteratura inglese ha dato – e continua a dare – alla produzione letteraria mondiale? E quanta parte della cultura gialla / poliziesca deve i suoi natali a scrittori britannici? Nell’Olimpo, due nomi per tutti: Agatha Christie e Arthur Conan Doyle. Sicuramente nelle sue intenzioni, Douglas Noel Adams non avrebbe pensato di rientrare tra i grandi scrittori inglesi e chissà…

Ti
tolo: L'investigatore olistico Dirk Gently
Autore: Douglas Adams
Casa editrice: Feltrinelli, 1996
Traduzione:
Andrea Buzzi
Pagine: 294
 
Trama: Dirk Gently è un detective disastroso e disastrato, che fin dall'epoca del college dice alla gente di essere un ciarlatano. I suoi clienti sono rari e dunque cerca di far quadrare il bilancio con altre attività. Soprattutto sfruttando il dono della veggenza, avuto in eredità da genitori transilvanici. Quando ha a che fare con un caso difficile, fa uso di ogni mezzo, complicando sempre più la matassa. In questo caso, cosa possono avere in comune un gatto morto, un bimbetto mago di computer, un Monaco Elettrico che crede che il mondo sia rosa, la meccanica quantistica, Samuel Taylor Coleridge e una pizza? Molte cose, come dimostrerà il nostro investigatore.
 

 
RECENSIONE: 

Parecchi accadimenti inconsueti e particolari colpiscono il lettore, mentre è impegnato a non farsi gabbare da Adams, se è vero che ogni qualvolta si è in odore di giallo o poliziesco, si presume che l’autore non voglia farci scoprire il colpevole o quantomeno il movente, che è sempre il deus ex-machina di tutta la vicenda. Va detto innanzitutto che quest’Adams è il papà di “Guida Galattica”, per chi non avesse ancora collegato l’autore. Fortunatissima commedia radiofonica a puntate trasmessa dalla BBC Radio 4 nel 1978 e da lui sceneggiata, prima di essere poi trasposta sempre da Adams in una serie di romanzi, di cui il primo della serie è “Guida Galattica per gli Autostoppisti”, del 1979. Penso non serva aggiungere altro perché, anche se non letta, è universalmente conosciuta e le citazioni che provengono da quest’opera sono copiose. Come di consueto, essendo questo un capolavoro (diventato di culto per la generazione che ha contribuito alla nascita di Internet e del Web), trasforma le altre opere dell’autore in un qualcosa di diverso, facendole considerare secondarie rispetto all’opera prima e di subitaneo successo. Eppure in questo specifico caso non è così. Sicuramente le battute, le gag esilaranti e gli strampalati personaggi sono scoppiettanti nella Guida come nei purtroppo troppo pochi libri dedicati all’investigatore Dirk Gently. Ciò nonostante, proprio perché a questo professionista della disciplina olistica sono stati dedicati solo due romanzi (il terzo, appena abbozzato, è rimasto tristemente incompiuto a causa della prematura scomparsa di Adams all’età di soli 49 anni), forse un lettore preferisce dedicare la sua attenzione alla Guida Galattica, che consta di diversi volumi e che quindi non lascia a bocca asciutta, non appena ci si è appassionati ed affezionati ad un personaggio.

Ma venendo a Dirk Gently, o a Svlad Cjelli, sempre che uno dei due nomi sia quello giusto dato che a Dirk piace cambiare nome, possiamo dire che è alquanto strano che il protagonista compaia quasi a metà del romanzo? Tanto che inizialmente e poi proseguendo il romanzo, si tende a credere che il suo ex compagno di studi universitari, Richard McDuff, programmatore di una certa fama per aver creato un software che converte numeri gestionali e grafici in musica, sia il vero protagonista. E all’inizio, pensarlo non sarebbe proprio del tutto sbagliato, in quanto la vicenda ruota proprio intorno a lui, alla sua fidanzata, la violoncellista Susann, al rivale in amore Michael e a Gordon, che è il fratello della sua fidanzata e che per fatalità è anche il suo capo, il ricco fondatore e proprietario della WayForward Technologies. Se poi ci mettiamo in mezzo un divano ben incastrato sulle scale che portano all’appartamento di Richard, un cavallo che compare misteriosamente in bagno del suo ex tutor al college e un Monaco elettrico, per non parlare del poeta Samuel Taylor Coleridge, ecco che abbiamo ambientazione, personaggi, colpevole, movente. Storia. E l’autore è così intelligente, ironico e sdegnoso di creare un altro investigatore che vada ad ingrossare le fila della gloriosa tradizione anglosassone dei Grandi Investigatori, che non shakera semplicemente gli ingredienti per servirci un tiepido aperitivo, ma ci abbaglia con un fantasmagorico romanzo, creando un drink nuovo e di gran classe.

Ed è proprio a romanzo avanzato che Dirk Gently, come preferisce farsi chiamare al momento, investigatore impegnato a cercare gatti con il suo metodo induttivo/deduttivo olistico, mentre la oramai non più paziente segretaria minaccia e mette in atto il totale abbandono del proprio posto lavorativo, che l’investigatore – che al momento sta osservando con il binocolo i dintorni - scorge un losco quanto inesperto figuro scalare la facciata di un edificio per introdursi in un appartamento. Salvo poi scoprire quasi subito che il poco dignitoso ladro altri non è che Richard, suo ex compagno di studi universitari. Che si sta introducendo a casa della propria fidanzata dalla parte sbagliata, dato che ha le chiavi dell’appartamento di lei. Perché? Forse perché “il punto importante è la sostanziale interconnessione di tutte le cose” e quindi la scalata di Richard può essere interconnessa all’uscita dei quotidiani del giorno successivo e alla morte del suo capo? E quindi per Dirk può essere l’occasione per svincolarsi dal suo logoro lavoro di cerca gatti di anziane signore? O c’è dell’altro che collega i due uomini, forse la richiesta la sera precedente dell’ex tutor di college di Richard, di trovare Svlad Cjelli?

I 36 capitoli che si susseguono sono un puzzle divertente, sempre venato da ironia ed humor britannici, che a tratti si vena di sana follia e ci fa sorridere apertamente e che intercala il giallo alla fantascienza e alla ghost-story, non disdegnando l’amore per la musica e la poesia, passando per un naturalismo di denuncia e in cui tra l’altro gli appassionati sia della serie del dottor Who che dei Monty Phyton possono cogliere somiglianze, sia per le gags comiche che per la comicità acutamente intellettuale (pur se messa a disposizione in termini fruibili dalla massa), con uso innovativo di tematiche di genere classico (l’inversione del credo investigativo di Holmes) e con autoreferenze (la Guida) e numerosi riferimenti culturali. Un appunto poi che ho letto da qualche parte, paragona Dirk ai colleghi e protagonisti di hard-boiled… nel modo di fare, nell’essere sempre appassionati del proprio lavoro seppur squattrinati – nel modo magari anche di trattare le donne, o le proprie segretarie. E devo dire che avendo appena letto un’avventura del famoso Philip Marlowe, questo qualcosa di somiglianza l’ho colto.

