mercoledì 31 marzo 2021

Recensione #388 - Io e te di Niccolò Ammaniti

Buongiorno lettori, fine mese, le sfide si fanno calde, quindo torno oggi con una nuova recensione. Quella di Io e te, di Niccolò Ammaniti, edito da Einaudi, pag. 116.


Trama:
Barricato in cantina per trascorrere di nascosto da tutti la sua settimana bianca, Lorenzo, un quattordicenne introverso e un po' nevrotico, si prepara a vivere il suo sogno solipsistico di felicità: niente conflitti, niente fastidiosi compagni di scuola, niente commedie e finzioni. Il mondo con le sue regole incomprensibili fuori della porta e lui stravaccato su un divano, circondato di Coca-Cola, scatolette di tonno e romanzi horror. Sarà Olivia, che piomba all'improvviso nel bunker con la sua ruvida e cagionevole vitalità, a far varcare a Lorenzo la linea d'ombra, a fargli gettare la maschera di adolescente difficile e accettare il gioco caotico della vita là fuori. Con questo racconto di formazione Ammaniti aggiunge un nuovo, lancinante scorcio a quel paesaggio dell'adolescenza di cui è impareggiabile ritrattista. E ci dà con Olivia una figura femminile di fugace e struggente bellezza.

 
Ho letto questo libro per caso, cercavo qualcosa che potesse essere utile alla challenge che organizzo e a cui partecipo. Avevo un solo giorno per leggere quindi mi serviva qualcosa di breve ma che potesse rapire (perché mica è detto che i libri brevi siano veloci!).
Ho trovato questo libro e mi ci sono buttata a capofitto. Adoro Ammaniti da sempre, i suoi libri riesco a leggerli in pochissimo tempo perché le sue storie mi coinvolgono totalmente, da sempre! So che molti invece lo detestano e questo aspetto della lettura mi affascina sempre.
Ma torniamo al romanzo.

Letture con Marina #127 - Recensione di I re della truffa di Sara Paretsky

Buongiorno lettori, non ci siamo rimbambite, sappiamo che non è venerdì ma... sorpresaaaaaaaaa| Torna Marina con la sua recensione.


40 anni sulle spalle e non sentirli, se non per l’enorme passo avanti che la tecnologia ha fatto dagli anni Ottanta del secolo scorso. Una detective hard-boiled, che incatena dalla prima all’ultima pagina, nonostante questo sia il primo romanzo della Paretsky:


Ti
tolo: I re della truffa
Autore: Sara Paretsky
Casa editrice: Minimum fax, 2020
Pagine: 336
Traduzione: Luca Briasco

Trama: Figlia di un poliziotto polacco e di una donna italiana, V.I. Warshawski ha una piccola agenzia di investigazioni nel cuore di Chicago. Quando un certo John Thayer la contatta per ritrovare la fidanzata del figlio Peter, Warshawski crede di trovarsi davanti a un caso facile, da sbrigare in un paio di giorni. Ma le bastano poche ore di lavoro per trovare Peter assassinato, scoprire che l’uomo che l’ha ingaggiata non si chiama John Thayer e che dietro l’omicidio c’è un sindacalista poco pulito, una compagnia di assicurazioni compiacente e un gangster che non esita a farla aggredire e pestare per impedirle di ficcare il naso dove non dovrebbe. In questo romanzo del 1982, Sara Paretsky inventa un personaggio irresistibile, erede al femminile dei grandi detective hard boiled Sam Spade e Philip Marlowe. Dura e ostinata, sarcastica e pronta a tutto pur di arrivare alla verità, circondata da uomini che, decisi a proteggerla, spesso finiscono per metterla in guai ancora peggiori, Warshawski percorre senza sosta le strade di una città spietata e crudele, amandola e odiandola ogni giorno di più.
 
RECENSIONE:   


Uscito nella prima metà degli anni Ottanta del secolo scorso, “I re della truffa” è il primo romanzo di Sara Paretsky con protagonista V.I. Warshawski, forse la prima detective hard-boiled, nata dalla necessità della sua autrice di creare una donna diversa, che non avesse le solite caratteristiche che fino a quel momento grossi autori del calibro di Raymond Chandler e di Dashiell Hammet, due fra i più famosi, avevano dato alla figura femminile. Esemplare l’esclamazione di Jessica Rabbit: “Io non sono cattiva. E’ che mi disegnano così…” Nello specifico, come puntualizza la Paretsky nella sua introduzione al volume per i festeggiamenti del trentennale della sua eroina, “più leggevo i vari Chandler, Hammet, i due McDonald, McGee, Archer e Woolrich, più i personaggi femminili mi mettevano a disagio. A crearmi problemi era il modo in cui la sessualità delle donne dettava la loro capacità di agire e le loro facoltà di giudizio”.

Victoria Iphigenia Warshawski, Vic, orfana di padre poliziotto polacco e di madre italiana appassionata d’opera, nasce in una grigia giornata di ottobre a Chicago, durante una riunione della Paretsky con l’allora suo capo: “non poteva far altro che assentire alle peggiori ovvietà che uscivano dalla bocca di Fred, ma dentro di sé, o meglio sopra di sé, un immaginario fumetto si riempiva di frasi irripetibili”. Fu in quel momento che le apparve V.I. Warshawski.

Le donne letterarie che l’autrice conosce, divorando e lasciandosi conquistare dal noir americano, sono le Eva nei panni ad esempio di Carmen Sternwood de “Il Grande Sonno”, che cercano di tentare il grande Marlowe, che però è troppo tosto per cedere alle loro lusinghe. Oppure le Effie Perrine, segretaria di Sam Spade ne “Il Falcone Maltese”, le così dette Brave Ragazze del noir, donne asessuate e non predatrici.

Ma Sara Paretsky vuole creare un diverso tipo di donna. E mentre tenta per otto anni di creare la sua donna ideale, Carolyn Heilburn pubblica il suo primo giallo con Kate Fansler, P.D. James scrive “un lavoro inadatto ad una donna” e Michael Lewin appare sulla scena con Albert Samson, “un detective privato molto meno duro e molto più empatico dei suoi predecessori”. E Sara capisce che c’è finalmente anche lo spazio per una detective donna che possa operare in un mondo tipicamente noir, in una città dura come Chicago.

Ciò nonostante è proprio alla grande letteratura noir e hard-boiled degli anni Trenta cui dobbiamo fare riferimento per comprendere le radici e i modelli di riferimento cui attinge questa autrice, che a seguito di copiose ed appassionate letture farà totalmente suo questo genere, pur apportandogli connotazioni completamente nuove.

