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lunedì 28 ottobre 2019

Recensione #329 - Rolando del camposanto. Due fantasmi da salvare di Fabio Genovesi e INCONTRO CON L'AUTORE

Buongiorno lettori, come state? Io con la classica fiacchezza del lunedì ma prima di sera passerà... forse!
Oggi cominciamo in bellezza la settimana con la recensione ed il resoconto di un incontro con l'autore cui ho partecipato tantissimo tempo fa ma di cui riesco a parlarvi solo ora. Si tratta del libro Rolando del camposanto. Due fantasmi da salvare di Fabio Genovesi  edito da Mondadori che ringrazio immensamente per la copia e per l'incontro, pag. 226.


Sinossi: Rolando vive nel cimitero, insieme allo zio che fa il guardiano. Ne esce solo per andare a scuola, dove i compagni lo evitano, e non ha amici, a eccezione di un merlo di nome Cip. Quando un giorno tra le lapidi appaiono i cugini Marika e Mirko Gini, Rolando trova due amici della sua età. Ma i cugini Gini sono dei fantasmi e presto spariranno per sempre nel Grande Buco. Per salvarli , Rolando deve addentrarsi sul Monte Pupazzo, fino al buio nero, per trovare la Cosa Rossa entro la mezzanotte del giorno dopo, quando sarà anche il suo compleanno. Il viaggio insieme a Cip attraverso la natura incontaminata si trasforma in un'impresa clamorosa, in compagnia di personaggi indimenticabili: un robivecchi sbandato, un cacciatore strabico,una femmina di cinghiale elegante e raffinata, e una bambina selvatica che si fa chiamare Tigre e vive nei boschi. Età di lettura: da 6 a 9 anni.



Comincio a parlarvi di questo libro spiegandovi per prima cosa come mai ci ho messo così tanto a leggerlo. Questo libro ha compiuto un miracolo! Eh già, dovete sapere che a settembre, quando sono andata all'incontro con Fabio Genovesi, mi sono portata dietro tutta la famiglia al completo e, durante il tragitto in macchina, abbiamo iniziato a leggere questo libro ad alta voce, tutti insieme.
Mio figlio grande, che fa quarta elementare, deve sempre essere un po' obbligato a leggere - a parte i topolini di cui è diventato un grande appassionato da quando ho riesumati dalla cantina la mia vecchia collezione - quindi mi immaginavo che passato il momento si sarebbe dimenticato di Rolando e mi avrebbe lasciato continuare la lettura da sola.
Invece così non è stato. Rolando lo ha conquistato ed ha voluto che continuassimo il rito della lettura ad alta voce, tutti insieme, papà compreso, fino alla fine del libro.
Ecco spiega la lentezza della lettura... tra compiti sport e quant'altro non è facile trovare un momento durante la giornata in cui siamo tutti insieme e, quando capita, è talmente tardi che la palpebra casca dopo pochi minuti.
Tant'è, il libro anche se lentamente lo abbiamo finito e lo abbiamo anche adorato ed ora vi spiego perché.

"Perché noi andiamo da un'altra parte. Non seguiamo la gente, non la ascoltiamo nemmeno, e invece di parlare alle spalle di quel bambino strano, noi andiamo a conoscerlo veramente."