Ciò che Richard non sospetta e che invece Dirk arguisce per grazia di interconnessioni e di una conversazione con un ragazzetto, è che, tra una pizza fredda, una lunga registrazione sulla segreteria telefonica e l’ira della violoncellista Susan, i due amici e Reg, il tutor universitario, saranno chiamati a salvare il mondo. Mentre un’irata Susan – appunto - dimenticata per l’ennesima volta dallo svagato Richard, ci metterà del suo, convincendo il rivale in amore a portarla fuori ed innescando così una bomba ad orologeria che il lettore che avrà la compiacenza di seguire l’autore nella declinazione di tutte le sfaccettature delle vicende interconnesse, avrà la possibilità di gustare, fino alla detonazione. Che diversamente da altri autori, Adams ha il coraggio di far esplodere sin dall’inizio. Buon divertimento!
 
A presto




venerdì 4 dicembre 2020

Letture con Marina #111 - Recensione combinata di Uomini e troll di Selma Lagerlöf e Fiabe lapponi a cura di B.Berni

Buon pomeriggio lettori, in questo primo venerdì di dicembre Marina ci lascia non una, ma ben due recensioni. Cosa aspettate? Correte a leggere!


Se penso al motivo per cui sono nate e proliferate le fiabe, le leggende, le storie in generale, mi viene anche da pensare con tristezza che il tipo di aggregazione e di meraviglia che c’erano un tempo sono scomparsi. Gruppi di lettura reali oppure on-line non possono competere con la motivazione di un tempo. O no?
 Ti
tolo: Uomini e troll 
Autore: Selma Lagerlöf
Casa editrice: Iperborea, 2018
Traduzione: 
E. Lodigiani,  A. Berardini
Pagine: 140
 
Trama: I reami della fantasia e le pieghe più sottili dell'animo umano: è tra questi due orizzonti che si muove l'affascinante universo narrativo di Selma Lagerlöf. Che racconti di creature fatate dei boschi o di avventure quotidiane che si colorano di leggenda, che si ispiri a personaggi storici, alle misteriose forze della natura o al ricco immaginario popolare del Nord, ogni storia di questa raccolta è un'indagine poetica sull'uomo, le sue paure, il suo destreggiarsi tra desideri e disillusioni. Il giovane calzolaio che ruba un pugno di terra dal cimitero per ritrovarsi accanto uno spirito servitore; il patto tra il folletto protettore di una fattoria e il padrone che si è giocato tutto il podere ai dadi; le antiche credenze sui troll che scambiano i bambini nella culla e occupano le malghe abbandonate nei mesi invernali; la parabola di Mathilda Wrede, baronessa che abbandona ogni agio e ogni ricchezza per votarsi all'assistenza e riabilitazione dei carcerati. Attingendo alla vivace tradizione orale della sua terra, la grande scrittrice svedese riprende storie imparate nell'infanzia e tramandate per generazioni e le trasforma in perle letterarie di dirompente modernità e grazia narrativa, che avvolgono in atmosfere epiche e fiabesche una fine riflessione sulla condizione umana. E rifiutando ogni ricetta morale e rassicurante lieto fine, si interroga sull'eterno confronto tra realtà e immaginazione, ricerca spirituale e superstizione, uomini e troll.
 

 Ti
tolo: Uomini e troll 
A cura di: B. Berni
Casa editrice: Iperborea, 2014
Traduzione: 
E. Lodigiani,  A. Berardini
Pagine: 192
 
Trama: L'incanto del "c'era una volta" nelle più remote terre del Nord. In questa antologia di fiabe e leggende rivive il patrimonio di tradizioni, miti e credenze di quella che per lungo tempo è rimasta una minoranza etnica isolata. Un mondo di magie e metamorfosi, di foreste stregate, cavalcate nella neve in sella alle renne e grandi laghi attraversati sugli sci, dove la fantasia si combina con la realtà quotidiana e le usanze ancestrali. Un mondo in cui cacciatori e pescatori sfidano gli spiriti della terra in cerca di fortuna, salvano principesse rapite da demoni, affrontano prove per conquistare regni al di là del mare, destreggiandosi tra gli agguati dei giganti e gli inganni di orchi goffi. Primo volume di una serie dedicata alle fiabe scandinave, "Fiabe lapponi" attinge direttamente alle prime raccolte scritte nell'Ottocento, quando l'Europa, sulla scia dei fratelli Grimm, riscopriva il valore letterario di questo racconto orale. Riscoperta che soprattutto per la Lapponia ha rappresentato anche una ricerca delle radici culturali e della propria indipendenza linguistica. Espressione di una saggezza popolare a volte amara, derivata dalle dure lezioni della natura e della storia, ogni fiaba riserva qualche sorpresa, un crudo colpo di scena, un lieto fine mancato ma lasciando il dovuto spazio ai sogni e al gusto del narrare, racconta l'errare umano attraverso una smaliziata ironia.
 
RECENSIONE: 

Perché voler parlare ed accostare insieme due libri simili, eppure così profondamente diversi?

Parto sempre dal presupposto che personalmente non riesco ad apprezzare i libri per l’infanzia e per ragazzi, pur tentando ripetutamente – ed in un certo qual modo il perduto senso di meraviglia mi sembra potrebbe essere recuperato, se non da questi, almeno da queste raccolte che parlano di tradizioni, leggende… fiabe del tempo “contadino” che fu. Un po’ perché ci raccontano di un mondo molto distante dal nostro, un po’ perché per la stessa ragione, è un mondo che non c’è più – salvo forse qualche sperduto villaggio non visitato ancora dal vivere che oggi per noi è una normalità. E se non altro per queste motivazioni, dovrebbe scaturire quel desiato senso di meraviglia che nei lettori giovanissimi è insito e che invece in lettori più adulti, ahimè, è necessario stimolare con arguzia e sotterfugi.