Ed è qui che l’autrice anche nel titolo rende liberamente omaggio ai suoi predecessori, attingendo ad uno dei re del noir, James M. Cain, e al suo “Double Indemnity”/La fiamma del peccato”, trasposto per il cinema da Billy Wilder.

Questa presentazione ci porta quindi a percorrere in lungo ed in largo le strade di una città spietata e che nonostante sia lontana decenni dall’età del Proibizionismo e dei gangster, non ha perso nulla della sua ferocia e dove V.I. Warshawski opera come detective. Non grandissimi casi, salvo forse uno cui si accenna nel corso del romanzo, ma una determinazione a proseguire con questo lavoro duro, che la porterà a cavalcare questa avventura dove si troverà a lottare contro il sindacato più potente di Chicago, contro una grossa compagnia di assicurazioni ed una banca. Gli interessi in gioco sono molti, tanto che qualcuno ad un certo punto assolda un gangster che non esiterà a picchiarla duramente per convincerla a farsi da parte.

E sarà proprio il desiderio del tutto femminile di volere una vita privata soddisfacente insieme ad un lavoro tosto che farà correre il pericolo maggiore a Vic, che con la collaborazione di ex scampati dalla Seconda Guerra Mondiale, ragazzine ricche ma moralmente sane, giornalisti scaltri ma che fanno del proprio mestiere uno stile di vita e una missione, che la Warshawski porterà a casa il primo ed importante risultato utile per la sua carriera, tra morti, rapimenti, pestaggi ed inseguimenti in giro per un’afosa, umida e pericolosa Chicago in gran spolvero noir.

Ed è così che Sara Paretsky immagina e poi crea la sua eroina, la donna ideale in quegli oramai lontani anni Ottanta: non una Marlowe in gonnella, ma una donna che somigli di più a lei e alle sue amiche, perché fa un lavoro che non è esistito per le donne in precedenza. Costretta ad affrontare i problemi reali delle consorelle, pioniere in determinati settori prettamente maschili. Una donna che non verrà mai a patti con i vari Fred di questo mondo. Una donna a cui non importa cosa gli altri pensano di lei e che non deve preoccuparsi di venire licenziata, perché autonoma ed artefice del suo destino.

Sara Paretsky è considerata dalla critica una delle più grandi autrici di polizieschi. Fondatrice ed animatrice di “Sisters in Crime”, un’organizzazione che promuove le donne che scrivono romanzi mistery, la Paretsky ha vinto tutti i premi più importanti riservati alla narrativa di genere negli Stati Uniti ed in Gran Bretagna.


A presto




 

lunedì 29 marzo 2021

Recensione #387 - La ragazza nell'ombra di Lucinda Riley

Buongiorno lettori, torno oggi con una nuova recensione. Quella de La ragazza nell'ombra, di Lucinda Riley, terzo volume della serie Le sette sorelle edita da Giunti, pag. 640.


Trama:
 Silenziosa ed enigmatica, appassionata di letteratura e cucina, Star è la terza delle sei figlie adottive del magnate Pa' Salt e vive da sempre nell'ombra dell'esuberante sorella CeCe. Fin da piccole le due sono inseparabili: hanno un linguaggio segreto che comprendono solo loro e hanno passato gli ultimi anni viaggiando per il mondo, guidate dallo spirito indomito di CeCe, di cui Star è abituata ad assecondare ogni desiderio. Ma adesso, a solo due settimane dalla morte del padre, CeCe decide che per entrambe è arrivato il momento di fissare un punto fermo nelle loro vite e mostra a Star il magnifico appartamento sulle rive del Tamigi che ha intenzione di comprare per loro. Per la prima volta nella sua vita, però, Star sente che qualcosa in lei è cambiato: quel rapporto quasi simbiotico sta rischiando di soffocarla. È ora di trovare finalmente la propria strada, cominciando dagli indizi che Pa' Salt le ha lasciato per metterla sulle tracce delle sue vere origini: una statuetta che raffigura un gatto nero, il nome di una donna misteriosa vissuta quasi cent'anni prima e il biglietto da visita di un libraio londinese. Ma cosa troverà tra i volumi polverosi di quella vecchia libreria antiquaria? E dove vuole condurla realmente Pa' Salt?

Eccomi qua, al terzo volume, dopo un così e così e un ni dei volumi precedenti sono di nuovo qui con la serie Le sette sorelle. Come è andata questa volta? Ora provo a spiegarvelo in questa recensione un po' delirante.

venerdì 26 marzo 2021

Letture con Marina #126 - Recensione di Nel bosco di Thomas Hardy

Buongiorno lettori, è venerdì e, come di consueto, lascio la parola a Marina e alla sua recensione.


Metti il caso, e ti innamori di uno scrittore che senza graffiare mette in evidenza le caratteristiche di un’epoca, che è l’Inghilterra ottocentesca, ancora immersa in una natura sontuosa, dove i boschi sono immense pozze di selvaggi paesaggi e onirica solitudine . E se a questo aggiungi la figura di un’eroina tragica, nemmeno protagonista principale, ma che incarna in sé le potenzialità della tragedia, perché votata al sacrificio più sublime e prezioso, ecco, allora sarai pronto per leggere:


Titolo: Nel bosco
Autore: Thomas Hardy
Casa editrice: Fazi Editore, 2015
Pagine: 510
Traduzione: Stefano Tummolini

Trama: "Nel bosco" ("The Woodlanders", 1887) è forse il più struggente tra i romanzi di Hardy per intensità espressiva e sentimentale. Racconta della storia d'amore fra un ragazzo di paese, Giles Winterborne, e la giovane Grace Melbury, figlia di un commerciante di legname, la quale però, tornata al villaggio provvista di un'istruzione, preferisce sposare un medico. Hardy contrappone con maestria due modelli di vita: l'esistenza semplice e dignitosa dei boscaioli e dei contadini e quella raffinata e artificiosa dei personaggi di alto lignaggio. Il contrasto è inevitabile e profondo, e la giovane Grace, la protagonista, è il punto di luce e di improvviso ardore tra gli uni e gli altri, tra la felicità e la disperazione. L'opera non si risolve comunque in una parabola morale intorno ai limiti delle nostre scelte. Possiede il fascino della maggiore letteratura dell'Ottocento: la grazia di uno stile acuto e piacevole, la forza di un'eccezionale tensione narrativa. Le passioni, gli amori dei protagonisti avvengono nel respiro segreto degli alberi e degli animali del bosco, osservatori muti di una felicità che sfugge agli uomini e alle donne del romanzo. La natura in Hardy, più che essere protagonista, appare legata alla vita dell'uomo, una sola cosa con lui, non in senso estetico ma vitale, e con essa la vita riacquista la propria autenticità.
 