Fabio Genovesi non le manda a dire, neanche se tra le mani abbiamo un libro catalogato per bambini. Che poi, mi chiedo sempre, che senso ha catalogare i libri? Chi lo stabilisce che per questo libro l'età di lettura sia 6-9 anni? Io quindi non con i miei suonati 41 non sono adatta a leggere questa storia? Che stupidaggine! Questo libro, se proprio dovesse avere una catalogazione dovrebbe essere da 0 a 100 (e anche di più, per quei fortunati cui è consentito vivere oltre!). Quindi io nella trama che leggete sopra (presa da amazon) ho volontariamente tirato una bella riga sopra quella cosa assurda dell'età!
Già, perché come dimostra la lettura ad alta voce che in casa mia abbiamo fatto, questo libro è assolutamente adatto a tutti! Bambini, giovani, adulti, anziani. A chiunque ami la lettura e ami perdersi nelle belle storie.
Perché è vero che il protagonista di questo libro è un bambino, ma è anche vero che Fabio Genovesi ha costruito attorno a questo bambino una storia corposa, ricca di avventura, ricca di insegnamenti, ricca di argomenti importanti - spesso tristi - ma anche ricca di tante risate.
E ce ne accorgiamo subito di quello che vuole l'autore infatti, già dalle prime righe, iniziando a parlarci di Rolando, ci racconta che la gente del paese ha inventato un sacco di dicerie sul suo conto, solo perché vive al cimitero con lo zio guardiano. Ma ci dice anche che noi, iniziando a leggere questo libro, quelle dicerie non le ascolteremo, ci dice che se vogliamo ascoltarle è meglio che chiudiamo il libro e diamo retta alla gente del paese, ci dice che noi quel bambino lo proveremo a conoscere davvero, guardandolo con i nostri occhi e ascoltando la sua storia da vicino. Insomma, ci dice che se siamo persone superficiali, che credono alle apparenze, ai sentito dire, alle cattiverie, allora questo libro non fa per noi! Quanti avrebbero il coraggio di farlo? Quanti avrebbero magari paura di perdere qualche lettore? Bé Genovesi no, e credo inizi proprio da qui la grandezza della sua scrittura.
Conosceremo quindi Rolando entrando con lui al cimitero, accompagnandolo in una grandissima avventura sul Monte Pupazzo, incontreremo dei fantasmi, degli animali buffi ma saggi, una bambina molto particolare ma soprattutto, potremo vedere con i nostri occhi quello di cui la gente di paese sparla senza conoscerlo.
Genovesi fa centro, la storia che viene narrata in questo libro utilizza un linguaggio sicuramente più semplice rispetto al solito ma, comunque, mai banale. Non alleggerisce i toni, non sceglie di raccontare solo cose belle perché sta scrivendo un libro per bambini anzi, Rolando ha tutto tranne che una vita semplice. I suoi genitori sono morti in una sera in cui, per festeggiare il loro anniversario, si sono concessi una serata di coppia, solo loro due, lasciando il figlio a casa e da quel giorno Rolando vive con lo zio al cimitero, uno zio che, poverino, ne ha vissute anche lui di disgrazie nella vita! Insomma, non ci sono fate dalle ali colorate, non ci sono famiglie del mulino bianco, non ci sono toni pastello solo perché questo libro verrà letto da bambini anzi, in queste pagine ci sono toni cupi, morti improvvise e dolorose, ci sono paure e mancanze ma, al contempo, ci sono conquiste, gioie, incontri, avventure, un pizzico di magia, e tanti, tantissimi insegnamenti che, accompagnati da una storia fantastica, arrivano a un bambino con una potenza ancora maggiore!
Delle strepitose illustrazioni accrescono la bellezza del libro ed arricchiscono il piacere della lettura.
Insomma, Genovesi fa centro - ma io non avevo grandi dubbi su questo! - perché se raccontare di vita vera proprio come ci ha abituato nei suoi romanzi "per adulti", senza fare sconti, senza indorare la pillola ma riuscendo comunque a non creare un libro triste e doloroso anzi, creando un libro che, a noi, ha fatto fare delle grosse grasse risate! Quindi, se vi fidate di me, leggete questo libro da soli, in compagnia dei vostri figli (se siete genitori), in compagnia dei vostri genitori o dei vostri nonni  (se siete figli o nipoti), in compagnia dei vostri amici, delle vostre maestre (se siete alunni) e dei vostri alunni (se siete maestre o maestri). Leggetelo e non ve ne pentirete!!!

 
VOTO:









QUATTRO CHIACCHIERE CON FABIO GENOVESI

Di cosa abbiamo parlato durante l'incontro? Del romanzo ma anche di vita, di abitudini, di noi! Una chiacchierata a trecentosessanta gradi che ci ha permesso di sentirci a nostro agio, perché Fabio non se la tira, Fabio ama parlare dei suoi libri, ama parlare di libri.
Ecco le curiosità che voglio condividere con voi:

  • Quando era piccolo gli faceva paura tutto quindi ha deciso di andare fino in fondo alla paura con questo libro: ha deciso di portare i bambini in un cimitero a conoscere un bambino che mangia i ragni dentro al latte, andando nella tomba con lui. Il modo migliore per imparare è andare in fondo alle paure, si deve aver paura ovunque e da nessuna parte. Gli piaceva buttare i bambini in una situazione del genere, un po' come quando si impara a nuotare.
  • Ha scelto argomenti difficili e li ha trattati in maniera divertente perché crede che qualcosa solo triste sia finta, come qualcosa solo felice. Prima nella vita si impara a ridere anche delle cose tristi meglio è. Gli piaceva raccontare l'idea di un bambino tutto sommato felice nonostante viva in una situazione tragica.
  • Crede che la condanna dell'essere umano sia che la generazione precedente dica a quella successiva che sono dei fannulloni. Crede che sia una scusa dei genitori perché è più facile incolpare i bambini delle proprie colpe. Crede che spesso oggi i bambini siano cresciuti troppo in una bolla e che non vengano mai abituati al trauma. Non crede che siano i ragazzi di questa generazione ad essere troppo pigri ma sono i genitori di questa generazione ad essere ossessionati. I ragazzi hanno il diritto di farsi male perché nella vita ci si farà male ed è meglio arrivare preparati.
  • Crede che i ragazzini di oggi accetterebbero la sfida che vive Rolando ma crede anche che i genitori di oggi non gli permetterebbero di viverla!
  • Racconta una storia selvaggia perché crede che i ragazzi ne abbiano bisogno, visto che al giorno d'oggi hanno la vita organizzata dagli impegni.
  • Fabio ha scritto questo libro pensato per i bambini ma il suo sogno era che lo leggessero gli adulti ai bambini (proprio come già avevo cominciato a fare io con mio figlio!!!).
  • Crede che non esistano romanzi per ragazzi e romanzi per adulti. Crede che esistano storie belle e storie brutte e che le storie belle vadano lette e le storie brutte no.
  • L'idea di come vive Rolando è un po' lo specchio di come era Fabio da piccolo. È cresciuto in una casa dove vivevano tanti anziani ed ha avuto da piccolo pochi contatti con bambini. I racconti degli anziani con cui viveva non erano le classiche fiabe ma erano le storie di avi morti quindi la sua infanzia è stata un po' una vita in mezzo ai fantasmi.
  • Gli piaceva far capire ai ragazzi che nella vita per caso troveranno degli amici, anche quando meno se lo aspettano.
  • La cosa che più infastidisce Fabio nella vita è il pettegolezzo. Crede che nella vita si sprechi troppo tempo a parlare male degli altri (ancora di più adesso che si vive sui social). Crede che se si ha una vita piena e felice non si ha tempo di parlare male degli altri; più si sta male e si ha una vita triste si tende a parlare male degli altri per pensare che il problema sia degli altri. Non facendo pettegolezzo sugli altri si ha tanto tempo per fare le cose. Il pettegolezzo tra bambini non esiste quindi dall'inizio del libro invita il bambino a non ascoltarli.  QUANTA VERITÀ!!!
  • Crede nelle opportunità di quelle che apparentemente sembrano delle tragedie. Ha cominciato a lavorare nel mondo dei libri perché aveva un appuntamento con un piccolo editore ma ha perso un treno e sul treno successivo c'era un editore di una casa editrice più grande e ha cominciato a lavorare con lui.
  • Fabio è appassionato di fantasmi, licantropi, vampiri e  tutti i suoi viaggi si basano su quella passione. È stato più volte in Transilvania. Non la trova una cosa macabra ma una cosa gioiosa. Quindi in questo libro fa interagire Rolando con i fantasmi perché spesso si ha paura di ciò che non si conosce. Bisogna imparare che le cose che fanno paura a volte sono le cose che ci daranno di più.
  • La casa editrice non riesce a targhettizzare il profilo dei lettori di Fabio perché appartengono a tutte le età, a tutti i generi, a tutte le classi sociali.
  • Crede che nella vita si diventi vecchi ma che dentro si resti sempre un po' bambini.
  • L'approccio per questo libro è stato lo stesso che ha avuto per i suoi libri precedenti, ha solo evitato troppe parolacce!
  • Quando scrive tende a non chiedersi mai se sta facendo bene. Quando si accorge di chiedersi troppe cose, vuol dire che sta sbagliando.
  • Fabio ha un rapporto di dipendenza con gli uccelli infatti il migliore amico di Rolando è un merlo. A casa Fabio non ha cani e gatti ma ha le galline che vivono in libertà, lo rincorrono quando arriva, si fanno accarezzare quando si siede a leggere esattamente come cani e gatti.
  • Crede che i bambini dovrebbero vivere di più la natura e gli animali.

Una chiacchierata divertente quella avuta con Fabio e sono felice di aver potuto condividere con voi le parti più salienti. Spero di aver fatto cosa gradita ma soprattutto spero di avervi fatto venire voglia di leggere questo libro perché ne vale davvero la pena!

venerdì 25 ottobre 2019

Letture con Marina #73 - PordenoneLegge, incontro stampa con Michela Murgia e Chiara Tagliaferri

Buongiorno lettori, fortunatamente è di nuovo venerdì! Augurandovi buon weekend vi lascio a Marina e alla sua rubrica.