Anche il solo pensare a non più di cento anni fa, quando il mondo umano era in una più stretta relazione con il mondo animale e la vita era completamente diversa da questi nostri tempi così tecnologici, ci riporta ad alcuni dei racconti che Iperborea ha raccolto per noi in questi due libri. Se poi pensiamo, come suggerisce la stessa casa editrice, che le tradizioni orali non sono molto antiche come manufatto scritto, ecco che la meraviglia dovrebbe coglierci prima ancora di leggere anche solo uno dei racconti. E devo dire che personalmente, l’idea che delle persone nell’Ottocento – e ciò vale anche per il premio Nobel, la svedese Selma Lagerlöf - abbiano raccolto delle tradizioni orali o abbiano attinto alle stesse per produrre questi capolavori, più che meravigliarmi mi commuove. E più ancora che negli scritti della Lagerlöf, mi fa riflettere la lettura delle storie narrate in “Fiabe Lapponi”, perché se anche poco conosco questo popolo, mi viene fatto di pensare, aiutata in questo sempre dalla casa editrice, che per questa popolazione si è trattato anche, oltre alla bellezza dell’ascoltare la propria cultura e tradizione vestite a festa in storie da potersi leggere ed ascoltare senza dipendere da un oratore, di una “ricerca delle radici culturali e della propria indipendenza linguistica”.

Dopo questa intimistica e per forza di cose, breve premessa del perché in fondo mi sia appassionata a questi mondi nordici, freddi ed allo stesso tempo indomiti, mi ritrovo a dover riassumere ancor più brevemente questa doppia serie di racconti… Dalla doppia raccolta della maestra elementare, poi premio Nobel, la svedese Selma, possiamo dire che non solo ha raccontato storie attinte dal mondo dell’immaginario e delle creature fatate della tradizione svedese, ma che la scelta della casa editrice ha premiato anche brevi biografie di personaggi reali o eventi che mettono in luce atteggiamenti e debolezze della società dell’epoca. E ricordiamo che la Lagerlöf ha calcato la scena della vita dal 1858 al 1940! Fra le diverse narrazioni, leggiamo e ci spaventiamo per bimbi umani e troll scambiati, per folletti che tutelano i beni di famiglia, per uomini irrequieti, tipo Kalle Frykstedt che diventa pastore d’anime nonostante i vizi e le sbornie, animi che si scaldano al pensiero dei giovani che lasciano il paese, porgendoci la mano per un’attualità ancora tristemente di moda – ed ancora leggiamo il racconto del calzolaio Krus Erik Ersson che esprime il desiderio di possedere uno “spirrtus”, un servitore sui generis che si potrebbe avere solo rubando un po’ di terra di sepoltura… Oppure nel 1912, “un quadro al museo di Helsinki attira la sua attenzione. Ritrae Mathilda Wrede, nobildonna che ha votato la sua esistenza alla cura dei carcerati”.

E poi, e poi arriva la copertina di “Fiabe Lapponi”, con una volpe in primo piano – ed allora già so che la battaglia è persa. Non è da tanto che ho letto “La signora trasformata in volpe” (David Garnett) e a voler continuare potrei citare Lawrence… Seppur lo scorso anno ero assediata dagli scoiattoli – e chissà quindi il prossimo anno da quale animale fantastico mi farò avvincere. Ma tornando al tema… Qui ci sono quasi una trentina di racconti, alcuni tristi, alcuni che finiscono meravigliosamente, almeno per i giganti, altri paurosi a causa delle mangiatrici d’uomini, ma con un finale addirittura rosa e classico nella religiosità che aiuta l’uomo a vincere il maleficio, o ancora il classico della fanciulla che cercava i suoi fratelli… Non c’è che l’imbarazzo della scelta e quindi ci immergiamo in queste letture antiche, che nonostante la lontananza ci parlano ancora di temi tristi come l’espatrio, o amorevoli nelle vicissitudini familiari.

Sono sicuramente racconti, in entrambi i libri, che si leggono come bere una sorsata di acqua fresca… ma attenzione, dovrete fate come il giovane Gille Folkesson, che ha fatto voto di non bere mai l’acqua stregata di Kyrkviken. O no? A voi la sceta!
 
A presto




martedì 1 dicembre 2020

Super lettori all'arrembaggio - Book challenge 2021 - Iscrizioni

 

Carissimi, eccoci tornate con una nuova e spumeggiante sfida di lettura! Non contente di esserci complicate la vita lo scorso anno, quest'anno abbiamo deciso di osare di più...siete pronti?


Avete schierate davanti a voi una Desperate Bookswife, Ombretta, Daniela e Sonia cariche e armate con i pugnali in mezzo ai denti decise a battagliare per 12 mesi alla conquista della vittoria. 

COSA SUCCEDE QUEST'ANNO? 

Ci sono tre vascelli, ognuno capitanato da una corsara, seguita a sua volta da un nostromo.

LA PERLA NERA, capitanata da Ombretta 

LA JOLLY ROGER, capitanata da Daniela 

L'OLANDESE VOLANTE, capitanata da Baba 

Nell'iscrizione vi chiederemo di comunicarci i vostri due generi letterari preferiti, se avete un profilo instagram e indicativamente (esclusi imprevisti o blocchi) quanti libri in media leggete mensilmente, in modo da riuscire a smistarvi con equilibrio nelle varie navi. Se non l'avete capito sarà un sfida di gruppo dove anche noi capitane daremo il nostro apporto!

E se vi state chiedendo "Cosa fa Sonia?" Lei si occuperà di mostri...e sono tutti cavoli vostri, insomma il cattivo della situazione! 

Ma veniamo al dunque, che qui già ci perdiamo in ciance. 

 COME SI GIOCA?

Le tappe sono mensili, quindi dodici tappe in un anno. 

Dopo l'iscrizione ogni partecipante verrà arruolato come mozzo in una nave pirata (una delle tre sopra citate) e dovrà giurare pubblica fedeltà al proprio capitano, elogiandone l'estetica, la cultura letteraria e la simpatia dichiarando di non fare ammutinamento! AH AH AH AH STIAMO SCHERZANDO (più o meno). 

Ogni mese vi daremo 5 obiettivi e una mappa. Ogni libro che leggerete vi farà accumulare punti (10 punti ogni 100 pagine) e il vostro punteggio sarà sommato a quello di tutti i componenti del vascello. Al raggiungimento di alcuni step che vi comunicheremo a sfida iniziata la barchetta avanzerà sulla mappa. Troverete isolotti, mostri, imprevisti... Non c'è un limite di pagine da leggere, ognuno può leggere tutti i libri che vuole in un mese, legati a qualunque obiettivo di quelli assegnati. 

Passiamo alla mappa. I vostri singoli punteggi si sommeranno con quelli dei vostri compagni di vascello e a ognuna delle vostre navi sarà richiesta la contabilità dei punteggi da parte del Nostromo, capirete questo meccanismo una volta che avrete davanti agli occhi la mappa, è più difficile scriverlo che farlo una volta iniziato il gioco sarà tutto più chiaro e in ogni caso le vostre Capitane saranno sempre a disposizione per tutti i chiarimenti.