RECENSIONE:   


Il cuore pulsante di questo romanzo, come un paio di altri di Hardy, affronta il tema dei conflitti all’interno del matrimonio. L’ambientazione scelta non a caso da Hardy è un Inghilterra ancora rurale, dove però i primi palpiti per il desiderio di una vita migliore dal punto di vista sociale si fanno sentire con imperiosità. E questo connubio di natura, di piccoli villaggi, di contadini e di personaggi di alto lignaggio consente all’autore di mettere in evidenza meraviglie e miserie del genere umano, prendendo a pretesto una società chiusa, quale è il matrimonio.

Lui, lei e l’altro. Lui è un giovane boscaiolo, che per vari motivi si è elevato leggermente al di sopra rispetto alla media dei suoi vicini ed amici contadini. Lei è la figlia dell’amico di suo padre, che è ancora un gradino più in alto nella gerarchia del villaggio. Il cosiddetto uomo che si è fatto da sé: non acculturato, ma intelligente tanto da portare benessere in seno alla propria famiglia. Grace e Giles sono cresciuti insieme, immersi nella natura del loro piccolo e desolato villaggio nell’Ovest dell’Inghilterra. Ma quanto a questo, come disse lo stesso Hardy nel 1912, avrebbe potuto benissimo essere qualsiasi altro luogo del Regno Unito. E poi la sete di emergere e di far risaltare la figlia, soprattutto di creare i presupposti affinchè la figlia abbia una vita migliore fa sì che il padre spedisca Grace in una cittadina a studiare e di conseguenza a frequentare gente altolocata, spendendo una piccola fortuna perché questa giovane donna si tolga di dosso la patina di “rozzezza”, tipica della gente contadina. I due giovani sono promessi, ma quando Grace torna, il divario tra lei ed il timido, onorevole e retto Giles sembra incolmabile. A questo si aggiunga che Giles proprio in quel frangente ha un tracollo finanziario, involontario rispetto alle sue capacità, ed ecco che la volontà del padre di Grace di vederli uniti in un saldo matrimonio vacilla. Durante l’assenza di Grace dal villaggio, un giovane dottore appartenente ad un’antica famiglia arriva nel loro paesotto ad esercitare la professione, o per meglio dire, a farsi mantenere dalla famiglia stando nell’ozio nella finzione di studi filosofici, esoterici e medici. L’incontro tra lui e Grace risulterà fatale: per lui la noia di un simile posto dimenticato da Dio e la diversità di questa leggiadra fanciulla che sembra appartenere alla sua schiatta e che risalta quindi grandemente in siffatto contesto. Per lei, l’emozione di una persona appartenente al bel mondo che per un anno ha potuto frequentare e qualche altra emozione che il timido Giles non ha mai avuto il coraggio di sollecitare, sentendosi oramai socialmente inferiore alla sua vecchia amica d’infanzia.

Non racconterò delle titubanze di lei, della rinuncia di Giles, soprattutto quando perde il poco che ha – e dallo stile di vita del dottore, completamente diverso dal loro. E per stile di vita intendo soprattutto quella profonda sensibilità e di conseguenza cristallina onestà che solo la vicinanza con la natura ed il sano lavoro sembrano far sviluppare.

Che ricchezza di eloquio nel descrivere il bosco che circonda il villaggio. Una natura che fa da sfondo costante ma che è anche e soprattutto protagonista, onnipresente, rigogliosa. E che assiste indifferente e ieratica alle vicende umane, restando sempre fedele a se stessa. Le vicende umane possono farsi ingarbugliate, perverse persino, come quando il dottore ripudia Grace per una più vissuta e spregiudicata Lady Charmond, che sembra offrirgli ciò che Grace, vuoi per il suo vissuto contadino, vuoi per l’inesperienza e per l’innocente rettitudine non può dare al marito.

Ed è proprio quando pare che Grace possa riconquistare la propria libertà dopo tanta sofferenza coniugale, che la vita di questi due giovani, Grace E Giles, sembra poter nuovamente farsi una cosa sola. Ma ancora una volta, la rettitudine del giovane boscaiolo e l’inesperienza di questa giovane sposa vilipesa ed abbandonata, farà prendere alla vicenda il classico e tragico destino degli amanti che non potranno mai unirsi.

La bonaria ingerenza di un padre amorevole ma figlio del proprio tempo e in bilico fra saldi valori contadini e superficiale nobiltà, la vita isolata in una campagna ancora incontaminata, la gerarchia sociale che erroneamente conta più del valore della singola persona e la questione della ricerca della felicità come bene incommensurabile, anche a scapito di uno dei contratti più vincolanti al mondo… E Hardy sembra qui fare proprio il dovere degli storici, di “non interferire con le opinioni personali nelle vicende”, restando narratore impassibile anche di fronte alle tragedie più commoventi.

A lungo mi sono dibattuta fra le due figure femminili che sembravano le protagoniste: da una parte Grace, rivestita a nuovo dalla patina della cultura, dall’altra Marty South, poverissima, pura, leale, solitaria, ignorante ma con il buon senso che solo una vita di stenti, sacrifici, duro lavoro e onestà possono elevare più ancora della supposta cultura. Una vita la sua, dedicata ad un amore infelice e che, pur nella tragedia e nel suo mettersi modestamente da parte, le permette alfine di “apparire a tratti perfino sublime, come se fosse stata una creatura indifferente agli attributi del sesso, dotata in cambio della qualità più nobile dell’umanità”.

“E se un giorno mi dimentico il tuo nome, fammi dimenticare la mia casa e il cielo…” Potrà mai esserci una dichiarazione d’amore più bella?