Per staccare un po’ dai romanzi per ragazzi che ultimamente mi hanno assorbita e anche da un ritorno di fiamma di cui Vi parlerò in seguito, ho pensato di trascrivere una delle interviste a cui ho partecipato durante il Festival di PordenoneLegge 2019. Riporterò solo l’intervista, senza alcun mio commento, lasciando poi a Voi la parola, a commento di quanto detto in tale sede.

“Morgana. Storie di ragazze che tua madre non approverebbe”.

Oramai quasi un mese fa, presso la Sala Conferenze di Palazzo Klefisch a Pordenone, in occasione del Festival Letterario PordenoneLegge 2019, si è tenuto l’incontro stampa con le autrici Michela Murgia e Chiara Tagliaferri in occasione dell’uscita a Settembre 2019 del loro romanzo “Morgana. Storie di ragazze che tua madre non approverebbe”, edito da Mondadori.

Titolo:  Morgana. Storie di ragazze che tua madre non approverebbe
Autore:  Michela Murgia
Casa editrice: Mondadori, 2019
Pagine: 238
Sinossi: Controcorrente, strane, pericolose, esagerate, difficili da collocare. E rivoluzionarie. Sono le dieci donne raccontate in questo libro e battezzate da una madrina d'eccezione, la Morgana del ciclo arturiano, sorella potente e pericolosa del ben più rassicurante re dalla spada magica. Moana Pozzi, Santa Caterina, Grace Jones, le sorelle Brontë, Moira Orfei, Tonya Harding, Marina Abramovic, Shirley Temple, Vivienne Westwood, Zaha Hadid. Morgana non è un catalogo di donne esemplari; al contrario, sono streghe per le donne stesse, irriducibili anche agli schemi della donna emancipata e femminista che oggi, in piena affermazione del pink power, nessuno ha in fondo più timore a raccontare. Il nemico simbolico di questa antologia è la "sindrome di Ginger Rogers", l'idea - sofisticatamente misogina - che le donne siano migliori in quanto tali e dunque, per stare sullo stesso palcoscenico degli uomini, debbano sapere fare tutto quello che fanno loro, ma all'indietro e sui tacchi a spillo. In una narrazione simile non c'è posto per la dimensione oscura, aggressiva, vendicativa, caotica ed egoistica che invece appartiene alle donne tanto quanto agli uomini. Le Morgane di questo libro sono efficaci ciascuna a suo modo nello smontare il pregiudizio della natura gentile e sacrificale del femminile. Le loro storie sono educative, non edificanti, disegnano parabole individuali più che percorsi collettivi, ma finiscono paradossalmente per spostare i margini del possibile anche per tutte le altre donne. Nelle pagine di questo libro è nascosta silenziosamente una speranza: ogni volta che la società ridefinisce i termini della libertà femminile, arriva una Morgana a spostarli ancora e ancora, finché il confine e l'orizzonte non saranno diventati la stessa cosa.


INTERVISTA:

lunedì 16 settembre 2019

Recensione #321 - Presenza oscura di Wulf Dorn e INCONTRO CON L'AUTORE

Buongiorno lettori, in ritardissimo sulla tabella di marcia vi lascio la recensione di Presenza oscura di Wulf Dorn edito da Corbaccio che ringrazio per la copia, pag. 430. 

Sinossi: Quando Nikka, sedici anni, si risveglia dal coma in ospedale fatica a ricordare cosa sia successo. Era a una festa, questo lo ricorda, insieme alla sua amica Zoe. Ma poi? Poi, improvvisamente un blackout. Nikka ha provato l'esperienza della morte: per ventuno terribili minuti il suo cuore ha cessato di battere, ma il suo cervello ha continuato a funzionare. E Nikka ricorda un tunnel buio in cui si intravedeva una luce e ricorda che anche Zoe era con lei. E quindi rimane scioccata alla notizia che Zoe è scomparsa proprio durante la festa e che da allora manca da casa. Che sia stata uccisa? Nikka è convinta di no e appena riesce incomincia a cercarla... Ma fin dove sarà disposta a spingersi per salvare la sua migliore amica?