E cosa facciamo noi TRE? Noi avremo la possibilità di leggere un massimo di tre libri mensili che si accumuleranno alla fine del mese ai vostri punti totali! Bello eh! 

Ogni mese il vascello che raggiungerà il punteggio più alto vincerà una fiasca di Rum (gli altri acqua salata...) e il punteggio verrà azzerato a tutti per ripartire da zero il mese successivo. Vincerà la sfida finale il vascello più ubriaco (ovvero chi avrà accumulato più fiasche di Rum in dodici mesi). 

Cosa fanno i NOSTROMI? Questa figura l'abbiamo pensata per aiutarci nel lavoro di coordinazione, ci aiuterà a tenere i punti del proprio vascello, ad avvisarci al raggiungimento di un traguardo, insomma coordinerà  mozzi e marinai e farà da portavoce. Rappresentanti di classe venite a noi!! Può rimanere sempre lo stesso oppure potrete variare ogni mese, basta che entro un giorno dall'inizio del mese voi lo comunichiate al vostro Capitano. 


COME SI INSERISCONO I PUNTI? DOVE SI MANDANO LE RECENSIONI? 

Quest'anno abbiamo pensato di pugnalare il format Google e di provare a facilitarvi/ci la vita con il gruppo Facebook. Esiterà appunto un Gruppo dedicato alla challenge (cliccare QUI per richiedere l'accesso) all'interno del quale inserirete la recensione o il link nel caso la vogliate scrivere altrove e dovrete allegare il titolo, numero di pagine, obiettivo, la foto e tassativamente l'# che vi comunicheremo. Ci sarà un foglio Drive di riepilogo con il vostro nome e i punti ottenuti che gestiremo noi. 

COME FACCIO A PARTECIPARE?

- Vi chiediamo di commentare questo post e compilare il format che utilizziamo solo per l'iscrizione, in caso di malfunzionamento potrete contattarci e scrivere sotto al post le informazioni richieste (Nome, email, due generi letterari preferiti, quanti libri approssimativamente leggete al mese,se possedete un profilo Instagram). 




COSA SI VINCE? 

Niente...la gloria! Sceglieremo le lettrici che ci hanno colpito di più del Vascello che ha accumulato più casse di Rum, ma sarà qualcosa di artigianale e senza un valore commerciale. In realtà l'obiettivo è quello di trascorrere insieme un piacevole anno parlando di libri e speriamo che questo 2021 sia meno tragico del precedente!
Vi aspettiamo numerosi!!

lunedì 30 novembre 2020

Recensione #379 - Donnafugata di Costanza DiQuattro

Buongiorno lettori, ultimo lunedì di novembre che ci porta, più velocemente di quanto mi sarei aspettata, verso la fine di questo anno infausto. Per cominciare bene la settimana e concludere il mese, vi lascio la recensione del libro Donnafugata di Costanza DiQuattro edito da Baldini+Castoldi - che ringrazio per la copia - pag. 208.

Trama: Donnafugata è un luogo, a due passi da Ragusa, tra carrubi secolari, muri a secco e
campagna scoscesa. Donnafugata è un tempo, l'Ottocento, tra dominazione borbonica, moti di fierezza popolare e alba della dignità operaia. Donnafugata è un casato, tra i più antichi di Ibla, che di quella terra e quei giorni incarna gioie, patimenti e futuro. Alla sua testa c'è lui, il barone Corrado Arezzo De Spucches, di cui il libro è quasi un diario privato: da quando, ginocchia sbucciate e balia Annetta appresso, scappava bambino da don Gaudenzio e quella camurria del suo rosario; agli anni in cui, ragazzo, compie gli studi a Palermo e lì fa sua la voglia di rivoluzione; a quelli in cui, marito, padre e poi nonno, vive e invecchia «circondato dalle fimmini», amandole tutte teneramente e sopravvivendogli con il cuore spaccato. Prefazione di Giuseppina Torregrossa.
Un amore viscerale mi lega alla Sicilia - la terra di mia madre - e difficilmente riesco a girarmi dall'altra parte quando sulla mia strada trovo un romanzo ambientato in quei luoghi. E non ho potuto farlo neanche con Donnafugata.

venerdì 27 novembre 2020

Letture con Marina #110 - Recensione di Io sono Zelda di Andrew David MacDonald

Buon pomeriggio lettori, un altro venerdì è giunto e insieme a lui, lo sapete ormai, arriva Marina con una nuova recensione.


Devo aver colto una “conversazione” tra una scrittrice ed un editore forse. Ma nonostante io abbia anche cercato, non sono riuscita a trovare traccia dello scambio di battute su questo romanzo, che nonostante sia un’opera prima, ha ricevuto entusiastici riscontri. E come di consueto, nonostante anche la copertina esteticamente molto accattivante di cui i colori sono parte portante, almeno fino a metà romanzo la mia partecipazione come lettrice è stata tiepida. Assai. Ma ad un certo punto, quando i problemi si sono fatti più concreti e reali e la presentazione dei personaggi si è esaurita su se stessa, ecco che finalmente la meraviglia e l’interesse hanno fatto capolino…
 
Titolo: Io sono Zelda
Autore: Andrew David MacDonald
Casa editrice: Sperling & Kupfer, 2020
Traduzione:
Alda Arduini
Pagine: 368
 
Trama: «Non serve essere perfetti per diventare eroi.» Per Zelda MacLeish «il mondo è un posto dove le cose che contano di più sono il coraggio e far parte di una tribù, in cui siamo tutti vichinghi che remano insieme al ritmo dello stesso tamburo». Zelda adora i vichinghi: ne conosce a memoria tradizioni e miti, ne ammira il coraggio e la possibilità che offrivano a tutti di diventare eroi di una leggenda. Anche alle donne (le valchirie erano più forti di tutti). Anche alle persone quasi invisibili come lei. Zelda è invisibile perché è diversa, che, come è solita spiegare, «è un modo più carino per dire ritardata». È nata con un disturbo cognitivo per il quale gli altri non la ritengono in grado di decidere per se stessa, anche se ormai ha ventun anni e ha le idee molto chiare sulla vita, che organizza rigorosamente in liste da seguire. A prendersi cura di lei è Gert: il suo fratello, il suo guerriero, l'unica famiglia che le resti. Gert è bravissimo a sopravvivere alle battaglie della vita, ma anche a mettersi nei guai. Così, quando Zelda scopre che il fratello ha trovato un metodo discutibile e pericoloso per guadagnare i soldi necessari a mantenere entrambi, decide di prendere in mano la situazione. Ben presto, si ritroverà alle prese con una sfida che metterà a dura prova il suo coraggio vichingo e si scoprirà disposta a tutto pur di scrivere da sola la sua leggenda. Anche ad andare contro le regole, se si tratta di salvare la sua tribù. "Io sono Zelda" è il primo romanzo di Andrew MacDonald.
 