A presto




 

lunedì 22 marzo 2021

5 blogger per un autore #2: Antonio Lanzetta. Recensione #386 - Il buio dentro


Buongiorno lettori, sono già passati due mesi e siamo giunti ad una nuova puntata della rubrica 5 blogger per un autore in collaborazione con Ombre di carta, Desperate Bookswife, La lettrice sulle nuvole, Librintavola. In cosa cosiste? Ogni due mesi leggeremo tutte un libro di uno stesso autore; un modo per ampliare i nostri orizzonti letterari e approcciarci tutte insieme ad autori che magari non avremmo considerato. Dopo gennaio dedicato a John Niven - recensione qui - l'autore prescelto per il mese di marzo è Antonio Lanzetta ed il libro da me scelto è Il buio dentro edito da La corte editore, pag. 271, primo libro di una trilogia thriller. È la mia prima volta con questo autore e devo ringraziare Chicca del blog Librintavola perchè senza di lei non lo avrei mai preso in considerazione.


Trama:
 Il corpo di una ragazza viene ritrovato appeso ai rami di un albero. Il filo spinato scava nei polsi e nella corteccia di un vecchio salice bianco. Le hanno tagliato la testa e l’hanno lasciata sul terreno solcato dalle radici, gli occhi vuoti ora fissano quelli di Damiano Valente. Lui è lo Sciacallo, un famoso scrittore specializzato nel ricostruire i casi di cronaca nera nelle pagine dei suoi libri. Nessuno conosce il suo aspetto, e per Damiano questa è una fortuna: il volto deturpato da cicatrici e quella gamba spezzata che si trascina dietro come un fardello non sono trofei che gli piace mettere in mostra. Lo Sciacallo è un cacciatore che insegue nella morte le tracce lasciate dall’assassino della sua amica Claudia. Un omicidio avvenuto nell’estate del 1985, quando lui era solo un ragazzino con la passione per la corsa e amici in cui credere. Un omicidio che gli ha cambiato la vita.Trentuno anni dopo, Damiano ritorna ai piedi di quel maledetto salice bianco, per dare una risposta a quella sua ossessione che come una ferita pulsante gli impedisce di andare avanti. Con lui ci sono gli amici di sempre, Stefano e Flavio, le cui esistenze si intrecciano inesorabilmente nella dura e cruda scoperta della verità, riportandoli a rivivere le emozioni di una folle estate che ha segnato le loro vite per sempre.
 
Difficilmente, quando finisco di leggere un libro, mi metto a scrivere immediatamente. Mi capita solo quando un libro mi colpisce tanto, così come ha fatto questo strepitoso thriller. Sapete che il genere è uno dei miei preferiti ma proprio per questo è anche uno di quei generi con cui faccio fatica ad essere stupita. In questo caso l'autore è riuscito nel suo intento.

venerdì 19 marzo 2021

Letture con Marina #125 - Recensione di Basta un caffè per essere felici di Toshikazu Kawaguchi

Buongiorno lettori, è venerdì e, come di consueto, lascio la parola a Marina e alla sua recensione.


Acquisti compulsivamente libri. Non riesci a leggerli tutti appena li hai acquistati. E i non letti restano in attesa per due o tre anni. Nel frattempo quel dato autore non resta con le mani in mano e pubblica un altro romanzo. Tu lo acquisti. E che fai?, leggi il suo precedente romanzo, sperando di leggere subito dopo il recentissimo? Certo che no!, leggi immantinente il nuovo romanzo, altrimenti resterà nel limbo dei non letti. Perché se ne sta parlando ora, perché è attuale, perché ci sono interviste interessanti, perchè… Ecco, in questo caso è quello che è successo a me con:


Titolo: Basta un caffè per essere felici
Autore: Toshikazu Kawaguchi
Casa editrice: Garzanti, 2021
Pagine: 176
Traduzione: 
Claudia Marseguerra

Trama: Accomodati a un tavolino. Gusta il tuo caffè. Lasciati sorprendere dalla vita. L'aroma dolce del caffè aleggia nell'aria fin dalle prime ore del mattino. Quando lo si avverte, è impossibile non varcare la soglia della caffetteria da cui proviene. Un luogo, in un piccolo paese del Giappone, dove si può essere protagonisti di un'esperienza indimenticabile. Basta entrare, lasciarsi servire e appoggiare le labbra alla tazzina per vivere di nuovo l'esatto istante in cui ci si è trovati a prendere una decisione sbagliata. Per farlo, è importante che ogni avventore stia attento a bere il caffè finché è caldo: una volta che ci si mette comodi, non si può più tornare indietro. È così per Gotaro, che non è mai riuscito ad aprirsi con la ragazza che ha cresciuto come una figlia. Yukio, che per inseguire i suoi sogni non è stato vicino alla madre quando ne aveva più bisogno. Katsuki, che per paura di far soffrire la fidanzata le ha taciuto una dolorosa verità. O Kiyoshi, che non ha detto addio alla moglie come avrebbe voluto. Tutti loro hanno qualcosa in sospeso, ma si rendono presto conto che per ritrovare la felicità non serve cancellare il passato, bensì imparare a perdonare e a perdonarsi. Questo è l'unico modo per guardare al futuro senza rimpianti e dare spazio a un nuovo inizio.
 
RECENSIONE:   


“Prima che questa menzogna venga rivelata”, o qualcosa di simile, dovrebbe essere la traduzione del titolo originale del nuovo romanzo di Toshikazu Kawaguchi, che in Italia Garzanti ha preferito modificare completamente in “Basta un caffè per essere felici”. E come ha scritto Fedor Dostoevskij: “La cosa più difficile nella vita è vivere senza mentire”. “La gente mente per le ragioni più disparate”, rimarca come incipit l’autore giapponese. Non c’è che dire, visto che in realtà nessuno dei due titoli in sé è più corretto dell’altro, perché questo romanzo contiene tutte e tre le parole in gioco, parimenti importanti: il caffè, senza il quale i viaggi non sarebbero possibili; la menzogna, perché parte della vita in generale e soprattutto di tutte le storie qui contenute si basano proprio su una menzogna e la felicità, che è la ricerca più difficile cui tende qualsiasi essere umano.

La caffetteria dove è possibile viaggiare nel tempo, sia verso il futuro che soprattutto tornando indietro nel passato, si trova a pochi minuti a piedi dalla stazione di Jimbocho, nel centro di Tokyo, ed è situata al piano seminterrato di una stradina laterale di un quartiere di uffici. Ci sono poche ma ferree regole che chi è intenzionato a credere a questa possibilità, deve rispettare. E forse le più importanti sono che, anche andando indietro nel passato, non è possibile cambiare il presente. E che soprattutto, la persona che intraprende il viaggio nel tempo, per poter tornare indietro al suo presente di partenza, deve bere il caffè prima che si sia raffreddato completamente. Solo le femmine della famiglia Tokita possono far viaggiare nel tempo le persone, dando vita al rito del caffè: da quando hanno compiuto sette anni di età, fino a quando non rimangono incinta di un’altra femminuccia.