Avevo conosciuto Wulf Dorn con il libro La psichiatra, un libro che avevo divorato ma che aveva lasciato in me alcune perplessità. Oggi lo ritrovo con questo suo ultimo lavoro Presenza oscura in cui non si è limitato a creare un thriller degno di questo nome ma in cui è riuscito a toccare degli argomenti importanti che hanno, a volte, piacevolmente oscurato il puro thriller e lo hanno fatto diventare un libro profondo e molto riflessivo per il lettore.

mercoledì 3 maggio 2017

Recensione #185 - La forma del buio di Mirko Zilahy + Intervista all'autore


Buonasera lettori, orario insolito per me ma non sono riuscita a pubblicare prima. Come va? Io sto ancora cercando di capire che giorno sia oggi ma, a parte questo, tutto nella norma. Sono qui oggi per un post speciale – perdonatemi se sarà lunghissimo – in cui vi lascerò la recensione del libro La forma del buio, pag. 480, secondo volume della serie dedicata al profiler Enrico Mancini, scritto da Mirko Zilahy ed edito da Longanesi. Alla fine della recensione troverete la trascrizione dell’intervista che ho avuto l’occasione di fare all’autore in occasione di Tempo di Libri a Milano il 22 aprile scorso.
La recensione del primo volume È così che si uccide la potete leggere cliccando qui.

Sinossi: Roma è nelle mani di un assassino, un mostro capace di dare forma al buio. Una tenebra fatta di follia e terrore, che prende vita nel rito dell'uccisione. Le sue visioni si tramutano in realtà nei luoghi più sconosciuti ma pieni di bellezza della città, perché è una strana forma di arte plastica quella che il killer insegue. Lui si trasforma, e trasfigura le sue vittime in opere ispirate alla mitologia classica: il Laocoonte, la Sirena, il Minotauro... Sono però soltanto indizi senza un senso apparente, se non si è in grado di interpretarli. Di analizzare la scena del crimine. E tracciare un profilo. Ma il miglior profiler di Roma, il commissario Enrico Mancini, è lontano dall'essere l'uomo brillante e deciso di un tempo. E la squadra che lo ha sempre affiancato non sa come aiutarlo a riemergere dall'abisso. Mentre nuove "opere" di quello che la stampa ha già ribattezzato "lo Scultore" appaiono sui palcoscenici più disparati, dalla Galleria Borghese all'oscura, incantata Casina delle Civette a Villa Torlonia, dallo zoo abbandonato all'intrico dell'antica rete fognaria romana, Mancini viene richiamato in servizio e messo di fronte a quella che si dimostra ben presto la sfida più terribile e complicata della sua carriera. O forse della sua stessa vita.

RECENSIONE
Come sapete amo i thriller, se poi il thriller in questione sa essere colto e ricercato allora non può che avere una marcia in più. Perché è questo che appare immediatamente dai libri di Mirko Zilahy, una grandissima attenzione verso la lingua, verso la costruzione della storia, verso un insieme che spesso nei thriller manca. Quante volte ci si ritrova davanti a libri di questo genere in cui tutto è lasciato alle morti crude e all’assassino, seriale o meno, senza andare oltre all’impatto puramente scenografico che sangue e dettagli macabri lasciano al lettore? Mirko Zilahy non lascia nulla di incompiuto da questo punto di vista - le sue morti sono crude, truci, dettagliate - ma quello che emerge leggendo è l’attenzione verso il punto di vista psicologico, la capacità di agire sulle paure di ognuno di noi e di costruire dei serial killer atroci ma allo stesso tempo umani, capaci di colpirci non per la loro brutalità ma per la loro sofferenza.
Lo stesso si può dire del protagonista buono, il detective Enrico Mancini, un tipo tosto ma che non ha paura di mostrare le sue debolezze e che per questo dà l’impressione di essere uno di noi, non il classico commissario che sta su un piedistallo.
In questo nuovo capitolo della serie il killer è soprannominato “lo scultore” perché uccide le sue vittime ed entro i dieci minuti successivi dalla morte compone con i loro corpi delle sculture mitologiche agghiaccianti. Mancini sta ancora cercando di uscire dal tunnel della perdita di sua moglie quando viene richiamato per seguire questo nuovo caso. Un caso che lo porterà a rientrare in contatto con la squadra che lo aveva aiutato nella prima indagine, una squadra che non è un mero contorno ad un protagonista, ma i cui membri evolvono con lui, essendo dotati di una propria caratterizzazione precisa e necessaria.
Come nel libro precedente l’autore sceglie per la sua opera una faccia di Roma – la sua città – molto particolare. Se nel primo libro il killer si muoveva tra gasometri e fabbriche abbandonate, in questo nuovo lavoro il killer sceglie come scenario per le sue sculture il lato oscuro di luoghi molto turistici: un angolo in ristrutturazione dello zoo, i labirinti sotterranei sotto le Terme di Diocleziano, un Luna Park o un museo di notte. Ogni luogo diventa un non luogo, come se in realtà l’autore volesse mostrarci il lato oscuro di ogni cosa, come se con il buio ogni cosa cambiasse aspetto.
Con un intercedere immediatamente spedito ed accattivante accompagneremo Mancini e la sua squadra in una corsa contro il tempo, che ci lascerà però il tempo di meditare dandoci numerosissimi spunti di riflessione: da come affrontare il lento ritorno alla vita dopo un lutto, a quanto una prigionia prolungata – anche se apparentemente a fin di bene – possa procurare dei danni indelebili alla mente già deviata di una persona, a quanti luoghi oscuri siano racchiusi intorno e dentro di noi. Il tutto farcito da un uso della parola perfetto e ricercato che spesso nei libri appartenenti a questo genere manca.
Un thriller che non ci chiede di scoprire chi sia l’assassino visto che ne ripercorriamo i passi dall’inizio della lettura ma, al contrario, un thriller che ci porta ad avere il timore del conosciuto, che sia un luogo reale o solo un angolo della nostra personalità.
Consigliatissimo a chi, anche in letture come queste, cerca spunti di riflessione e non solo adrenalina.