 
RECENSIONE: 
 
Avevo accennato anche a Daniela, che gentilmente mi ospita da qualche anno nel suo blog, che arrivata a circa metà romanzo, non avevo ancora capito perché tanto entusiasmo per questo libro. Nonostante sia narrato in prima persona dalla protagonista, Zelda, non mi stava prendendo. Ho letto scorrevolmente la parte iniziale che di solito serve a presentare un po’ i personaggi, prima che questi prendano il volo e continuino il loro viaggio senza sentire troppo l’ingerenza dell’autore. Eppure niente, piacevole e nulla più. Tra l’altro devo dire che quando un libro tratta di un deficit personale, qui una persona “speciale”, o come si diceva fino ad un ventennio fa circa, ritardata – oppure in generale una qualsiasi patologia, a me sembra che la vicenda che l’autore costruisce, nonostante la fantasia, resti sempre ancorata a quel dato argomento, potendosi discostare molto poco e rischiando molto spesso di restare ancorata a clichè oramai triti. E questo romanzo pareva percorrere il medesimo abbrivio.

E invece a circa metà strada la vicenda si è trasformata. Siamo ancora in compagnia di una ragazza di ventuno anni che ha problemi, dovuti ad esposizione fetale ad alcool. Siamo ancora in compagnia di Gert, il fratello maggiore che ha sempre cercato di proteggerla dal mondo cattivo da cui provengono, facendo ad un certo punto più male che bene, sia a lei che a se stesso. Siamo sempre in compagnia della ex-fidanzata di Gert, una super-eroina un po’ fuori dalla realtà, che sbarca il lunario facendo l’autista di pulmini. E siamo sempre nello stesso mondo che l’autore ci ha presentato, anche se mi pare che mai ci dica esattamente in che città ci troviamo. Non che questo abbia in realtà grande importanza.  

Però qualcosa ad un certo punto cambia. Non siamo più in presenza di una bambinona di ventun anni con le sue liste e regole da rispettare, con le sue fantasie sui vichinghi. O meglio, non solo. Zelda è sempre lei naturalmente, solo che sta cercando di cambiare. Lo sta facendo con le pulsioni di una giovane donna che vuole un uomo accanto a sé per vivere quell’esperienza sensoriale che il corpo in gioventù reclama e che più tardi si modifica al fine di formare una famiglia (o perlomeno l’istinto è quello, anche se poi capisce che il suo fidanzato non potrà mai essere al suo livello di capacità, in quanto più “menomato” di lei). Lo sta facendo perché il ritardo cerebrale che ha subito non è così consistente da non farle vedere e desiderare l’indipendenza, la facoltà di poter decidere della sua vita in piena autonomia, soprattutto quando si rende conto che il suo capo-tribù, il fratello Gert, prende decisioni sbagliate per cercare di proteggere i suoi cari, cioè lei stessa, Zelda. Lo sta facendo perché si rende conto che il fratello Gert non rispetta le regole che insieme si sono dati, prima fra tutti la promessa di non mentirsi mai.

E’ la vita vera e non ovattata che il fratello vorrebbe per lei, che irrompe nella vita di Zelda. Con tutti i problemi, le banalità, le cattiverie, le esperienze nuove, le fregature che la vita reale, quotidiana, ti riserva. Ma è proprio in questo preciso momento che il romanzo si eleva al di sopra di quella minestrina riscaldata che è stato nella prima metà. La cosa che mi è piaciuta molto, essendo poi di natura melanconica, è che l’autore non ha edulcorato il tutto in situazioni che si concludevano in rosa o positivamente. Il che avrebbe reso il tutto piuttosto banale e privo di senso. Qui in questo spaccato di vita, lo scrittore ci presenta la realtà nelle sue sfaccettature. Qualche volta ci sono risvolti positivi, qualche volta si cade – e qualche volta si è così fortunati che anche cadendo ci si sbuccia solo un ginocchio, invece che rompersi l’osso del collo. Ed è quanto accade qui.

Un aspetto fondamentale e che viene portato continuamente all’attenzione del lettore è la differenza tra Zelda ed il fratello maggiore Gert. Partono entrambi svantaggiati per la situazione familiare ed economica in cui vivono. Ma Zelda, pur avendo problematiche importanti, evolve come persona, tra gli alti e bassi della vita, mentre il fratello Gert, pur con le più buone intenzioni ed il cuore votato per la sorella, non evolve mai dalla sua situazione, restando almeno fino alla fine del libro un debole, che non coglie l’occasione di imparare dai propri errori e che ha sempre bisogno di una persona forte al suo fianco che lo sorregga. E anche il personaggio della sua ex fidanzata, molto amica di Zelda, che ad un certo punto si rimette insieme a Gert, alla fine del romanzo, dopo un’avventura che metterà a repentaglio la sua vita e quella di Zelda, imporrà a se stessa una scelta che le rende onore e che solleva ancora di più questo romanzo, dando una prospettiva ed uno spessore a queste vite che una scelta diversa avrebbe invece affossato.

Ci piace concludere prendendo a prestito le parole di Zelda: «Non serve essere perfetti per diventare eroi. Il mondo è un posto dove le cose che contano di più sono il coraggio e far parte di una tribù, in cui siamo tutti vichinghi che remano insieme al ritmo dello stesso tamburo.»
 
A presto




mercoledì 25 novembre 2020

Gruppo di lettura - La canzone di Achille di Madeline Miller - Tappa 1

 

 

 
Buongiorno lettori belli, come state? Oggi Ombre di Carta, Desperate Bookswife e Io siamo qui per proporvi un gruppo di lettura di un libro decisamente famoso e conosciuto. Probabilmente la maggior parte di voi lo avrà letto, sono anni che se ne parla poiché l'autrice ha fatto il boom di vendite grazie a Circe e le persone ovviamente hanno recuperato anche il romanzo precedente, ovvero questo di cui parliamo oggi.

Titolo:
  La canzone di Achille
Autore: Madeline Miller
Genere: Romazo storico
Pubblicazione: 10 gennaio 2019 - Feltrinelli
Pag.: 382
Costo: 11,00 € cartaceo - 7,99 ebook

Descrizione: Dimenticate Troia, gli scenari di guerra, i duelli, il sangue, la morte. Dimenticate la violenza e le stragi, la crudeltà e l'orrore. E seguite invece il cammino di due giovani, prima amici, poi amanti e infine anche compagni d'armi - due giovani splendidi per gioventù e bellezza, destinati a concludere la loro vita sulla pianura troiana e a rimanere uniti per sempre con le ceneri mischiate in una sola, preziosissima urna. Madeline Miller, studiosa e docente di antichità classica, rievoca la storia d'amore e di morte di Achille e Patroclo, piegando il ritmo solenne dell'epica alla ricostruzione di una vicenda che ha lasciato scarse ma inconfondibili tracce: un legame tra uomini spogliato da ogni morbosità e restituito alla naturalezza con cui i greci antichi riconobbero e accettarono l'omosessualità. Patroclo muore al posto di Achille, per Achille, e Achille non vuole più vivere senza Patroclo. Sulle mura di Troia si profilano due altissime ombre che oscurano l'ormai usurata vicenda di Elena e Paride.