In questo secondo romanzo, Toshikazu Kawaguchi intreccia quattro storie con la vita dei gestori del piccolo caffè già incontrati nel precedente romanzo e rimasti con tanti perché inespressi da parte dei lettori: intrecciata quindi alle 4 storie principali, riprendiamo il filo della storia della famiglia di Nagare e della figlioletta Miki, di Kazu e della donna fantasma vestita di bianco, che tanto tempo prima non aveva rispettato una delle regole per poter tornare nel presente, e si era poi palesata come fantasma, cliente fisso del Caffè.

I capitoli di cui si compone questo nuovo romanzo sono poco dissimili, come temi, da quelli del precedente libro dell’autore nipponico, che è anche sceneggiatore e regista: 1. I due amici / 2. Madre e figlio / 3. Gli innamorati / 4. Marito e moglie Bugie dette a fine di bene nei rapporti tra genitori e figli, tra amici, tra innamorati e tra coniugi. Il tutto condito dalle vicissitudini della famiglia Tokita, dove una nuova generazione di dispensatrici di caffè sta per liberare dall’impegno gravoso chi non riesce a risalire la china della colpa e del rimpianto.

Ma una domanda è sempre presente nella mente dei lettori: se non si può cambiare il presente, perché mai voler tornare nel passato? Ed è proprio quello che si chiede anche il detective della omicidi del commissariato di Kanda, Kiyoshi Manda, che un po’ alla volta contatterà le quarantuno persone che negli ultimi trent’anni hanno usufruito del “servizio” del Caffè, per porre loro alcune domande, fondamentali sia per lui che per i lettori, per capire il perché del viaggio nel tempo, se poi ogni cosa rimarrà comunque invariata.

Un romanzo tutto sommato intimista, perché invita principalmente a guardare in faccia le proprie debolezze, meschinità e paure, rendendole poi fruibili come esperienza di vita a chi ci circonda e si ritrova nella stessa situazione, rendendo in certo qual modo libere le persone che del nostro dramma sono state co-protagoniste. Racconti senza dubbio commoventi – in cui includo anche la storia delle famiglia dei gestori del Caffè – nonostante non abbia trovato in questo romanzo la scrittura poetica che incanta i lettori, caratteristica degli autori asiatici.

“Le bugie possono far male, ma possono anche salvare la pelle. Qualunque sia il motivo, di solito alla fine ci si pente sempre di aver detto una bugia”. Din-don… e di nuovo, il silenzio cala sulla caffetteria. Chissà se per l’ultima volta…
 
A presto




 

giovedì 18 marzo 2021

Letture con Marina #124 - Recensione de Incontrollabile seduzione di Maya Banks

Buongiorno lettori, lo so, non è venerdì ma questa settimana puntata doppia con Marina quindi le lascio la parola.


Come ti leggo un Romance e ne esce fuori uno storico… ma che dico, un epico-cavalleresco con tutte le sue belle regole, non disdegnando una puntatina nel gotico!


Titolo: Seduzione
Autore: Maya Banks
Casa editrice: Mondadori, 2019
Pagine: 345
Traduzione: Adriana Colombo e Paola Frezza

Trama: Per volere del re, Graeme Montgomery è costretto a prendere in moglie Eveline Armstrong, figlia del capoclan rivale, e a siglare un patto di non belligeranza tra i due clan, riportando così la pace nelle terre di Scozia. Misteriosa e bella come un angelo, Eveline non parla da quando tre anni prima è caduta da cavallo e viene accolta inizialmente con ostilità nel nuovo castello. Ma ben presto riesce a conquistare l'amore di Graeme, accendendo in lui una passione che travolge l'anima e i sensi. C'è qualcosa però che nessuno sospetta: Eveline in realtà non è diventata muta dopo il grave incidente…





 
RECENSIONE:   

Trama banale e non originale? Forse, ma non siate così veloci a giudicare, perché: che cosa non si ricava da un romance scritto bene! A parte il fatto che solo ora mi rendo conto che probabilmente l’autrice, con all’attivo più di una cinquantina di romance contemporanei e storici di successo, ha fatto di questo romanzo una serie. Cosa che odio per partito preso! Ma mi chiedevo anche con ansia, quando ho visto il numero di pagine di questo romanzo, che cosa avesse da far dire ai suoi personaggi questa scrittrice, in ben 345 pagine! La qual cosa mi ha fatto ben sperare. Volevo leggere un bel romanzo, dove la parte erotica non fosse propriamente volgare e parte principale. Volevo che sotto ci fosse una storia! E devo dire, con mia somma meraviglia, di non essere rimasta delusa.

Siamo in Scozia, nelle Highlands. Periodo storico: 1214 – 1249, dato che l’autrice cita Alessandro II come re di Scozia. E dunque, visto che la pace è finalmente arrivata nelle Highlands, re Alessandro può concentrarsi su questioni che non siano il mantenimento dei confini del suo regno. Ad esempio, fare in modo che due tra i clan più potenti del suo regno, smettano di trucidarsi fra loro. Il clan degli Armstrong, di cui Eveline è l’unica figlia femmina – e il clan dei Montgomery, il cui “laird” è ora il figlio maggiore, Graeme, che ha preso su di sé la responsabilità del clan, alla morte del padre. Trovate sconveniente ed azzardato pensare alle più famose “beghe familiari” dei Montecchi e dei Capuleti? Oppure vi fa strano che mi venga in mente il film “Braveheart”, di e con Mel Gibson, incentrato sulle gesta e sulla vita di William Wallace? O ancora che, essendo stata quasi un mesetto in Scozia ed avendo in mente i vari castelli, non riesca a figurarmi come debba essere stata dura la vita al tempo?