VOTO: 










Qui di seguito la trascrizione dell’intervista – in realtà è una chiacchierata - realizzata a Tempo di Libri, il cui video integrale potete trovarlo fissato in alto sulla pagina facebook del blog cliccando qui.
Una soddisfazione immensa possibile grazie ad una casa editrice importante come Longanesi che me lo ha proposto.


INTERVISTA


DANY: Come è cambiato questo ultimo anno e come ti ha cambiato essere passato dalla parte dello scrittore?
MIRKO: Bella domanda. Ti dico la verità, il primo libro è sempre una grande incognita, io sono stato fortunato perché il mio libro è stato venduto all’estero in tantissimi paesi, quindi mi sono ritrovato da un giorno all’altro quasi e dover fare i conti con un nuovo mestiere quindi rinunciare a quello che facevo prima quindi l’editor ed in parte il traduttore. Prendere questa cosa sul serio, non più come un gioco anche con tutte le paure e i dubbi per il secondo libro e per le aspettative, visto che la critica è sempre stata molto dalla mia parte.
D.: Un thriller che presta molta attenzione a quella che è la lingua e ad un concetto di insieme. Forse anche per il tuo mestiere precedente?
M.: Sì, forse un po’ per la traduzione e un po’ perché ho studiato ed insegnato lingue e letteratura italiana in Irlanda e quindi sono molto affezionato alle parole e mi piace metterle insieme. C’è invece chi lavora per immagini e sovrappone. Io sono convinto che attraverso la parola si possa eludere la sorveglianza degli occhi e quindi il fatto che se usi le atmosfere, se crei un certo tipo di incantesimo con le parole arrivi da un’altra parte, a me interessa arrivare alla pancia. più di quanto riesca a fare un’immagine.
D.: Anche perché tu racconti molto nel dettaglio, non ti tiri indietro, i morti sono morti e sono morti anche in modo crudo ma senza mai avere quella parte un po’ splatter che tanti usano per arrivare un po’ di più a quello che è il senso del thriller.
M.: In realtà ho un senso diverso del thriller, sono convinto si possa raccontare la morte anche con scene molto forti, rituali, usando una lingua molto alta. Ragioniamo su una cosa sciocca a cui magari non si pensa: se tu vai a vedere un’opera ci sono queste voci altissime, acutissime, perfette, molto potenti e raccontano con parole poetiche ed un registro molto alto delle tragedie umane. Io volevo proprio mettere insieme la violenza e la morte usando proprio una lingua che fosse dall’altra parte delle possibilità.
D.: Parliamo di Enrico Mancini…
M.: Chi è? ahahahahah
ndr. se avrete voglia di andarvi a guardare il video completo di questa chiacchierata vi renderete conto che Mirko oltre ad essere un grande oratore è anche particolarmente simpatico e scherzoso.
D.: Enrico Mancini è il filo conduttore di questa tua trilogia. Secondo me lui è un tosto perché è debole. È paradossale però lui è tosto perché fa vedere le sue paure
