martedì 9 novembre 2021

Recensione #414 - Giuditta e il Monsù di Costanza DiQuattro

Buongiorno lettori, come state? Io sono già stanca dell'autunno, del freddo e del buio perenne, per il resto tutto abbastanza bene. Oggi vi parlo di un romanzo che mi è stato proposto dall'ufficio stampa della casa editrice Baldini+Castoldi. Si tratta di un ritorno qui sul blog, quello di Costanza DiQuattro con il suo nuovo lavoro, Giuditta e il monsù, pag. 224.



Trama:
Ibla, 1884. A Palazzo Chiaramonte, una notte di maggio porta con sé due nascite anziché una soltanto. Fortunato, abbandonato davanti al portone, e Giuditta, l’ultima fimmina di quattro sorelle. Figlia del marchese Romualdo, tutto silenzi, assenze e donne che non si contano più, e di sua moglie Ottavia, dall’aria patibolare e la flemma altera, è proprio lei a segnare l’inizio di questa storia. Lambendo cortili assolati e stanze in penombra, cucine vissute ed estati indolenti, ricette tramandate e passioni ostinate, il romanzo si spinge fin dove il secolo volge, quando i genitori invecchiano e le picciridde crescono. C’è chi va in sposa a un parente e chi a Gesù Cristo, ma c’è pure chi l’amore, di quello che soffia sui cuori giovani, lo troverà lì dov’è sempre stato: a casa. 



Secondo libro che leggo di questa scrittrice, che non avrei conosciuto se la gentilissima addetta dell'ufficio stampa della casa editrice non me l'avesse proposta. Dopo Donnafugata - recensione qui - l'autrice ci riporta nella sua terra, la Sicilia.


"Finiva sempre così tra di loro, a una lite corrispondeva una risata. Perché i bambini sanno far pace senza bisogno di chiedere scusa. Sanno dimenticare senza sentire ferito l'orgoglio. Sanno giocare senza la paura di sentirsi stupidi. "
Per la seconda volta l' autrice mi porta in Sicilia, quella Sicilia che è un po' parte di me grazie alle origini di mia mamma.
Ho pensato molto alla mia famiglia durante la lettura, perché in alcuni momenti i personaggi parlano in Siciliano (poche frasi ma significative) così come faceva la mia cara nonna, lei che nonostante decenni a Milano, non si rassegnava ad abbandonare la lingua madre che tanto amava.
Questa storia inizia nel 1884 e ci racconta della vita della famiglia del marchese Romualdo Chiaramonte fino ai primi anni del 1900.
Un uomo come tanti, il marchese, alla ricerca del tanto agognato figlio maschio che gli assicuri una successione del titolo. Ma a volte, si sa, il destino si incaponisce e in quella famiglia, nascono solo figlie femmine, quattro!
E quando il giorno della nascita della quarta, a cui viene dato il nome Giuditta, la marchesa decide di allontanare il marito dal talamo per sempre, il destino sembra dare un regalo al marchese, facendo comparire un bel fagottino, maschio, davanti alla porta del palazzo.
Senza alcuna indecisione l'uomo decide di accogliere il bambino e di farlo crescere da don Nicola e donna Marianna, il monsù e la moglie, che da sempre cercano un figlio che non arriva. Fortunato, il bambino abbandonato ha la stessa età di Giuditta e con lei cresce tra le cucine di palazzo. Entrambi apprendono dall'altro quello che per classe sociale non possono avere: lei impara da Fortunato l'arte della cucina, mentre lei regala a lui le noiose lezioni che le tocca apprendere. Una complicità da bambini che aumenta e rafforza il loro legame nel tempo.
Crescono sotto i nostri occhi, Giuditta e Fortunato e accompagnati dalle loro giornate impariamo a conoscere le abitudini di quella facoltosa famiglia, delle sue cucine, dei suoi domestici; assistiamo allo scorrere del tempo, partecipiamo a matrimoni e assistiamo anche a morti cui non vorremmo assistere.
I due protagonisti sono descritti molto bene, i loro caratteri arrivano al lettori forte e chiaro e la loro complicità è tangibile, pura. Tutti gli altri personaggi ruotano attorno ai due apparentemente come contorno, ma il rapporto tra di loro è il pretesto per darci invece un quadro molto preciso delle dinamiche familiari in un contesto che non è quello attuale.
Le atmosfere che il romanzo ci regala sono quelle d'altri tempi, di un inizio secolo con i suoi inverni in città e le sue estati in campagna.  
È brava la DiQuattro a prendere per mano il lettore e, con il suo stile elegante e coinvolgente, a portarlo tra quelle stanze, in quel periodo storico, dando credibilità al tutto e rendendo il lettore partecipe nonostante si parli di più di un secolo fa. Con un ambientazione che passa da Ragusa Ibla a Poggiogrosso è facile immaginare quei luoghi e avere l'impressione di vederli e viverli, proprio a quei tempi lì, dove i meccanismi erano totalmente diversi da quelli attuali. Ad aggiungersi alle descrizioni fisiche ci sono i profumi della cucina e di quei banchetti che una terra come la Sicilia offre grazie alle sue tradizioni. La cucina è un luogo molto importante per il romanzo e assistere alla preparazione delle ricette porta davvero il lettore a sentirne quasi gli aromi.
Grandi temi capaci di far riflettere accompagnano queste pagine: la famiglia, l'amicizia, la lealtà verso il prossimo, i matrimoni combinati. Questo e tanto altro in questo romanzo che sa di storia famigliare.
Leggere i libri di questa autrice è un po' come prendere in mano un vecchio album di fotografie in bianco e nero e sfogliarlo cercando di immaginare la vita che scorre, i protagonisti che crescono. Istantanee di vita vera che sanno scaldare il cuore.
Un libro che scorre senza grandi scossoni, nella tranquillità delle mura solide del palazzo regalando però alla fine, quando non ci si aspetta che tutto possa cambiare, un colpo di scena che lascia a bocca aperta e che dà quel tocco in più in una storia già piacevole e ben congegnata.

 


VOTO:





Nessun commento:

Posta un commento