Noi non sappiamo se c'è ancora qualcuno che debba affrontare questo volume, magari siamo rimaste solo noi tre...povere tapine, ma se qualcuno tra di voi ha rimandato la lettura delle avventure eroiche di Achille e compagnia cantante allora è il momento giusto, noi lo sappiamo, fidatevi!

Da oggi sono aperte le iscrizioni, basterà lasciare il vostro indirizzo email nei commenti e vi arriverà un promemoria il giorno in cui uscirà la tappa.

REGOLAMENTO:

- commentare questo post in caso di adesione.

- seguire tutte le tappe (nel caso rimaneste indietro potrete sempre recuperare).

- potrete diventare nostri follower cliccando "segui", ci farà piacere, ma non deve essere un obbligo. Non arrivano newsletter o spam.

- potrete seguirci sul profilo Instagram poichè uscirà la tappa del gruppo di lettura anche lì, quindi se siete più comodi potrete decidere di commentare il nostro post su IG (prima tappa da unlibroperamico_dany, seconda tappa da ombredicarta e la terza tappa da desperate_bookswife ) oppure scattare voi una foto, scrivere un commento sotto al vostro post taggandoci. Quindi per intenderci, assoluta libertà di movimento!

CALENDARIO TAPPE:

Giovedì 12 novembre: iscrizioni

Mercoledì 25 novembre: discussione prima parte sul blog "Un Libro per amico" fino al capitolo 11 compreso, ovvero fino a pagina 122.

Mercoledì 2 dicembre: discussione seconda parte sul blog "Ombre di carta" fino al capitolo 22 compreso, ovvero fino a pagina 246.

Mercoledì 9 dicembre: discussione terza parte sul blog "Desperate Bookswife" da pagina 247 - inizio capitolo 23- fino alla fine del libro.

ATTENZIONE SPOILER:

Patroclo ci trascina subito nella storia grazie ad una narrazione in prima persona che avvicina il lettore a storie di miti e dei.
Ci racconta di sé, della sua famiglia - una madre disturbata e un padre che mai ha avuto per il figlio pensieri di grandezza -, dei suoi primi anni nel regno e di come, a causa di un diverbio spinse con impeto e fece perdere la vita a Clitonimo. A causa dell'incidente, quando è solo un bambino, tutto per lui cambia perché viene esiliato a Ftia, perdendo il suo titolo di principe, il suo cognome e la sua famiglia. A Ftia conosce Achille, che già aveva notato durante i giochi nel suo regno.
Achille è un semidio, figlio di Peleo e della dea Teti, ninfa del mare, che da questo venne violentata e che divenne sua moglie solo per il tempo di avere il bambino.
Da subito per Patroclo la benevolenza di Peleo verso i ragazzi esiliati si rivela per quello che è: creare in futuro un grande esercito di giovani in debito con lui.
Achille attira subito la sua attenzione ma mai si sarebbe immaginato che anche lui lo notasse e lo scegliesse per essere il suo therapon, il suo compagno, un compagno d'armi legato a lui da un giuramento di sangue e amore.
Sin dai primi incontri, Patroclo guarda Achille come l'oggetto del suo desidero ma non si capisce se il ragazzo condivida il suo pensiero, finché i due si baciano in riva al mare e vengono visti da Teti, che non approva assolutamente il gesto e manda Achille lontano, da Chirone, un centauro, che vive sul monte Otri in mezzo ai boschi, lontano dal regno di Peleo. Patroclo ovviamente lo segue perché non può stare senza di lui e da quel momento assistiamo alla vita dei due sotto la guida del centauro che dovrebbe insegnargli tutto ciò che sa. I due diventano sempre più complici e iniziano a carpire i segreti del centauro.
Sinceramente, ringrazio che la scrittura sia scorrevole perché altrimenti avrei buttato questo libro dalla finestra. Perché? Perché mi aspettavo un romanzo storico e fino ad ora mi è sembrato di trovarmi per le mani un romance tandente all'erotico. Ma sono solo a un terzo e comunque gli lascio il beneficio del dubbio...
Cosa mi fa dire tutto questo?
La tensione carnale che c'è tra i due è sempre presente, forse - anzi tolgo il forse - troppo. Come se Patroclo dai nove ai sedici anni non sapesse fare altro che guardare Achille con la bava alla bocca. Ogni volta che ci racconta un suo pensiero è focalizzato sui capelli lucenti dell'altro, sui suoi muscoli sudati, sui suoi piedi affascinanti, rendendo la cosa quasi esasperante, per quanto mi riguarda.
E non bastano le poche righe di leggende mitologiche che ogni tanto vengono inserite qua e là per farmi credere di avere per le mani un romanzo storico solido e puntuale.
Sarà che leggo questo libro dopo L'architettrice, un romanzo storico "con le palle", e questo mi sembra fin troppo banale, fin troppo scialbo.
E, badate bene, non sono una puritana eh...
Ma di certo non mi aspetto che in un libro del genere quello che emerga prepotentemente non sia la forza sovraumana di Achille e la sua velocità ma solo la carica sessuale che il suo corpo emana agli occhi dell'altro. E non hanno quarant'anni suonati, ma dai 9 ai 15 anni. E va bene che magari è l'età della scoperta sessuale ma qui Patroclo, dal primo momento in cui incontra Achille, sembra non pensi ad altro, e questo dettaglio mi ha reso la situazione un po' meno credibile. E poi, ma era veramente necessario raccontarmi dell'auto-piacere che Patroclo si produce seduto appoggiato ad una pianta pensando ad Achille? Cosa mi dà ai fini della storia?
Ma arriviamo al clou, è il giorno del sedicesimo compleanno di Achille quando i due scoprono che Teti non riesce a vedere quello che fanno sui monti quindi... Viaaaaaa, si copula come due ricci famelici, più e più e più volte.
Ma sempre lo stesso giorno Achille viene richiamato a Palazzo perché il re, suo padre, vuole parlare al popolo e vuole che lui sia presente. I due partono e a palazzo trovano ad accoglierli Teti, oltre al padre.
Agamennone ha richiesto l'aiuto del regno. Elena, la moglie di Menelao è stata rapita da Paride e vuole creare un esercito per liberarla ed espugnare Troia. Tutti i pretendenti di Elena saranno costretti a partecipare alla guerra e, udite udite, Patroclo è uno di questi visto che all'età di 9 anni il padre lo aveva offerto a Elena come sposo. Achille deve decidere se guidare l'esercito, d'istinto non vorrebbe partecipare come non vorrebbe che Patroclo fosse obbligato a farlo ma fa una promessa: se Patroclo sarà obbligato ad andare, andrà con lui.
Che dire... Questa prima parte per me è bocciata, e spero sinceramente che la solfa cambi, ora che la questione si anima, perché altrimenti non troverò in questo libro la meraviglia di cui tutti parlano.
Che mi dite voi? Avete un'altra chiave di lettura? Vi prego spiegatela anche a me così che io possa vedere tutto sotto un'altra luce e trovi in questo libro la meraviglia di cui tutti parlano.