Naturalmente Eveline è molto giovane e bellissima, anche se a causa di un incidente occorsole tre anni prima mentre era a cavallo, è stata disarcionata e sembra non essere più la stessa. Minorata? Menomata? Tarda? Nonostante la famiglia la difenda e la tenga al sicuro nel castello, le voci corrono attraverso i confini dei vari clan. All’epoca dell’incidente, era stata promessa a Ian McHugh, futuro laird del terzo clan per potenza e grandezza, ma poi non se ne era fatto più nulla, visto le condizioni della ragazzina. E cosa pensa di fare re Alessandro? Per far finire la faida, obbliga i due clan ad unirsi in nome del matrimonio tra Eveline Armstrong e il capo clan dei Montgomery. Pena la perdita di tutti i diritti e la dichiarazione di fuorilegge di tutto il clan che non dovesse accettare. Graeme è disperato. Non pensava ancora di metter su famiglia, ma farlo con questa giovane significa non avere eredi e condannare il suo clan a finire con lui, oppure abdicare in favore del fratello più giovane di lui. D’altro canto anche la famiglia Armstrong non vuole il matrimonio, perché pensa che solo nel suo castello la giovane sarà al sicuro: dai Montgomery sarebbe schernita per la situazione fisica in cui versa e odiata, perché appartenente al clan nemico. E qui mi fermo con il racconto, perché, come detto, pur se non originale, riserva comunque qualche sorpresa piacevole.

Che vi devo dire? Personaggi stereotipati sì un po’: come già detto, lei è molto bella e nonostante ciò che le è capitato, resta sempre positiva, empatica nei confronti degli altri e sempre pronta ad aiutare, oltre ad essere coraggiosa ad oltranza. Diciamo un po’ forzata la costruzione di questa giovanissima donna, soprattutto pensando al periodo in cui è ambientato il romanzo. Graeme Montgomery invece, pur se ricalca l’idea classica dell’eroe, è tratteggiato forse meglio: nonostante sia il capo clan e debba governare con severità, non disdegna il consiglio dei due fratelli minori e soprattutto prima di prendere decisioni è in grado di valutare i pro ed i contro, tenendo in considerazione i punti di vista di tutte le parti in causa.

Il romanzo è incentrato sui dialoghi, le descrizioni di paesaggi, ambienti e abbigliamento d’epoca ci sono, ma non soverchiano, lasciandoci alla bellezza dei dialoghi. Ottimo spunto la descrizione dei lavori femminili, sia delle nobili del clan, che delle varie serve e servette. E delizioso il ritratto della sorellina di Graeme Montgomery, tutta presa dal voler imparare a leggere e scrivere, nonostante ciò sia visto come una stramberia.

E poi il clou, perché nella parte finale mi ha ricordato un po’ i romanzi gotici, e pur se nuovamente azzardato, mi ha fatto venire in mente le atmosfere e anche le peripezie de “Il Castello di Otranto” di Walpole, seppur scritto con un linguaggio completamente diverso ed attuale, naturalmente. Segrete sepolcrali, passaggi segreti, perversioni nascoste sotto comportamenti falsamente nobili, atmosfere cupe ed inquietanti, rapimenti, sfide…

Leggere i ringraziamenti poi, mi ha dato il colpo di grazia, visto che Maya Banks ci svela che la stessa menomazione, chiamiamola così, di Eveline, prende spunto dalla situazione in cui si trova suo marito. Un tributo ed un riconoscimento a chi, pur nelle difficoltà, non perde speranza, coraggio e positività.
 
A presto




 

martedì 16 marzo 2021

Recensione IN ANTEPRIMA #385 - Con o senza di noi di Valentina Sagnibene

Buongiorno lettori, oggi torno con una nuova recensione a cui tengo tantissimo. Vi parlo di Con o senza di noi di Valentina Sagnibene, edito da DeA - che ringrazio immensamente per la copia -, pag. 418, in uscita oggi in tutte le librerie e store online, € 14,90.


Trama:
Nuvola ha passato diciassette anni della sua vita a evitare gli altri. Ai pettegolezzi, preferisce il rumore del vento. Alla movida delle serate milanesi con le amiche, sostituisce il disegno. Il suo posto è il tetto della scuola, a tredici metri d’altezza, dove vede tutto e nulla la raggiunge. Tommaso invece i diciotto anni li ha trascorsi lasciandosi travolgere da un fiume di persone che reclamava il suo talento, i sorrisi, il futuro. Il suo posto è la pista d’atletica, dove si allena tra le dritte del coach e gli incitamenti dei compagni. Nuvola e Tommaso frequentano lo stesso liceo, gli stessi corridoi, aule quasi vicine. Ma la ragazza più invisibile e il ragazzo più in vista della scuola non si sono mai visti. Non si conoscono. Fino al giorno in cui si ritrovano nello stesso luogo speciale e proibito, a tredici metri d’altezza. Entrambi per motivi diversi, entrambi per un segreto. Entrambi in fuga da qualcosa. Forse Nuvola e Tommaso non hanno nulla in comune, forse sono due punti opposti dello stesso emisfero. Con o senza di noi è un romanzo intenso, vivido, commovente. Valentina Sagnibene racconta la storia di due solitudini che si incontrano, e che si scontrano, per provare a guarire insieme.
 
Arrivata al terzo libro di Valentina Sagnibene mi sento di dire che questa autrice è ormai diventata un punto fisso per me e mi auguro che possa avere il successo che si merita visto che è veramente bravissima ed ora cercherò di spiegarvi perchè.

venerdì 12 marzo 2021

Letture con Marina #123 - Recensione di Una furia dell'altro mondo di Lisa de Nikolits

Buongiorno lettori, è venerdì e, come di consueto, lascio la parola a Marina e alla sua recensione.




Il Paradiso non conosce furia maggiore
Dell’amore che volge in odio
Né l’Inferno una furia pari a quella
Di una donna ingannata.
(William Congreve, 1697)

Ti
tolo: Una furia dell'altro mondo
Autore: Lisa de Nikolits
Casa editrice: Edizioni Le Assassine, 2019
Pagine: 398
Traduzione: Tiziana Prima
 
Trama: Un thriller divertente, sentimentale, un po’ filosofico e allo stesso tempo ironico, surreale, ma anche un po’ truce. Non potrebbe essere diversamente con la protagonista Julia Redner, un prototipo di donna in carriera stile "Il diavolo veste Prada", che si ritrova in un Purgatorio molto simile a un aeroporto, dotato di tutti i comfort che si possano desiderare. Non sa perché sia finita lì, ma quando finalmente comprende chi era sulla Terra e cosa le è successo, le si aprirà una seconda chance di riscatto e di vendetta.



 
RECENSIONE:   
Sintetici i capitoli: Parte I: LA’… Parte II: QUI… Parte III: QUI e LA’… Ma è ciò che c’è nel mezzo che fa la differenza, in questo romanzo che definire meramente thriller è un peccato mortale. E a tal proposito, penso che mai come in Italia, quando si parla di Purgatorio, sottintendendo necessariamente anche il Paradiso e l’Inferno, non possa che venire in mente un unico grande autore, che in questi “Imperi” ha tratteggiato creature indimenticabili, nel bene e nel male.