M.: Sì, lui ha questo passato da persona molto, ha visto il male in tutte le sue forme perché è un profiler, lo ha studiato ad un certo punto della sua vita ha questo grande distacco dalla realtà dopo il lutto per la perdita di sua moglie in È così che si uccide (ndr. primo volume della trilogia) e qui è un uomo in trasformazione - come tutti i personaggi di questo libro che si spostano, stanno cercando qualche cosa, si rincorrono da soli - e ha questo spirito molto forte, molto fiero, iper tecnico da profiling ma dall’altra parte cova questa debolezza che è quella dell’essere sensibile, dato completamente all’amore della sua vita che non c’è più.
D.: Ed ha questi guanti che vanno, vengono, e sembrano un po’ la sua copertina di Linus. Come mai questi guanti?
M.: Questo è simpatico, sì. In realtà funziona così: quando lui non riesce a tornare in tempo per salutare la moglie prima che purtroppo muoia e dentro di se cresce questo senso di colpa, di ansie decide di tenere addosso questi guanti che erano appartenuti al papà della moglie e lo fa per non avere più il contatto con il mondo reale, per non toccare più le altre persone, per mettere – se ci pensate il guanto è una pelle morta – una pelle morta tra se e quello che sta fuori. Questo succede in È così che si uccide. In questo romanzo qui, come dici tu, questi guanti vanno, vengono, perché questo è il romanzo della trasformazione in cui lui elabora questo lutto e si sente in colpa. Dice: “come, mi sta passando lentamente questo dolore?” Ed è dispiaciuto che si stia allontanando dal ricordo della moglie, che in qualche modo si stia dimenticando la sua voce.
D.: Se tu dovessi descrivere Mancini in tre aggettivi?
M.: È difficile, non ci ho mai pensato… È un uomo vero, è un uomo fragile e come si dice in spagnolo è un uomo vertical, verticale.
D.: Quando hai deciso che avresti scritto un libro, come mai hai scelto il thriller? Io da lettrice ritengo questo genere difficilissimo, per riuscire a tirare in piedi un libro che regga, che non contenga passi falsi non è facile. Credo che il thriller insieme forse al far ridere sia uno dei generi più difficili. Come mai hai scelto proprio questo? Ti è venuto così? Sei un serial killer?
M.: Sono un serial killer e ve lo dimostrerò! (ndr. nel frattempo mima di mettere le mani al collo alla sua intervistatrice). Ma no, in realtà è successo che io avevo questa storia mia personale che mi faceva male e volevo provare a raccontare il dolore che si ha di fronte alla scomparsa, al momento della scomparsa di una persona amata e quindi avevo due strade: potevo scegliere un romanzo un po’ più – dico tra virgolette perché sono contrario alla distinzione di genere – letterario e intimista in qualche modo e fare un libro da Premio Strega oppure avevo la possibilità di affrontare la violenza, quella morte lì con un strumento che è quello del genere thriller che mi dava la possibilità di dire le cose com’erano, di non nascondermi dietro un dito per parlare della violenza e della morte. E poi c’è un altro motivo che è quello che per anni ho lavorato in editoria editando thriller, li leggevo, molti erano bellissimi tanti altri dicevo:”questo non funziona, chissà se lo scrivessi io…” E anni fa, nel 2009 mi sono messo lì su un taccuino a disegnare questa faccia di questo commissario, ad immaginare qualche cosa, a immaginare i guanti, perché dovevano esserci i guanti.
D.: Hai disegnato fisicamente?
M.: Sì.
D.:Per quello questo killer disegna?