Per oggi è tutto, ci ritroviamo la prossima settimana sul blog Ombre di carta per discutere fino a pagina 246, capitolo 22 compreso.
 

 

lunedì 23 novembre 2020

Recensione #378 - L'architettrice di Melania G. Mazzucco

Buongiorno carissimi, buon lunedì. Passato bene il weekend? Io, in perfetto mood zona rossa, mi sono goduta due giorni in famiglia fatti di libri, di torte fatte in casa, di sorrisi e di lentezza, cercando di trovare il meglio da questo periodo che ci sta mettendo a dura prova. Voi cosa avete fatto? Oggi vi parlo di un libro che ccredo rimarrà tra i miei preferiti dell'anno. Si tratta di L'architettrice di Melania G. Mazzucco edito da Einaudi, pag. 568.

Trama: Giovanni Briccio è un genio plebeo, osteggiato dai letterati e ignorato dalla corte:
materassaio, pittore di poca fama, musicista, popolare commediografo, attore e poeta. Bizzarro cane randagio in un'epoca in cui è necessario avere un padrone, Briccio educa la figlia alla pittura, e la lancia nel mondo dell'arte come fanciulla prodigio, imponendole il destino della verginità. Plautilla però, donna e di umili origini, fatica a emergere nell'ambiente degli artisti romani, dominato da Bernini e Pietro da Cortona. L'incontro con Elpidio Benedetti, aspirante scrittore prescelto dal cardinal Barberini come segretario di Mazzarino, finirà per cambiarle la vita. Con la complicità di questo insolito compagno di viaggio, diventerà molto più di ciò che il padre aveva osato immaginare. Melania Mazzucco torna al romanzo storico, alla passione per l'arte e i suoi interpreti. Mentre racconta fasti, intrighi, violenze e miserie della Roma dei papi, e il fervore di un secolo insieme bigotto e libertino, ci regala il ritratto di una straordinaria donna del Seicento, abilissima a non far parlare di sé e a celare audacia e sogni per poter realizzare l'impresa in grado di riscattare una vita intera: la costruzione di una originale villa di delizie sul colle che domina Roma, disegnata, progettata ed eseguita da lei, Plautilla, la prima architettrice della storia moderna.
 
 
Ho letto diversi libri di questa autrice, alcuni assolutamente adorati, uno totalmente detestato, ma mai l'avevo letta in veste di scrittrice di romanzi storice e, che dire? Tanto di cappello perchè è una veste che le calza a pennello.

martedì 17 novembre 2020

Recensione #377 - Ogni giorno ha il suo male di Antonio Fusco

Buonasera lettori, oggi vi parlo di un libro che da tantissimo tempo occupava un posto nella mia libreria. Si tratta di Ogni giorno ha il suo male di Antonio Fusco edito da Giunti, pag. 240.

Trama: La sonnacchiosa provincia toscana di Valdenza è improvvisamente scossa dall'omicidio di una
donna che viene ritrovata in casa, in una posizione innaturale e con una fascetta stringicavo attorno al collo. Si pensa subito al movente passionale, ma all'occhio esperto di Casabona, il commissario incaricato del caso, qualcosa fin da subito non quadra: troppi elementi diversi sulla scena del crimine, troppi particolari contrastanti. Schivo, ma con una forte carica umana, reso cinico da troppi anni di mestiere alle spalle, Casabona capisce ben presto che l'omicidio è solo l'inizio di un vortice di morte: un gioco molto pericoloso in cui le regole sono quelle stringenti e folli di un serial killer. E Casabona non può che accettare la sfida. «Chiediti perché e troverai il movente e se troverai il movente sarai vicino all'assassino»: seguendo questa frase come un mantra e con l'aiuto dell'affascinante collega Cristina Belisario, Casabona cercherà di venirne a capo e per farlo sarà obbligato anche a una profonda riflessione sull'impotenza dell'essere umano rispetto alle conseguenze delle proprie azioni.Un romanzo da non perdere. Un commissario che non si dimentica.
 
 
Primo volume di quella che con il tempo è diventata la famosissima serie del Commissario Casabona. Lo volevo leggere da un sacco di tempo e finalmente è arrivato il suo momento.

venerdì 13 novembre 2020

Letture con Marina #109 - Recensione di Morte di una sirena di Rydahl & Kazinski

Buon pomeriggio lettori, un altro venerdì è giunto e insieme a lui, lo sapete ormai, arriva Marina con una nuova recensione.



Mi chiedevo: cosa attira di più i lettori in questi ultimi anni? Mistero, crime, polizieschi, personaggi in odor di letteratura... E qui troviamo tutto quello che può creare curiosità ed istigare alla lettura. E noi chi siamo? Lettori! E ci tireremo indietro? Giammai!!!

 
Titolo: Morte di una sirena
Autore: Rydahl & Kazinski
Casa editrice: Neri Pozza, 2020
Traduzione: 
Eva Kampmann
Pagine: 448
 