Non scherza nemmeno la De Nikolits, con questo romanzo che è ambientato inizialmente in Purgatorio, una sorta di NON LUOGO, dove sostano le anime, in attesa di capire la direzione da prendere. Che non è scontato quale sia, perché in casi eccezionali, alcune anime potranno tornare persino sulla Terra. L’autrice, pubblicata in Italia dalle Edizioni le Assassine, confeziona un Purgatorio che sembra una grande sala di aspetto di un ancor più enorme aeroporto. In esso si può trovare di tutto, a determinate condizioni. Va da sé che talune altre cose, tipo alcolici o vasche da bagno, sono proibite.

Julia Redner, la nostra protagonista, si risveglia in questo enorme e strano aeroporto provando dolori atroci in ogni singola cellula del corpo. E quando finalmente riesce a rimettersi fisicamente in asse, le ci vuole ancora del tempo per poter credere di essere morta ed in Purgatorio. L’inizio del romanzo è un susseguirsi in rapidissima successione di pagine interessanti che scorrono via velocemente, per il modo di raccontare senza fronzoli ma interessante ed originale. Nessuna descrizione che non sia calibratissima: né poco, né troppo, invogliandoci a proseguire senza interruzioni, per capire cosa sta succedendo. Ad esempio, perché a tutti i morti che arrivano in Purgatorio non è dato ricordare la vita terrena e i ricordi devono essere recuperati per gradi? Va da sé che in alcuni casi tali memorie saranno un premio e in alcuni altri casi una punizione abominevole che a posteriori le persone morte non avrebbero voluto recuperare. Ma a che scopo tutto ciò?

E mentre i lettori si scervelleranno per capire il perché di questa trama, leggeranno che naturalmente sarà così anche per la nostra Julia, che nella vita terrena è stata una stronza che si è fatta da sé, ma che una volta in vetta alla scala gerarchica lavorativa e sociale, non si è peritata di manovrare meschinamente le persone, arrivando ad eccessi di regalie, shopping o furto compulsivo, oltre che a rapporti interpersonali basati esclusivamente sul sesso e su sordide dinamiche di potere.

E’ Agnes, una ragazzina piena di piercing, che fuma peggio di una ciminiera, che “raccoglierà” in aeroporto una Julia stranamente disorientata e le spiegherà dove si trova e cosa è diventata in quel frangente, facendole girare il Purgatorio e dandole le dritte principali per “vivere” un po’ meglio la situazione. Una vita appena sbocciata la sua e finita ancor prima di iniziare, per una stupidata madornale che lei e il suo giovane ragazzo pagano troppo cara.

E’ incredula finanche Julia di far squadra con un gruppetto di ragazze e donne, arrivate prima di lei, e che solo con il suo arrivo sembrano aprirsi le une alle altre, confidando le vite terrene con errori, delusioni ed oramai inutili rimpianti.

Del gruppetto fanno parte Samia, giovane pakistana morta ad un rave party per non aver saputo dire di no ad un amico che le offriva droga e che in Purgatorio si occupa di far sentire a suo agio i morti, offrendo loro compassione e squisite bevande calde; Isabelle, assatanata sessuale che faceva sesso solo con estranei, morta durante una seduta di bondage, nemmeno soddisfacente; Tracy la cicciona, che si è suicidata e che in Purgatorio trova il suo sfogo sfornando appetitosi dolcetti; Grace, moglie devota e succube di un famoso quanto pazzo chirurgo estetico. E poi ci sono alcune persone che possono dispensare a queste anime in stand-by alcuni privilegi, come i ricordi, oppure le visioni. C’è Cedar Mountain Eagle, una sorta di psicologo-terapeuta, che odia le parolacce e che aiuta le persone defunte a recuperare la memoria del proprio essere, i ricordi dei propri cari, così come di ciò che siamo stati. E’ un percorso ad ostacoli, dove i ricordi affiorano riportando alla mente alle volte sciocchezze, che poi si ramificano e ci portano là dove il dolore pulsa più forte. E poi c’è la scorbutica Beatrice, che ha facoltà di concedere le Visioni, che altro non sono che la possibilità di vedere nel momento presente ciò che sta succedendo alla persone sulla Terra a noi legate, di solito con episodi legati indissolubilmente a nostre azioni. Anche Beatrice ha dietro di sé una storia di lusso e di privilegi, che però alla fine non le serviranno a nulla, visto che anche lei, anche se in una posizione di maggior prestigio, si trova in Purgatorio.

E stranamente, proprio da quando Julia Redner, la stronza magera, arriva in Purgatorio, Beatrice inizia finalmente a dispensare Visioni, cosa mai fatta prima in questo gruppetto di donne, e sembra provare un istintivo, seppur subito rinnegato, moto di simpatia subitanea nei confronti di Julia, che solo a seguito di una serie di indesiderate e dolorose sedute introspettive con Cedar, ricorda che è morta di una morte violenta, lenta ed atroce.

Ma tutte codeste vite perse e sperse in questo hangar enorme avranno la possibilità, tramite Julia, di sistemare ciò che sulla Terra avevano lasciato, più o meno volontariamente, in sospeso. E la stessa Julia avrà la sua possibilità di riscatto, con il beneplacito più o meno palese di Cedar e Beatrice.

In un finale che è un crescendo di situazioni truci e di una vendetta che consentirà a Julia di regolare tutti i conti, facendo anche pace con il suo passato, ci sia permesso di dissentire da quanto in apertura abbiamo citato di Congreve: perché se è vero che una donna rifiutata può diventare una furia, allora è anche e maggiormente vero che una donna che subisce dei torti può diventare un angelo vendicatore. E non troverà niuno sulla sua strada ad impedirle di compiere il nero fato.

A presto




 

venerdì 5 marzo 2021

Letture con Marina #122 - Recensione di Vi presento Sally di Elizabeth Von Arnim

Buongiorno lettori, è venerdì e, come di consueto, lascio la parola a Marina e alla sua recensione.


Sapere che era cugina di Katherine Mansfield e amante di H.G. Wells ha reso impellente la lettura del primo degli almeno cinque libri che posseggo di questa autrice… finalmente!