M.: No, no.
D.: Sei amante dell’arte? Questo libro è incentrato sull’arte. Lo scultore che è il serial killer di questo libro fa delle sculture con i corpi dopo aver ucciso. Quindi uccide e nei dieci minuti successivi alla morte ricompone le sculture umane. Affascinante, macabro sicuramente ma affascinante.
M.: Sì, lui ricostruisce in qualche modo delle cose che ha dentro di se. In questo caso sono mostri mitologici, i mostri che quando eravamo ragazzini leggevamo nella mitologia che erano le favole di quando eravamo ragazzini. C’è il Minotauro, c’è la Medusa. È un killer che riempie i parchi di Roma con queste sue installazioni che sono costruite con i corpi delle sue vittime. E c’è Mancini che viene richiamato dalla sua casetta in montagna dove va in giro a piantare querce.
D.: Parliamo dell’ambientazione. Una Roma particolarissima, cupa. Per noi – almeno per me che sono di Milano – normalmente Roma è tutto monumenti, turismo e cose belle. Tu invece fai vedere questi labirinti sotterranei, affascinantissimi, come mai? Ci sei stato? Hai voluto far vedere il diverso?
M.: Mah, ti sarai accorta anche leggendo il primo che io ho questo sguardo sulla mia città che è un po’ deformante.
D.: Io del primo sono rimasta affascinata dalla Miralanza. Per me Miralanza è mia mamma con le figurine della Miralanza con mia zia in cucina che si scambiavano queste cartine… chi non ha la nostra età non può capire! Io ho pensato: ci devo andare, voglio andare a visitare la Miralanza.
M.: Quella è una zona incredibile Io ho avuto la fortuna o la sfortuna di andare via da Roma da ragazzino e poi di andare all’estero per qualche anno. Questo mi ha dato, da una parte una nostalgia enorme di casa, di Roma, dall’altra parte mi ha dato uno sguardo molto più critico sulla città e su quello che stava succedendo. E mi sono detto: io non voglio raccontare la Roma del marmo, del barocco, ma la roma del Gasometro, della Miralanza che è tutta una zona dismessa, spettrale che è al centro di Roma, non è nelle periferie ma a pochi metri dall’isola tiberina. In questo secondo libro ho scelto ancora una Roma particolare, la Roma dei parchi che fondamentalmente hanno una doppia vita. Il giorno e la notte. Se tu vai da piccolo sono la cosa più simile ai mostri che ci sono. Quando ero piccino ero sempre spaventato dai ruggiti, incuriosito, meravigliato e uscivo sempre con una sensazione di senso di colpa. E la stessa cosa succede nei Luna Park che ora sono abbandonati ma anche quando ci andavi da bambino entravi nella casa degli orrori, ci andavi a piedi, era una continua sfida, un mettersi alla prova. Quando uscivi da lì eri dispiaciuto perché il giorno dopo dovevi andare a scuola ma anche sollevato per essere scampato dai mostri. I mostri le paure erano tutti lì dentro.
D.: Hai già qualche mania da scrittore? Che so, scrivere sempre con la stessa penna o sempre nello stesso posto?
M.: Sì, io ho uno studio piccino sotto casa mia che è un negozio da fuori invece dentro c’è uno studio dove ho Whisky, le cose, non ci sono finestre e io lavoro dalle otto e mezza, dopo che porto mia figlia a scuola, fino alle cinque e mezza, al buio ininterrottamente con caffè, con la lampada sulla scrivania e un sacco di libri perché mi piace documentarmi e faccio questa tirata in cui cerco di scrivere almeno tre pagine al giorno. Non c’è giorno in cui non scrivo perché per fare quattrocento e passa pagine e fare più di ottanta presentazioni l’anno e avere anche una famiglia tempo ce ne vuole tanto.
D.: Il terzo? Uscirà? Lo hai già scritto?
M.: Il terzo lo sto scrivendo, l’ho iniziato, avrà ancora Mancini perché questa è una trilogia su di lui, ci sarà ancora Roma, ma una Roma ancora diversa. Ho già lo schema, ho già scritto i primi tre capitoli ed ho più o meno quasi tutta la mappa del libro. Ho il serial killer. Il primo libro era sul senso di giustizia,la domanda fondamentale era cos'è la giustizia: è quella dello stato, è quella delle forze dell’ordine o quella che abbiamo dentro al cuore? Il libro si chiudeva con questo grande interrogativo e tutti mi scrivono che non hanno mai condannato veramente il serial killer
D.: Sono dei serial killer molto umani, siamo noi in realtà, con le nostre più terribili paure...
M.: Questa è la stessa cosa che succede in un altro modo qui ed il tema centrale è il rapporto con la realtà. Che cos'è la realtà? Esiste? Oppure è un qualche cosa che la psiche reinterpreta e rilegge per rendercela più facile? Partendo da questo concetto sono arrivato a raccontare il serial killer che ha questo problemo suo con la realtà, ma non diciamolo...
Il terzo il tema centrale è quello dell'identità e cioè: quante persone dentro ci affollano? Avrà un serial killer che avrà a che fare con questo tema e con la storia e la memoria di Roma. Poi non ti dico nient'altro, aspettate con fiducia.
D.: Ok, a questo punto leggete anche il primo È così che si uccide perchè l'evoluzione di Mancini emerge trantissimo. Leggete questo libro La forma del buio. Grazie a Mirko e grazie a voi.
M.: Leggete, leggete, qualsiasi cosa ma l'importante è che leggiate.
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Si chiude con questo bellissimo messaggio questa intervista. Spero di avervi incuriosito e di non avervi annoiato troppo a causa del post chilometrico ma necessario!