Trama: Copenaghen, 1834. Anna lavora in una zona della città dove le botti d’acquavite prendono fuoco per strada, i panettieri vendono pretzel infilati sui bastoni, i marinai ballano tra di loro e i mendicanti e i ladri si aggirano senza sosta. Per provvedere alla Piccola Marie, la figlia di sei anni, riceve fino a tarda ora uomini ubriachi ed eccitati che non le chiedono nemmeno il nome, le strappano i vestiti di dosso e la prendono.
Una sera viene condotta a forza in una casa elegante e, davanti a una grande porta spalancata sul mare, qualcuno pone fine alla sua giovane vita. Il suo corpo viene ritrovato nell’immondezzaio della città, il canale dove si raccolgono tutti i rifiuti di Copenaghen. Un corpo bellissimo con gli occhi chiusi, ma con i capelli che, come quelli di una sirena, scintillano di conchiglie.
«L’uomo dei ritagli»… l’assassino non può essere che lui. Molly, la sorella minore di Anna, ne è sicura: soltanto un dissoluto può recarsi nell’appartamento di una prostituta e starsene tutto il tempo su una panca a contemplarla e a realizzare ritagli di carta che le somigliano. Ne è convinto anche il questore: il responsabile dell’infelice decesso non può essere che lo scrittorucolo con la passione per carta e forbici, l’uomo che è stato visto uscire per ultimo dall’appartamento della vittima.
«L’uomo dei ritagli»… si chiama Hans Christian Andersen ed è o, meglio, vorrebbe essere uno scrittore; tutti i tentativi per diventarlo sono però miseramente falliti, stroncati senza esitazione dai critici. Non fosse per la protezione dell’influente signor Collin, che lo ha spedito in collegio, ha pagato la retta e lo ha introdotto nel bel mondo, sarebbe immediatamente incriminato di omicidio e condotto nelle patrie galere per essere poi punito con vedrebbe volentieri decapitato e sulla ruota, ma, dato il peso dei Collin in città e persino sulla corona, deve scacciare per il momento la visione e offrire ad Andersen un’ultima chance: tre giorni, soltanto tre giorni per trovare altri colpevoli. Se non salteranno fuori, Hans Christian Andersen si trasformerà da scrittore povero in canna in assassino.
 

 
RECENSIONE: 


Intrigante l’idea dei due scrittori di creare un crime, miscelando fiaba, mistero, l’Ottocento più nero nel biancore di una Copenhagen divisa fra ricchezza sfrenata e povertà assoluta- e tirando in ballo un Hans Christian Handersen, quando ancora doveva diventare il cantore dei bambini.

Siamo a Copenhagen, Danimarca, Anno del Signore 1834. Anna e Molly, due mondane, o più comunemente definite prostitute. Piccola Marie, figlia di Anna e futura eroina tragica. Hans Christian Handersen, un uomo dalla statura e dal naso che spiccano nella sua figura allampanata e poco affascinante. Un uomo che è arrivato ragazzino nella capitale sperando in fama e fortuna, ma che sopravvive modestamente grazie alla “carità” mascherata di alcuni gentiluomini in vista nella capitale danese. Lussuria, degenerazione, povertà al limite della privazione totale, mancanza di igiene personale e fogne a cielo aperto, pandemie micidiali come la peste, incendi devastanti: questo è il periodo in cui i due autori ci chiedono di seguirli, per dare la caccia ad un assassino spietato che miete le sue vittime fra povere donne, prostitute e lavandaie, nascondendosi così bene che un innocente rischia di essere condannato a morte per omicidi che non ha commesso. Ed è proprio Hans Christian, futuro scrittore famoso, ma al momento poco considerato dal suo scarso pubblico, che viene indicato da Molly come il depravato assassino dell’amata sorella Anna.

Da qui inizia una caccia che metterà Hans Christian e Molly, prima nemici giurati e poi compagni per necessità, sulle tracce dell’assassino e sulla strada di principi e principesse. Solo dopo aver socchiuso la porta di quel mondo, osceno tanto quanto quello povero da cui provengono, si rendono conto, filosoficamente Hans Christian e realmente Molly, che alle cariche importanti della città e al re non interessa nulla del popolo, non è l’affrancamento dalla povertà, la libertà ed una vita migliore che i regnanti vogliono per i propri sudditi, ma una selva schiumante di servitori ottusi che non pensa, non chiede, non desidera – ma che serve e rimane schiava per l’eternità, solo per il piacere dissoluto di pochi eletti.

Per arrivare a questo risultato, che è già la fine del romanzo, dovremo vedere, pensare e vivere momenti poco piacevoli ed edificanti insieme a Molly e Hans Christian. Una sequenza di avventure che dapprima non fanno pregustare la speranza, ma che verso metà del romanzo si fanno più movimentate ed ariose, salvo farci precipitare nella nera disperazione verso la fine del romanzo. La prima metà del romanzo è lenta e troppo descrittiva e forse ancor più per il tono distaccato usato dagli scrittori, viene vissuta dal lettore come noiosa. Anche se serve per presentare ed accompagnare lungo tutto il romanzo la personalità del futuro scrittore. Dopo la prima metà del romanzo, come detto, l’azione si fa più movimentata e sembra prendere quella vita che nella prima parte è latitante, vuoi anche per le ingiuste ed orribili morti e forse per la descrizione – seppur necessaria ed interessante - in cui versa la città di Copenhagen. La parte finale è necessariamente – e sottolineo il necessariamente – trita nella sua banale ovvietà e forse proprio per questo perde gran parte di quel pathos che gli autori intendevano sicuramente dare alle ultimissime pagine del romanzo. Ma ciò che mi è spiaciuto maggiormente è stata la motivazione – assai deludente – attribuita all’assassino per ciò che ha fatto. Bada bene, lettore che ha già letto il romanzo: non intendo deludente per ciò che bramava l’assassino, ma la motivazione principe per cui ha scelto di fare ciò che ha fatto. Simpatici (ma nulla di più), avendo per protagonista l’affabulatore principe dei bambini, i diversi riferimenti e rimandi alle varie favole da lui scritte e che si sposano a meraviglia con alcuni personaggi e situazioni.

Tendo raramente ad intromettermi in un’altra delle domande più retoriche a cui è dato pensare: consiglieresti la lettura di questo romanzo? Ma questa volta voglio espormi e quindi la mia risposta onesta è un “NI”. Ritengo che valga sempre la pena leggere romanzi che ci diano l’occasione di rinverdire o approfondire conoscenze di autori che si conoscono realmente poco, nonostante la notorietà mondiale. O di conoscere meglio città, anche se di un secolo diverso dal nostro. Il crime in quanto tale, pur se con soprese via via che scorrono le pagine, è già metà svelato, per la scelta fatta dagli autori di far parlare da subito l’assassino ed accompagnarlo, come lettori, nelle sue barbare ed orripilanti scorribande. D’altra parte, l’epilogo avrebbe potuto essere tragicamente epico ed elevare così l’intero romanzo. Ed invece, inevitabilmente a mio parere, le ultime pagine precipitano in un pietismo da piagnisteo, più che da eroe che si innalza sopra la fogna dell’umanità e che sente l’inchiostro scorrere nelle vene, dalla tensione rabbiosa dell’ingiustizia. E quindi l’afflato della promessa: “verrà raccontata, gli abitanti della terra lo devono sapere” risulta floscio e privo di qualsiasi forza eroica. Peccato, a mio avviso le premesse c’erano tutte, perché l’idea principale era decisamente intrigante.
 
A presto