Titolo: Vi presento Sally
Autore: Elizabeth Von Arnim
Casa editrice: Bollati Boringhieri, 2018
Pagine: 273
Traduzione: Simona Garavelli
 
Trama: Sally Pinner, una bellissima ragazza di umili origini e inesistente cultura, nonché assai poco padrona dell'arte del linguaggio, fa innamorare di sé tutti gli uomini che le posano gli occhi addosso. Fin da piccola gli ansiosi genitori la fanno vivere segregata nel retrobottega della loro drogheria, il modo migliore per tenerla lontana dai numerosi guai che la sua bellezza finisce immancabilmente per calamitare. Morta la madre, la diciassettenne Sally viene data in sposa a un giovane studioso di Cambridge, Jocelyn, destinato a una fulgida carriera scientifica, il quale organizza un precipitoso matrimonio onde avere la meglio sugli altri numerosi pretendenti. Ma tanta bellezza l'ha reso completamente cieco ai molti svantaggi che la mancanza di cultura, la completa acquiescenza e il carattere di Sally - anzi, la mancanza di carattere - presentano.
 
RECENSIONE:   

Come dicevo, inizio da questo romanzo della Von Arnim, perché non è ritenuto tra i capolavori di questa scrittrice ed una volta tanto voglio andare in crescendo, non leggendo subito il gioiello più splendente. Eppure si resta basiti quando si arriva alla fine del romanzo, perché la Von Arnim riesce a mantenere sino alla fine il diletto divertito che si prova nel leggere questa sua prova letteraria.

Mai come in questo romanzo ci si può beare della descrizione delle varie classi sociali in un’Inghilterra degli inizi del secolo scorso: il popolino, proprio come lo descrive la Von Arnim, insieme alla “crema” e agli pseudo “intellettualoni”. Anche i servitori, che qui si incontrano ma che scivolano via velocemente in una sorta di luce opaca, rivelano in modo preciso e pesante la loro appartenenza sociale, le varie suddivisioni gerarchiche e la mentalità del servitore ligio ai suoi doveri di casta.

Una ragazza bellissima, al di là di ogni sogno femminile più ardito, docile come una pecora e dalla mente così semplice da sfiorare la stupidità accompagnata da un fastidiosissimo linguaggio sgrammaticato e gergale, viene tenuta dai genitori sempre nascosta nel retrobottega del loro piccolo negozio, quasi segregata, perché da sempre ha attirato gli sguardi beatamente estasiati di tutte le persone che incontra, e degli uomini in particolare a partire dai dodici anni. Un incubo per questi due genitori, che ben presto si rendono conto con costernazione e stanchezza che questo sarà per loro una gravosa responsabilità a tempo pieno. La madre muore ed il padre, che senza la moglie vede decuplicate le problematiche con una siffatta figliola, quando Salvatia, Sally, ha appena 17 anni, la “cede” letteralmente in moglie al primo studente universitario appena appena decente che entra casualmente nel loro negozio e che, contrariamente a quanto succede di norma, riesce a vederla, innamorandosene subitamente. Due settimane, e con inconsapevole gioia il padre si libera di questo fardello.

Un ragazzo studioso, che fino a quel momento ha anteposto lo studio a qualsiasi divertimento tipico della sua età. E che quando è con questa dea quasi non riesce a parlare per la passione che lo divora: nessun sorriso da dedicare a questo giunco in fiore, perché la tensione ed i baci che ha in corpo devono essere tenuti in buon ordine, per non spaventare questa giovanissima ed inesperta creatura, anche perché il guardingo di lei padre è sempre presente e vigile. Il ragazzo ha cinquecento sterline di rendita all’anno e vive con la madre vedova che gode della paritetica rendita annua, una colta ma esangue signora – figlia del suo tempo - che alla morte del marito ha preferito trasferirsi con il figlio Jocelyn da Londra in periferia, per ragioni economiche e perché fa suo il detto: “meglio prima fra gli ultimi, che ultima fra i primi”. Ancora giovanile e a suo modo piacente, ha rinunciato a diverse proposte dopo la morte del marito, per dedicarsi completamente al figlio, perché avesse un avvenire degno della loro posizione, di una certa qual pomposa levatura intellettuale, anche se non benestante.

Ed è a questo punto della vicenda che la bellissima ma stupidotta Sally, sulla quale nessuno punterebbe e che nonostante questo importante gettone di partenza che è la bellezza e la grazia fisica che ha avuto in dono, non desidera altro che costruire una sua famiglia, avere figli ed occuparsi del proprio marito e della propria casa, riesce a spuntarla in barba a marito, suocera e vari personaggi, che vorrebbero sgrezzarla dandole ripetizioni di linguaggio e comportamento, per far di lei la degna compagna di un universitario in odor di successo.

Inerme di fronte alla volontà altrui, non capendo nella maggior parte dei casi nemmeno il perché delle cose o delle decisioni prese per lei, ciò nonostante alla mansuetudine dei buoni Sally ogni tanto con la cocciutaggine degna di un mulo ci delizia con decisioni improvvise, prese seguendo gli insegnamenti della Bibbia che per lei sono la pietra di paragone principale e forse unica con la vita reale, rendendosi suo malgrado protagonista di altrettante avventure con il marito prima e peripezie senza il marito poi, che sono a dir poco esilaranti, ma al contempo frustranti se ci mettiamo nei panni delle persone che pensano di avere la responsabilità di questa inusuale bellezza. E a questo proposito, il genere maschile qui fa senza distinzioni di classe sociale una figura non edificante, riprendendo alcune caratteristiche peculiari e trasformandole in macchiette stereotipate sì, ma reali altrettanto.

E quindi, nonostante il cuore e la mente semplici di questa stupenda creatura e il racconto di queste vite, la Von Arnim riesce a creare i presupposti, pur nella commedia, per sollevare con grazia la cortina della società inglese, permettendoci di vedere pur se a tratti una società fintamente cortese e dura come l’acciaio, con regole precise che devono essere rispettate. Da tutti, qualsiasi sia la classe sociale di appartenenza. E l’intera impalcatura della storia regge grandiosamente fino alle pagine conclusive, regalandoci ore di puro divertimento misto a riflessioni a tutto tondo sulla società, sui desideri così diversi degli esseri umani e sulla constatazione che “gli angeli dovrebbero sposare esclusivamente angeli, e non scendere sulla terra per mischiarsi a uomini assolutamente normali…” Ma soprattutto facendoci prefigurare cosa debbano essere gli altri romanzi di Elizabeth Von Arnim, se questo è considerato tra i suoi non-capolavori!
A presto